le valigie di tulse luper - la storia di moab regia di Peter Greenaway Olanda, Gran Bretagna 2003
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le valigie di tulse luper - la storia di moab (2003)

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locandina del film LE VALIGIE DI TULSE LUPER - LA STORIA DI MOAB

Titolo Originale: THE TULSE LUPER SUITCASE - PART I. THE MOAB STORY

RegiaPeter Greenaway

InterpretiJJ Feild, Jordi Mollà, Victoria Abril, Kathy Bates, Valentina Cervi, Vincent Gallo, William Hurt, Don Johnson, Isabella Rossellini

Durata: h 2.05
NazionalitàOlanda, Gran Bretagna 2003
Generedrammatico
Al cinema nel Gennaio 2004

•  Altri film di Peter Greenaway

•  Link al sito di LE VALIGIE DI TULSE LUPER - LA STORIA DI MOAB

Trama del film Le valigie di tulse luper - la storia di moab

Prima parte della trilogia che vede protagonista la vita dello scrittore Tulse Luper assiduo frequentatore delle prigioni di tutto il mondo. La storia copre sessant'anni del ventesimo secolo, dal 1928 con la scoperta dell'uranio in California, sino alla caduta del muro di Berlino nel 1989 alla fine della guerra fredda.

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Voti e commenti su Le valigie di tulse luper - la storia di moab, 11 opinioni inserite

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76mm  @  06/09/2018 13:18:50
   6 / 10
Greenaway elevato alla Greenaway, chi è fuori è fuori chi è dentro è dentro.
Qui c'è la summa delle ossessioni e del modo di intendere il cinema del regista gallese, il culmine di una filmografia mai banale né accomodante verso il pubblico ma fino a qui sempre attenta a lasciare qualche boccone anche allo spettatore medio (quello che se paga il biglietto allora "pretende" di vedere qualcosa che debba piacergli e che possa comprendere) che qui invece viene preso a ceffoni (metaforici eh) dall'inizio alla fine.
Da questo punto di vista, pur non avendo nulla in comune come tipo di film, mi viene spontaneo accomunare quest'opera ad Inland Empire di Lynch.
Il mio voto è interlocutorio (e poco coraggioso, lo riconosco)…l'ho già visto due volte e ancora non riesco a capire se mi è piaciuto o meno, se davvero rappresenta una svolta epocale per la settima arte o se si tratta solo di cinema (cinema?) onanistico e masturbatorio, come molti critici l'hanno definito.
Sicuramente non è un film che strizza l'occhio allo spettatore o che gli permette di mettere il cervello in standby e questo è sicuramente positivo.
Però capisco anche chi non sta al gioco, che tutta questa sperimentazione visiva non associata ad un plot seguibile può facilmente generare distacco e in molti casi anche una certa irritazione.
Il fatto che in Italia sia passato praticamente inosservato e che i successivi due capitoli, che sarebbero fondamentali per poter avere una visione complessiva dell'opera (e forse coprire i tanti buchi lasciati aperti da questa prima parte), non siano mai stati distribuiti né da noi né in molti altri Paesi (che non siamo solo noi italiani i caproni che rifiutano l'innovazione) è la logica conseguenza di questo rifiuto di dare anche la carotina al pubblico oltre alle bastonate.
Le opere successive di Greenaway (Nightwaching, Goltzius, Eisenstein in Messico), pur sempre profondamente personali e lontane da ogni facile moda, sono tornate dentro binari più rassicuranti e "vendibili" ad una fetta più ampia di pubblico e questo può essere (forse) interpretato come una sorta di dichiarazione di resa da parte dell'artista.
Che comunque merita ammirazione anche solo per averci provato.

paride_86  @  30/08/2011 23:31:19
   7 / 10
Primo episodio di una trilogia - non completamente edita in Italia - che vede protagonista Tulòse Luper e le sue novantadue valigie.
Si tratta di un film sperimentale e ridondante, formalmente avanguardistico fino all'insopportabile.
Greenaway è così: prendere o lasciare. Io voto la prima!

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  02/01/2011 19:03:54
   8 / 10
Quando si parla di un film di Greenaway si parla di Greenaway stesso; tutti i suoi film sono opere personali per stile,contenuti e idee. Con il tempo l'artista gallese si è allontanato sempre di più dal cinema inteso come tale ed è andato oltre; certo bisogna considerare che anche agli inizi i suoi lungometraggi sono sempre stati pieni di uno stile mai accomodante ma sempre affascinante per le immagini e le storie proposte;
le sue opionioni su un cinema vecchio,inutile e morto non le condivido ma rispetto immensamente questa sua pretesa arrogante,saccente e coraggiosa di dare vita ad un nuovo modo di intendere il cinema da considerarsi un evoluzione,anzi una nascita in quanto Greenaway dice che il Cinema non è mai nato.
Accusato e stimato per gli stessi motivi (onanista,eccessivo,senza mezze misure e unico) questa volta Greenaway ha fatto una summa di tutta la sua arte e l'ha piazzata in un progetto di enorme portata pensato da anni; pochi dubbi: questo è cinema moderno come nessun'altro ha fatto e sa fare.


"Il cinema come viene generalmente inteso è reazionario, fuori moda e privo di qualsiasi interesse. Ma come postmoderni non possiamo che costruire il nuovo cinema su quello esistente" (Peter Greenaway)


Tulse Luper è un evidente alter-ego con cui il regista gallese osa e riesce ad esprimere uno stile fatto quasi esclusivamente di visione e immagini in cui la storia non sembra apparentemente avere alcuna valenza.
è un personaggio già apparso in molti dei lavori iniziali di Greenaway e che qui prende forma e storia. Una storia già di per sé non canonica raccontata in un orgia visiva da videoarte mai vista che può solo scombussolare ed irritare lo spettatore medio ma anche quello più preparato; il cinema come viene inteso generalmente non esiste più,ci sono recitazioni ben definite,si esce al di fuori della storia in continuazione per entrare in una sorta di metacinema e si assiste a scene ripetute più volte (addirittura a dei provini all'inizio); lo split-screen si divide come ne I racconti del cuscino (tappa fondamentale per comprendere questo nuovo e definitivo Greenaway),le frasi e le azioni vengono spesso ripetute senza alcun accomodamento verso l'eventuale pubblico; la mania di Luper di catalogare ogni cosa e persona secondo una visione enciclopedica,di giocare con i numeri e di essere un artista a tutto tondo altro non è che una proiezione evidente di Greenaway stesso (per non parlare dei film citati come Il ventre dell'architetto e Lo zoo di Venere con tanto di immagini), proiezione tanto esplicita e palese che stavolta non ci sono dubbi: non bastava farlo nascere nello stesso luogo di Greenaway ma bisognava dare una conferma sfrontata e decis(iv)a: Le valigie di Tulse Luper è un delirio onanista/artistico di portata assoluta che non può e non deve passare sotto silenzio,né tantomeno essere snobbato. Questo è un messaggio da seguire perché ha la pretesa (che non condivido) di essere cinema del futuro,di gettare nuove basi per ciò che verrà. Cinema non più inteso come intrattenimento e di conseguenza inutile né spacciato come arte ferma ed immobile da sempre ma in evoluzione,finalmente,in anticipi sui tempi. Come già scritto più volte sono lontanissimo dall'essere d'accordo con l'artista gallese ma provo soltanto rispetto per questa forte presa di posizione portata avanti con testardaggine e senza alcun tipo di riguardo verso un eventuale pubblico.
Sì,perché se è vero che visivamente è spettacolare e strano (ambientato spesso in teatri di posa palesemente finti,alla Dogville,spesso sconfinante addirittura nel metacinema) la trama appare fredda ed inutile in questo continuo alternarsi di immagini e suoni. Inizialmente può sembrare una forma di disprezzo verso la trama a dispetto dell'immagine ma entrati nell'ottica Greenaway anche la storia prende un suo significato,spesso metaforico e di non facile comprensione (specie in una visione sola) ma che ha ancora una volta la sfrontatezza di Greenaway,perché Tulse Luper è anche un viaggio attraverso gli eventi decisivi del secolo scorso.
La storia di Moab è la prima parte in cui spiccano le recitazioni di JJ Feild e di una magnetica Dhavernas,dove Greenaway viaggia storicamente tra infanzia e Seconda guerra mondiale,in cui ci appaiono personaggi che determineranno la vita di Luper (catalogati come sempre con numeri,così come le botte che prende) e lo faranno innamorare. Continue invenzioni visive che non faranno comunque felici neanche lo spettatore più paziente; perfino quando si toccano eccessi negli eccessi tutto appare freddo e dà poca emozione. Ragionandoci sopra lucidamente,però,tutto assume un altro gusto e un altro aspetto.
La storia non finisce e ovviamente c'è un To be continued finale,peccato in Italia sia uscita solo la prima parte. Ma a costo di vederlo in spagnolo ora voglio finire questa trilogia che va ricordato,non è nata per esprimersi solo cinematograficamente ma attraverso siti internet,CD-ROM,serie tv e giochi. Mastodontico ed irritante,e giuro che ho provato molta irritazione vedendolo ma pure un'infinita immirazione per chi è riuscito a realizzare qualcosa di tanto eccessivo ed artistico,l'unico consiglio che posso dare è di guardarlo con non poca leggerezza,pronti a tutto. Non ci sono mezze misure.


" Il prologo del cinema è finito. Adesso possiamo veramente cominciare" (Peter Greenaway)

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR echec_fou  @  15/06/2008 16:25:45
   8 / 10
Il semplice fatto che un film,
che certo non è l'unico tra quelli di questo bravo ragazzo,
divida così nettamente
le opinioni del pubblico,
pone il lavoro dell'artista già su un livello
decisamente alto.
questo avviene solo quando
si lavora con sincerità.
e anche se la sincerità non fa mercato,
resta sempre un valore che può apprezzare
solo una persona sincera.
per cui, non avendo visto il film,
il mio 8 è da considerarsi
un voto politico.

quando il pubblico è in disaccordo,
l'artista è d'accordo con se stesso.
wilde.

benzo24  @  12/06/2006 01:39:01
   10 / 10
prima parte di un viaggio affascinante e profondo. una vera opera d'arte, o meglio un vero e proprio corpo di cinema, che vede, sente, tocca, parla, affascina, mangia, scopa, defeca e dorme. il cinema di greenaway non è più cinema, le sue opere non sono più film, sono qualcos'altro. bisognerebbe trovare un nuovo termine per poter denominare e catalogare (come piace al sua autore) le sue opere

Gruppo COLLABORATORI Mr Black  @  29/12/2005 22:14:29
   6 / 10
La storia di fondo è buona, ma ci vuole davvero pazienza per arrivare fino in fondo. Grande genio o manierismo esasperato? Avrei preferito il taglio classico, invece di perdermi in dialoghi ripetuti all'infinito e costruzioni intricate di sceneggiatura. Greenaway è un grande, ma forse se ne è reso conto....

5percentnation  @  02/03/2004 19:29:33
   10 / 10
Nonostante l'abbia visto in un cinema abbastanza schifoso, sono rimasto rapito, ipnotizzato, con la bocca aperta ed un filo di saliva che mi bagnava la maglia...
alla fine ho detto solo: "ancora".
Per fortuna ogni tanto esce il film di Greenaway!!! Da vedere assolutamente, almeno per chi, come me, ne ha piene le scatule di sceneggiature "for dummies"


gino di dinacci  @  25/01/2004 02:48:33
   10 / 10
Se si potesse traferire al cinema una metafora musicale, per questo film si dovrebbe parlare di polifonia dell'immagine, polifonia dello sguardo. Anche la trama fornita da Filmscoop fatica a dare un'idea di cosa realmente sia quest'ultima opera di Greenaway. E, d'altra parte, sarebbe riduttivo (oltre che inutile) parlare di trama. Il pensiero cinematografico di Greenaway è avanti di 20-30 anni; credo che oggi Greenaway sia l'unico a infischiarsene beatamente di tutte le regole (tutte vecchie di cento anni) che fanno fare "cassetta", alle quali tutti, ma proprio tutti (anche quei registi che si dichiarano sperimentalisti) soggiaciono. Forse solo Godard... Non è un caso che per produrlo ci sia voluta una coproduzione internazionale di 6-7 paesi. Polemiche a parte, ci troviamo di fronte a un modo totalmente diverso di concepire l'immagine cinematografica, i meccanismi narrativi, il montaggio. L'occhio non sta fermo un momento: immagini plurime, seriali, suoni, voci, inserti scritti, tutto inserito nel (macro)cosmo autistico di Greenaway e del suo alter-ego dai tempi di A Walh throgh H: Tulse Luper, che qui, ha un volto e un corpo. E forse questo toglie un po' di inquietudine a quel personaggio che ricorreva un po' come un demiurgo-testimone invisibile (e introvabile) nelle storie di Greenawy (vedi The Falls e il testo pubblicato con il titolo "Voli fatali"). Unico neo: questa brutta abitudine sempre più frequente di spezzare i film in due-tre parti.

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