Sfuggita all'inseguimento di due killer, la bella Grace arriva nella sperduta cittadina di Dogville. Grazie all'aiuto di Tom, portavoce della comunità, Grace riesce ad ottenere protezione a patto che sia disposta a lavorare per la comunità. Ma quando si viene a sapere che la donna è una grossa ricercata, gli abitanti di Dogville avanzano nei confronti di Grace sempre maggiori pretese. Ma Grace nasconde un segreto che farà pentire tutta Dogville di aver mostrato i denti contro di lei...
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Nella mia personale top 5 dei film più difficili da commentare si è ritagliato un posticino anche Dogville, un indiscutibile capolavoro. Resta da stabilire se votare in modo distaccato e oggettivo e dare dunque un 9 o se basarsi sull'impressione soggettiva e quindi 7 e mezzo. Dato che qui non siamo per dare i voti che un film obiettivamente merita (altrimenti sai che piattezza...), bensì per esprimere un giudizio personale, scelgo il secondo criterio. Partiamo con la premessa che Dogville è difficile da seguire e Lars Von Trier, tenendo fede ad alcuni principi che egli stesso stabilì in Dogma 95, non fa niente per facilitare il compito. Già quando si scopre che l'ambientazione non è reale, ma è una sorta di palcoscenico nel quale le case sono solo disegnate a terra e gli oggetti, il mobilio e le porte devono essere immaginati dallo spettatore (si sente il rumore delle porte ad esempio, ma non si vedono) è un tonfo, e l'ignara "vittima", si fa per dire, resta per dieci minuti a chiedersi se ci sia un errore. Col tempo ci si abitua all'idea e sembra di giocare a The Sims, con le pareti trasparenti che lasciano vedere ciò che ogni personaggio fa dentro casa. Dogville è anche molto lungo e la sua dimensione di capolavoro emerge lentamente. Bisogna avere pazienza perchè, tranquilli, emergerà. Proprio la difficoltà di rendersi interessante che ha il film all'inizio mi porta ad abbassare il voto e so che può essere una scusante sciocca perchè in fondo anche questo è un espediente funzionale al risultato finale.
Dogville sembrerebbe proprio la cittadina perfetta: arroccata tra le montagne, piccola e nella quale tutti si conoscono e vivono in tranquillità. Ogni abitante pare essenziale a sè e agli altri: insieme costituiscono un organismo minuscolo ma compatto e pienamente funzionante. Arriva però Grace a "rompere" questa armonia, una Nicole Kidman da sogno incarnata in una sorta di messia al femminile. Per essere accettata e protetta si mette al servizio della comunità: all'inizio tutti si rifiutano del suo aiuto perchè nessuno ha bisogno di niente. Ma c'è sempre bisogno d'aiuto... Inizia così un processo di degrado umano e morale di ogni singolo abitante di Dogville che si rivela per ciò che è (per ciò che tutti siamo): l'animale cattivo per eccellenza (come Gobineau ha definito l'uomo) perchè arreca dolore solo per il semplice piacere di farlo, un animale che si organizza in branchi solo per il proprio bisogno e non per il suo spirito socievole (la critica all'ottimismo sociale di Schopenauer). Grace, tra violenze e abusi, incassa e reprime tutto, anzi porge l'altra guancia. Lei sembra un'eccezione alla regola umana, l'unica. Nonostante le innumerevoli cattiverie, che vedono coinvolto anche Tom (quello che dice di amarla, il solo a non abusare fisicamente di lei), fino all'ultimo Grace tiene nascosto il suo segreto per tenere al sicuro la comunità.
All'arrivo del boss, il padre, Grace, messa di fronte a una scelta spigolosa, si dimostra infine uguale a tutti gli altri. Scarica sulla popolazione di Dogville tutte le violenze accumulate, arrivando al culmine della malvagità con la punizione alla madre dei sette bimbi.
Lo stesso spettatore, vedendo questa fine, è portato ad approvare la reazione di Grace e quindi si rivela egli stesso facente parte del mondo descritto dal regista: il mondo di Dogville, nient'altro che la miniatura del nostro mondo.
In conclusione si può leggere la scelta della non scenografia in diversi modi: la voglia di rappresentare l'indole umana spogliata di tutte le maschere e le apparenze (rappresentate dalla casa e dall'arredamento); un modo per raffigurare il tipico paesino in cui tutti sanno tutto di tutti e, dunque, ciò che ciascuno fa in casa propria è quasi di dominio pubblico; un espediente giustificato dall'utilizzo di un narratore onnisciente, che racconta la storia dall'esterno conoscendo già tutti i fatti e quindi con la possibilità di vedere anche attraverso le pareti. In questo modo lo spettatore è partecipe della sua visione a 360° e può analizzare meglio il contenuto della storia.
L'ultima sequenza del cane, unico superstite dell'incendio, che "prende vita" (anche del cane era disegnata per terra solo la sagoma), mi fa pensare ad una possibile considerazione amara (e allo stesso tempo ironica) e paradossale di Von Trier: il cane (e gli animali più in generale) è moralmente superiore all'uomo perchè non essendo dotato di ragione, nè di coscienza e quindi non discernendo il bene dal male, non può compiere nè l'uno nè l'altro (non si fa del bene con la pura esteriorità, ma anche con una compartecipazione interiore) mentre l'uomo è capace solo del secondo. In sostanza il cane rimane disegnato per tutto il tempo perchè passivo alle azioni che si stavano svolgendo e prende vita solo quando esse si sono compiute ed esaurite. Inoltre, ironia della sorte, il cane era stato l'unico ad aver subito in qualche modo un danno da Grace (la quale all'inizio dice di avegli rubato un osso) e tuttavia l'unico a non averle fatto alcun tipo di violenza.
Insomma un film altamente pessimistico e forse uno dei più cattivi e spietati di tutti i tempi. Primo capitolo di una trilogia non completa. Chissà Manderlay...