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Se lo dividiamo in quattro parti nella quarta Ari Aster perde il controllo visivo ma non psicanalitico della sua opera. IN UTERO. Nasce e per circolarità torna all'acqua, alla madre, alla caverna del suo utero, spaventato dall'idea di esserlo e di esserlo comunque, ma Aster livella tutti, chi, non ha paura? Gli occhi di Phoenix catartici, sono bastonati dagli avvenimenti tanto quelli dello spettatore. E alla fine arriviamo sfiniti, in uno spettacolo dove i tifosi tornano a casa, che gli sia piaciuto o no il risultato. In mezzo abbiamo l'epoca dei tiktoker, dei ricatti accessori, del più grande ricatto emotivo quello della madre. Eppure Beau non molla, sbagliando circumnaviga l'inconscio, lo rende ferita, vetro, orgasmo mortis, punizione, catatonia, vera tragedia, insistita, reiterata da Aster senza pietà per nessuno di noi. Il film è un'eiaculazione di Lynch, che a una certa perde di controllo ma che torna dove doveva tornare, e noi, fuochi fatui inermi e sfiniti, non possiamo prendere atto e non possiamo più ignorare Ari Aster nel panorama del cinema che è cinema e non artefatto verbale.