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I SOLITI FILMETTI

Pubblicato il 07/01/2013 12:14:55 da cash



Appena finito di vedere Stay - Nel labirinto della mente. Bella cagata. Però a volte una bella cagata è quello che ci vuole. L'ho visto per noia, e con la noia sono stato ripagato. Solito twist nauseabondamente iterato fino a noia. Se non l'avete visto non fatelo, tanto si capisce da subito che è tutta un'allucinazione pre-morte. Io l'ho capito piuttosto presto, più o meno quando la barra del download era al 45%. Dai "soliti sospetti" non è che freghi la gente così, come se piovesse; personalmente, l'ultimo twist che mi ha fregato è stato quello centrale di Tall man, ignobilmente tradotto con "I bambini di Cold Rock". Anzi, ma quali soliti sospetti; un illustre capolavoro del twist è Jacob's Ladder, anche lui misteriosamente tradotto con "Allucinazione Perversa", titolo che certamente incoraggia la visone. Ecco, il vero mistero è perchè uno si ritrovi con 'sti titoli. Se non avete visto "Jacob's Ladder" fatelo subito; ci tengo talmente tanto acchè lo vediate che manco ve lo spoilero. Che poi Adrian Lyne si è ispirato ad un racconto di Ambrose Bierce, "Accadde al ponte di Owl Creek", anche se non lo ammetterà mai nemmeno sotto tortura. Ok, forse non era saggio citare la fonte dello scopiazzamento sagace, ma anche voi; vi fidate troppo. A questo punto, do per certo che sappiate che per twist si intende una svolta nella narrazione che capovolge il punto di vista, presentando gli eventi da un'angolazione non ortodossa, o qualcosa del genere. Quel che è certo è che il twist andrebbe annoverato tra i generi più acclamati dell'ultimo ventennio/trentennio. Oltre ai già citati, ci sarebbero anche "Il Sesto Senso", "The Others", e poi non mi ricordo più. Ecco, li ho visti e analizzati praticamente tutti, ma è come quando vi chiedono a bruciapelo di raccontare una barzelletta; le sapete, e pure tante, ma lì per lì non riuscite a cacciarne fuori una che sia una. Tornando a "Stay"; solita sbobba, ma ben cucinata. Buona regia e buona recitazione, nonostante l'abuso di inquadrature sghembe. Non si sa come, ma il film funziona, nonostante la presenza di un cane come Ryan Gosling ("Drive" fa schifo because of him). Già, funziona; basta far finta di non aver vissuto su questo pianeta per almeno trent'anni. A me riesce facile; pensate, ogni mattina mi sveglio e mi lavo i denti, anche se l'ho già fatto il giorno precedente. Ah, forse prima vi ho detto di non vederlo e ora vi consiglio di farlo, ma non ricordo e non ho voglia di rileggere. Abbiate pietà.

L’Odissea del cinema

Pubblicato il 15/10/2012 08:38:07 da Stefano Santoli


Mark Cousins è un genio. Mark Cousins è un pazzo. Mark Cousins è l’autore di un documentario di 15 ore sulla storia del cinema, che si chiama “The Story of film”: prodotto per il canale televisivo More4, presentato al Toronto Film Festival, è ora in alcune sale italiane, distribuito dalla Bim (Dio li benedica), e il 4 dicembre prossimo sarà disponibile in dvd. Un cofanetto di 5 dvd che non vedo l’ora di acquistare.
Vedere il film al cinema è un po’ complicato. Come si fa a distribuire un film di 15 episodi? Un po’ come Heimat, lo si proietta a puntate. Siccome ogni episodio dura un’ora, il film è stato suddiviso in sette parti (sì, l’ultima dura 3 ore), ciascuna delle quali esce la settimana successiva alla precedente. Il problema è che il film viene proiettato soltanto una sera alla settimana, in pochissime sale di nove città italiane (nella maggior parte delle città la prima parte, comprendente i primi 2 episodi, è stata proiettata martedì 25 settembre scorso. A Firenze la proiezione è stata anticipata di una settimana; a Mestre slittata di una).
Ora vi starete chiedendo, perché non si sia pensato bene di distribuire direttamente in qualche canale televisivo un’opera del genere. Al di là degli ovvi motivi di ordine finanziario (“The story of film” evidentemente non interessava a nessun canale televisivo nostrano…), le ragioni sono qualitative. Il lavoro di Mark Cousins è di valore superiore.
E’ per questo che attendo con impazienza l’uscita del cofanetto.
Ho potuto vedere due episodi in anteprima, ed è stato un trip. O, se preferite, un orgasmo cinefilo.
Mark Cousins reinventa la storia del cinema tradizionale, guidato da due parole chiave: innovazione e ribellione. Per raccontare il nuovo cinema americano degli anni ’70, per dire, non comincia dove ogni manuale di storia del cinema comincerebbe – cioè da Coppola, da Scorsese, dalla factory di Corman o da “
Gangster Story”. I mostri sacri del New American Cinema li lascia per ultimi, e non ci fa vedere “Il Padrino”: semmai “Taxi driver”. Ma lui inizia dalla satira (da “MASH” e “Comma 22”), prosegue con la contestazione e con il cinema dei neri d’America (appassionandoci a Charles Burnett e al suo “Killer of sheep”). Infine si dedica a un’intervista a Paul Schrader, con il quale discute – fra le altre cose – della citazione con cui “American gigolo” omaggia nel finale “Pickpocket” di Bresson…
A proposito delle interviste: c’è da dire che il documentario di Mark Cousins in questo è molto lontano dall’impianto dei documentari tradizionali. Poche le interviste, molte le scene girate direttamente da Cousins stesso sui luoghi del cinema (decine di paesi esplorati, in sei continenti), adattando il proprio stile a quello del cinema e dell’epoca di cui sta parlando, per suggerire anche attraverso le immagini – di grande sensibilità, peraltro – e rendere più agevole la comprensione del discorso che, di volta in volta, conduce.
A parte le scene girate direttamente da Cousins, però, a farla da padrone è il cinema stesso, attraverso le circa mille scene di film scelte da Cousins. “The story of film” è un condensato di storia del cinema che si mostra: se per Hitchkock il cinema era la vita senza i momenti noiosi, il monumento eretto da Cousins alla storia del cinema è una sorta di trailer di 15 ore del cinema tutto, di tutti i tempi e di tutte le latitudini. Senza i momenti noiosi.
In più, come dice Cousins, “parlare con Baz Luhrmann della scena dell’acquario in Romeo + Giulietta e poi montare la sua voce sulla sequenza dell’acquario è qualcosa di molto più intimo e vicino al film, che non limitarsi a scrivere di quella scena”.

La cosa più bella di tutto ciò è l’equilibrio formidabile tra capacità di “insegnamento” e capacità di coinvolgimento. Durante i due episodi che ho visto, non ho avuto un momento di noia, un sussulto di impazienza o una fase di smarrimento. Quando Cousins ti parla di film che ami o che comunque conosci, ti sollecita nuove suggestioni e ti apre una prospettiva, uno sguardo ulteriore. Quando Cousins si addentra in territori a te poco noti o del tutto sconosciuti, si lascia seguire perfettamente, pur con un ritmo sempre incalzante (e mai prolisso). Quel che ti rimane è la sensazione che, prima di aver avuto la fortuna di imbatterti in “The story of film”, conoscevi molto meno di quel che credevi, e, insieme a questa, la sensazione di avere di fronte un universo ancora inesplorato. E, per di più, con sottomano le mappe per orientarti, e i percorsi da seguire.
Affascinante.

Lo stile di Cousins va di pari passo alla sua strabordante cinefilia: appassionato, e allo stesso tempo lucido, è per lo più distante dall’accademia, incentrato com’è sui due pilastri portanti costituiti dalla “ribellione” e dall’ “innovazione” (che meraviglia il discorso sulla profondità di campo, nel quinto episodio!, con fior fior di scene che esemplificano quello che la voce narrante spiega, o per meglio dire scene nobilitate e rese trasparenti, nei loro valori formali, stilistici ed artistici, mentre la voce fuori campo te li illustra!).

Che altro ancora dire? In attesa di riparlarne a visione completa, qualche dato di produzione, che soddisfa la curiosità di chi, come me, si è chiesto come diavolo abbia fatto questo genio, questo pazzo nordirlandese di Belfast, a realizzare un lavoro simile. Cousins di persona è un ragazzo simpaticissimo, che assomiglia un po’ a Morrissey, dalle osservazioni acute e stimolanti, e dal ciuffo riccio, che sprizza da tutti i pori la sua passione per il cinema (all’intervista con la stampa si è presentato con una t-shirt con su scritto “cinephile”). Leggo le sue note biografiche: tutto è nato da un libro, “The story of film” appunto, risalente ai primi anni 2000, scritto di getto in undici mesi: un libro privo di troppi tecnicismi (e ci credo, visto che anche il film parla un linguaggio assai semplice e fruibile anche dai “non addetti ai lavori”), e destinato al grande pubblico. …Spero sia presto tradotto anche in Italia.
Nel 2005, a Cousins fu proposto di girare un documentario a partire dal suo libro: quello che inizialmente era già un ambizioso progetto della durata preventivata di tre ore, nel corso dei suoi oltre cinque anni di gestazione è lievitato a quello che vediamo adesso, ossia il primo documentario integrale che illustra la storia del cinema attraverso i film.
Delirante, forse, nella sua ambizione di concentrarsi “enciclopedicamente” sull’insieme, ma pur sempre qualcosa che - mi pare - non era stata ancora mai tentata da nessuno, sotto questa forma. E, quel che più conta, è un’operazione completamente riuscita. E se così è – e diavolo se lo sembra, dai due episodi che ho visto – lo è grazie non solo al talento e alla competenza, all’originale intelligenza del suo autore. Che saranno tante finché si vuole: ma, come dice proprio Cousins, il suo “è un atto d’amore per il cinema”.
Un atto d’amore che innamora.

PS: qui trovate la lista completa del migliaio di film che potrete vedere, guardando “The story of film”. Ordinati per episodi.
Come abbiano fatto davvero con i copyright, non me lo chiedete.

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