viva zapatero! regia di Sabina Guzzanti Italia 2005
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viva zapatero! (2005)

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locandina del film VIVA ZAPATERO!

Titolo Originale: VIVA ZAPATERO!

RegiaSabina Guzzanti

InterpretiRory Bremner, Sabina Guzzanti, Daniele Luttazzi, Michele Santoro, Enzo Biagi, Fabrizio Morri, Valerio Terenzio, Andrea Salerno, Lucia Annunziata, Beppe Giulietti, Claudio Petruccioli, Dario Fo, Flavio Cattaneo, Luciano Canfora, Karl Zero

Durata: h 1.20
NazionalitàItalia 2005
Generedocumentario
Al cinema nel Settembre 2005

•  Altri film di Sabina Guzzanti

Trama del film Viva zapatero!

Le vicende di 'Raiot', l'ultimo spettacolo di Sabina Guzzanti sospeso dalla Rai dopo una sola puntata, sono lo spunto per parlare di satira con alcuni dei principali esponenti europei fra cui il premio Nobel Dario Fo e in generale fare il punto sulla libertà di informazione in Italia.

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Voto Visitatori:   6,87 / 10 (126 voti)6,87Grafico
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Voti e commenti su Viva zapatero!, 126 opinioni inserite

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JoJo  @  12/10/2005 20:17:53
   1 / 10
Un film propagandistico assolutamente inutile. Come quasi sempre risultano essere documentari di questo stampo fatti con precisi intenti politici (chiaramente negati come da prammatica) ed, appunto, si perdoni la ripetizione, propagandistici.
L'evocazione istintiva (e naturale) al Fahrenheit di Moore che lo spettatore si potrebbe trovare a fare, in questo caso, è assolutamente azzeccata, perché, nonostante il ciccione buontempone americano abbia fatto un lavoro apparentemente molto più unilaterale di quello guzzantiano, in realtà andando a scavare un po' più nel profondo si riesce a notare che il messaggio "anche turandovi il naso non votate la jena ridens e i suoi amici" (o meglio, “turatevi il naso e non votate la jena ridens e i suoi amici” - da notare il fatto che è un messaggio “contro”, non “pro”) è lapalissiano. S'è parlato d'ostracizzazione del film, d'un ignorar una pellicola che a Venezia ha meritato applausi su applausi, ma nessuno s'è fermato a pensare un attimo una cosa, un piccolo particolare che accomuna questo film a Fahrenheit 9/11 (ma che, ad esempio, è la differenza sostanziale con quella cosa meravigliosa che è Bowling a Columbine): lavori di questo genere non hanno mercato, o più precisamente hanno un mercato limitato a priori.
Perché spendere soldi per pubblicizzare e puntare alla distribuzione di massa d'un'opera che comunque sia sarebbe vista sempre e comunque dallo stesso numero di spettatori? La Lucky Red non è propriamente la DreamWorks, ed inoltre già di suo la cosa sarebbe antieconomica. Ostracismo? Sarà... ma sicuramente la fetta di cinefili cui questo film finisce col rivolgersi è sempre molto ristretta. Già, perché alla fine questo è un film per sinistroidi di varia confessione che altro non aspettano che avere nuovo materiale per dar contro all'onnipresente signor B., sempre alla ricerca d'una nuova scusa per indignarsi, per sfogare il proprio sentimento d'impotenza, dimentichi sempre e comunque che la banda berlusconiana rappresenta il governo italiano di destra, non il governo della destra italiana: che piaccia o meno, è lui il rappresentante per eccellenza della nazione, idea che l'intellighenzia più o meno vagamente di sinistra s'ostina a non voler accettare, guardando dall'alto in basso quelli che giudica "ingenui" in quanto elettori d'un personaggio multiforme che appare a tratti come un pagliaccio da sbeffeggiare ed a tratti come un genio del male che punta ad una subdola dittatura mascherata da regime democratico.
Un film senza mercato che si traina dietro tutte le pregiudiziali del caso, una sorta di piaggeria ammiccante nei confronti dello spettatore che altro non vuol sentirsi dire tranne che ha ragione, seguendo un ritornello che nel suo stanco ripetersi non fa presa più su nessun altro, un film che sprizza moralismo massimalista (mascherato da buon senso) da tutti i pori, con buona pace del pragmatismo cui s'è costretti dalla dura realtà, una continua sterile critica che guizza a dritta e a manca e si rifiuta di scendere a patti con il reale, perché s'è duri e puri e tali bisogna sempre rimanere, senza accettar compromessi che la contingenza pur dovrebbe imporre. Compromessi non solo (e non tanto) con la parte politica, ma anche con larghe fasce della società che a quanto pare se ne strafregano dei problemi che lei cerca di porre all'attenzione, rivangando, ricascando nel grande male storico della sinistra, con le sue frange massimaliste rinchiuse nelle loro ideologie e nei loro assolutismi (Mussolini ha ringraziato) che sono sempre state il vero ostacolo per la conquista dell'esecutivo (perfettamente rappresentato dalla tragicommedia del naufragio del governo Prodi nel 2001 - ed ancor più messo in mostra dalla mitica imitazione bertinottiana di Corrado Guzzanti).
A proposito di Mussolini, poi, è curiosamente fazioso (o forse, visto il protagonista, sincero... il che sarebbe d'una gravità patologica), nonché un falso storico allucinante il semplicistico intervento di Furio Colombo col suo "come potevano non vedere", il parallelismo con l'ascesa e (di seguito) la propaganda fascista: nel bene e nel male, due cose completamente diverse. L'ascesa? Ben altre son state le cause, e ben diverse eran le premesse di partenza: una delle motivazioni ad esempio era che l'Italia voleva ordine e sicurezza, Mussolini, senza star a rivangare i come ed i perché, la garantiva. L'indottrinamento? Sì, certo, c'è stato, ma è stato posteriore all'effettiva emersione predominante del potere fascista, e soprattutto è stato ottenuto con mezzi diversi. La mistificazione, il piegare l'evento passato al proprio desiderio interpretativo è una cosa che fa male, e forse è questo il passaggio emblematico della faziosità di fondo che oltrepassa e fa cascare il tentativo di raggiungimento d'un'onestà intellettuale e di sopravvivenza nella giungla d'equilibrismi logico-informativi cui la Guzzanti era costretta dalla natura stessa del suo lavoro. L'associazione dittatoriale Mussolini-Berlusconi, oltre che essere una soluzione di comodo che comunque pregiudica a priori l'accettazione da parte d'un pubblico che parte con un atteggiamento critico e diffidente nei confronti della matrice ideologica cui appartiene l'autrice di quest'opera, è ridicola; forse sfugge a molti che l'inseguimento di questo principio fondante della teoria della dittatura morbida (mediatica) così come viene presentata implicherebbe un'ammissione che stravolgerebbe la lettura della storia d'Italia. Sì, perché presupporre una via di controllo di massa così forte tramite lottizzazione (fenomeno innegabile ed accertato, e tragicamente attuale, questo è indubbio) farebbe passare l'idea che in realtà la dittatura in Italia ci sia sempre stata: il magnate dell'informazione Berlusconi che controlla il novanta e passa per cento dell'informazione impallidisce al confronto della Rai monopolista inizialmente 100% democristiana e comunque con un fortissimo controllo politico governativo tranne che nell'isola comunista di Rai3 (esattamente come ora). Non s'era sotto dittatura durante la Prima Repubblica, non lo si è nemmeno ora in questa Seconda, e provar a sostenere il contrario fa male innanzitutto alla stessa democrazia che si vorrebbe difendere, un concetto di democrazia che tra l'altro era inizialmente specificamente d'una parte dell'opinione pubblica e che invece evidentemente è andata proliferando ovunque, ovvero una democrazia ove "io ho sempre ragione e tu torto" in cui alla stupidità delle masse che sbagliano si deve rispondere con una sorta d'oligarchia illuminata. Questo è uno dei concetti fondanti che avanzano lungo questo lavoro con quest'impronta, uno dei messaggi impliciti di fondo che sotto traccia, sotto questa grande accusa antiberlusconiana ed antiistituzionale in genere (perché d'altra parte, anche contro larghe fasce della sponda opposta la Guzzanti equanimamente si scaglia) c'è quest'idea strisciante. La Guzzanti spiega quanto sono liberali (normali) all'estero, ma sembra non offrire strumenti per ripristinare tal situazione in Italia, se non questa sottotraccia che è un'idea che si diffonde silenziosamente e pian piano in certi ambienti propri della fetta sociale cui si rivolge.
C'è chi parla di tentativo di sveglia: cercar di ridestar chi è già vigile suona un po' come qualcosa di buffo. Sabina Guzzanti parte da questo recinto settarista ed in questo recinto settarista rimane, come se non le sia veramente mai passato per l'anticamera del cervello che un documentario-propaganda (lei negherà pure, ma a quello alla fine si sottende) di tal genere non possa far altro che scivolar via nell'anonimato, senza nemmeno rischiare d'ottenere l'effetto boomerang che alcuni analisti politici paventavano in seguito all'uscita del film di Moore, dimentica del fatto che, alla sfilza d'affermazioni, domande retoriche e quesiti sconcertanti nella loro semplicità, la risposta che sentirà sempre riecchieggiare sarà: "...e allora?"
Un film inutile, un'orgogliosa (e narcisistica) rivendicazione d'un'interprete e grande esponente della "casta satirica" che sembra incapace d'avvicinarsi veramente a coloro che avrebbero più bisogno d'ascoltarla, come se parlassero linguaggi diversi. I soliti problemi dei soliti allarmisti che con le solite espressioni urlano le solite cose alla solita maniera: l'incapacità d'uscire dalla ghettizzazione in cui è finita col trovarsi è evidente. Un film culturalmente elitario (dove per cultura non s'intende erudizione) che finisce con l'essere bocciato su tutta la linea. Forse è il suo stile, forse è proprio lei, ma s'è distanti anni luce sia da film d'inchiesta alla JFK di Stone che soprattutto dalla sferzante potenza di Bowling a Columbine, dove politica e sentimento si coniugano in una commistione che danno un'anima ad un'opera potenzialmente anonima. Forse anonimo, ancor più che sterile, è l'aggettivo che connota meglio questo film.
La visione è sconsigliata a coloro che non la pensano come la Guzzanti, perché sarebbe solo tempo buttato ed al massimo perderebbero ulteriormente stima nei confronti d'una delle massime espressioni della comicità italiana viventi, ed anche a coloro che la pensano come lei: strillar allo scandalo e scivolar nell'autocompiaciuto sdegno non fa mai bene a nessuno, soprattutto a coloro vedendo questo film credono d'aver fatto tutto quel che potevano nella società italiana, o che comunque nient'altro faranno. Non è guardando documentari che confermano e semmai estremizzano le proprie propensioni che si migliora l'Italia, e questo film, che finisce col rivolgersi a costoro, dovrebbe non a loro far riferimento, ma proprio a tutto il resto della società.
Terribile dualismo, proprio terribile questo dilemma che la Guzzanti non riesce a dirimere, perché, comunque sia, al di la' d'ogni altra possibile interpretazione, manca la risposta all'eterna, persistente domanda che altro non è che il focus dell'intera vicenda:

"...e allora?"

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Ultima risposta 06/01/2008 12.07.43
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