I coniugi Chamberlain, accusati di aver ucciso la figlioletta neonata, sostengono che la bimba è stata rapita di notte da un cane selvatico, introdottosi nel campeggio dove trascorrevano le vacanze. I media impazzano, l'opinione pubblica è ostile; mentre la madre, dura ai limiti dell'antipatia, non cede, il padre invece crolla...
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Il tema del film di Schepisi sarà sempre attuale e tanto per citare il caso nostrano di Cogne, non stupisce affatto, purtroppo. Succede sempre in casi eclatanti che vengono tolti dalle loro sedi appartenenza, cioé le aule dei tribunali, per essere portati in aule meno consone come quelle dei media dove si svolgono processi paralleli a quello ufficiale, ma che influenzano gli umori di quello ufficiale. Un grido nella notte presenta principalmente un taglio cronachistico: la scomparsa della bambina, le inchieste che si sono succedute e tutta la grancassa mediatica che droga letteralmente l'opinione pubblica. All'interno di questa impostazione, c'è la sfera intima dei protagonisti, prototipo classico di famiglia serena e felice che vengono travolti non solo dalla morte della figlia, ma anche dalla tempesta che si scatena attorno alle loro figure, mostrando lo sfaldamento del nucleo familiare dove solo Lindy riesce a sostenere un peso così enorme che travolge il marito. Un caso che mostra quanto di peggio può mostrare un'opinione pubblica travolta anch'essa da pregiudizi scatenati da illazione e dicerie. Uno sguardo amaro che forse il finale un po' edulcolorato nel descrivere una famiglia ritornata alla serenità iniziale (diversamente dalla storia vera), attutisce la forza della denuncia.