Quando il visionario architetto László Toth e la moglie Erzsébet fuggono dall'Europa del dopoguerra nel 1947 per ricostruire la loro ereditŕ e assistere alla nascita dei moderni Stati Uniti, le loro vite cambiano per sempre nel momento in cui vengono approcciati da un ricco e misterioso cliente.
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Gran bella confezione specie considerato il budget bassissimo per un film hollywoodiano (praticamente una produzione medio-alta italiana) ma The Brutalist non lascia davvero granché.
Parte anche bene, con l'arrivo di Laszlo in America, il primo lavoro, la ristrutturazione della biblioteca, l'arte europea provata a spiegare al magnate becero e capitalista americano. Poi però il film non fa mai un vero e proprio salto di qualità, raccontandoci la storia anche in maniera didascalica e sempliciotta. I personaggi (quantomeno i due comprimari) sono davvero ottusi e macchiettistici, non si percepisce mai il tormento emotivo e fisico di Brody (neanche la dipendenza dall'oppio e dall'eroina), non si sente mai la fatica del processo creativo e della costruzione di questo edificio-mausoleo (addirittura a un certo punto del film, l'interruzione dei lavori è legata a un terzo evento, fuori scena, di cui ti frega poco e niente). Pearce porta in scena un miliardario che sembra uscito dal Monopoli, che non affascina nè intimorisce, anche leggermente isterico, che praticamente stupra (metaforicamente e non, qualora il film non fosse già abbastanza didascalico) il povero Brody, che invece è il solito eroe geniale puro, irreprensibile, da latte alle ginocchia.
Fosse durato due orette scarse, per la quantità (e qualità) di cose che accadono, sarebbe stato anche accettabile.
Per un film che racconta perfettamente ma indirettamente la storia americana del Novecento, mi vado volentieri a rivedere Il Petroliere.