In un'America sull'orlo del collasso, attraverso terre desolate e città distrutte dall’esplosione di una guerra civile, un gruppo di reporter intraprende un viaggio in condizioni estreme, mettendo a rischio le proprie vite per raccontare la verità.
Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
Ancor'un film sui fotoreporter di guerra? Un commentatore si lamenta ricordando giusto "Nightcrawler" (Dan Gilroy 2014). Restando nell'ultimo quindicennio: e "The Bang Bang Club" (Silver 2010) o "A Private War" (Heineman 2018)? Immagino che Garland ne sia stato consapevole e abbia cercato di correre ai ripari rimpolpando la trama con due processi reciproci e inversi, la perdita d'innocenza d'una 23enne e la riacquisizione della propria umanità da parte della sua mentore. Materia sufficiente per un blockbuster d'autore? No, affatto, pertanto il regista londinese rispolvera la distopia (post-)apocalittica di "28 Days Later", sua la sceneggiatura, e la contestualizza in qualcosa che potrebb'essere il sequel di "Leave the World Behind" (Esmail 2023). Com'il titolo, non è un McGuffin cinematografico ma un escamotage di marketing: guerra civile, panbellicismo hobbesiano, declino della civiltà occidentale, crisi della democrazia, morte d'una nazione, polarizzazione politica, le prossime presidenziali statunitensi sono men ch'accennati. Polemiche accesissime, sostanza zero. Un road movie che non sa dov'andare a parare, "Rocket U.S.A." dei Suicide dice di più e meglio nel 1977 e in 4 minuti e 16 (https://www.youtube.com/watch?v=q_W5HO8MJVQ), l'ambivalenza semantica di "shot" è già nel finale di "Der Stand der Dinge" (Wenders 1982: https://www.youtube.com/watch?v=3aOjb7TmcfY), iconiche appena un paio di scene, quella con Plemons e quella in cui la moglie Dunst e Spaeny si guardano tra fiori e piantine mentre si sono gettate a terra per schivare i proiettili.