Recensione eden lake regia di James Watkins Gran Bretagna 2008
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Recensione eden lake (2008)

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locandina del film EDEN LAKE

Immagine tratta dal film EDEN LAKE

Immagine tratta dal film EDEN LAKE

Immagine tratta dal film EDEN LAKE

Immagine tratta dal film EDEN LAKE

Immagine tratta dal film EDEN LAKE
 

Oggi come oggi, nei blog e nei forum di mezzo mondo si recepisce spesso una sorta di frustrazione del cinefilo attratto da film dell'orrore. E sì che, paradossalmente, siamo in un'epoca in cui gli horror crescono come funghi in ogni angolo.
Il problema è che tante volte sono funghi marci o velenosi. La corsa al commerciale e il proliferare di case produttrici minori sono due tra i fattori che generano questa Babele: film scopiazzati, film inguardabili, film insensati.
Fortunatamente, grazie al talento di alcuni "addetti al mestiere" (e anche alla legge dei grandi numeri), ogni tanto vengono alla luce cose veramente buone. E' il caso di "Eden Lake".

A Jenny non manca nulla per essere felice: è una bella ragazza, è una dolce insegnante di scuola materna, è felicemente innamorata. E un weekend di serenità e amore è proprio quello che inizia quando sale sulla macchina del suo fidanzato Steve: la coppia infatti abbandona le strade cittadine per un fine settimana a contatto con la natura, nell'incantevole cornice di Eden Lake.
Viste le premesse, è perfettamente intuibile che capiterà qualcosa a stravolgere i loro programmi. La coppia infatti attirerà le attenzioni di un gruppo di ragazzi del posto, attenzioni che diventeranno sempre più moleste. Il crudele e perverso "gioco" dei giovani vandali trascinerà i due fidanzati in un inferno, a discapito del promettente (ed ingannevole) paradisiaco nome della località di "Eden Lake".

James Watkins esordisce col botto: a soli 30 anni confeziona un film che ottiene numerosi apprezzamenti da parte di pubblico e critica, in patria ma anche a livello internazionale. Proprio per questo, si ritrova ad affrontare un'importante sfida contro sé stesso: la sfida del confermarsi a buoni livelli coi successivi lavori. E' una sfida intrigante, nonostante sia iniziata con un risultato mediocre, visto che con il suo secondo film ("The Woman in Black", 2012), il regista britannico non ottiene lo stesso successo dell'esordio. Watkins mostra comunque di avere promettenti potenzialità (non solo come regista, ma anche come sceneggiatore) che si spera di poter apprezzare in altri lavori.
Il successo ottenuto va comunque condiviso col cast.
Kelly Reilly è la giovane, valida e bella attrice, apprezzata per esempio nei due "Sherlock Holmes" di Guy Ritchie o nei due film di Klapisch, "L'appartamento spagnolo" e "Bambole russe" (e presente anche nel noto "Orgoglio e pregiudizio" di Joe Wright). Affascinante e decisamente convincente protagonista che non fa mai sembrare banale il proprio personaggio, la Reilly impersona ottimamente la povera Jenny, sottolineandone con abilità la dolcezza, il terrore, la determinazione.
Buona anche la prova del suo partner, Michael Fassbender, e ancor di più quella dei ragazzi della gang. Tra questi spiccano le interpretazioni del giovane Jack O'Connell, ottimo nei panni dello spietato capobanda, e il biondo Thomas Turgoose, già bravissimo ed indimenticabile protagonista di due capolavori di Shane Meadows ("This is England" e "Somers Town").

Watkins fa un ottimo lavoro sotto molti punti di vista.
In primo luogo, è abilissimo nel dirigere una storia che avrebbe potuto peccare di banalità (quante trame simili esistono oggigiorno?). La prima parte, dal ritmo pacato, costruisce perfettamente quel quadro armonico che poi verrà sistematicamente ed irrimediabilmente distrutto in un tremendo crescendo di violenza. La storia rapisce lo spettatore, proiettandolo in un clima di ansia opprimente e sempre maggiore, coinvolgendo al punto che viene quasi spontaneo sperare che il bel visino di Jenny torni ad essere pulito e sorridente.
In secondo luogo, scrive un film di notevole forza psicologica. Da una parte, per come genera la componente ANSIA: la storia riesce a creare una perenne sensazione che stia per succedere qualcosa di tremendo, tenendo lo spettatore sulla corda. E creare tale suspance in un film in cui non c'è un "cattivo" misterioso, perché i "cattivi" sono visibili fin da subito, è certamente un ottimo risultato. Dall'altra parte, per come gestisce la componente VIOLENZA: lo spettatore ricava dalla visione sensazioni di violenza, senza accorgersi che in realtà gran parte delle scene più crude non viene mostrata, bensì fatta intuire. E' un dettaglio importante, poiché denota una certa potenza espressiva anche a livello di "non detto".
In terzo luogo, viene fornito un contributo essenziale anche dalle ambientazioni. Certo, rappresentare inseguimenti ed orrori in un bosco non è affatto una scelta innovativa, ma nella fattispecie si rivela senz'altro efficace. La natura funge qui da background versatile: se nella prima parte il laghetto immerso nel verde si presta a fare da sfondo estremamente poetico al weekend d'amore della coppia, nella seconda parte sembra di sprofondare in una natura che mostra il suo lato più tenebroso. Le crudeltà e gli inseguimenti avvengono nell'asfissiante stretta di una vegetazione rigogliosa che si fa sempre più buia, ostile e minacciosa. Teatro di una caccia in cui la preda è non più l'animale, ma l'uomo.
In quarto luogo, spicca un finale notevole e tremendo: ciliegina sulla torta di un film eccellente, coinvolgente, emozionante e riflessivo.

Pellicola di pregevole fattura estetica, "Eden Lake" ha pure un'importante ricchezza contenutistica, che ruota attorno alla provocazione, non certo velata, sull'argomento "educazione dei figli".
Già nei primi minuti vi sono dettagli che rischiano di passare inosservati, mentre invece contengono indicazioni e dichiarazioni d'intenti. Tanto per iniziare, il fatto che la stessa Jenny sia un'insegnante forse non è poi casuale come può sembrare. Stesso discorso per le parole che si sentono all'autoradio. All'apparenza, le parole che accompagnano lo scorrere dei titoli di apertura cpstituiscono un insignificante sottofondo al viaggio, ma in realtà dicono molto sui temi trattati: "Buon pomeriggio. Stavate parlando di genitori con poco tempo, che non riescono a controllare il comportamento dei loro figli".
E' una critica alla società contemporanea, caratterizzata da una famiglia che spesso è troppo assente o disinteressata: mentre questo gruppo di dodicenni trascorre ventiquattr'ore in un bosco "a caccia" di umani, i rispettivi genitori stanno partecipando ad una festa con musica, piscina e sesso nei bagni.
La raccapricciante storia narrata in "Eden Lake" mostra come ragazzini, senza punti di riferimento e senza una famiglia realmente presente, siano estremamente inclini a seguire una figura forte che si ponga come leader. Nel bene o nel male. Il capobanda è un personaggio studiato per mostrare come spesso il carisma, a maggior ragione se malvagio o comunque tenebroso, eserciti un'irresistibile forza d'attrazione, tanto più ove esercitato in un gruppo di persone giovani e quindi fragili, non educate o semplicemente non ancora preparate a discernere il bene e il male. L'esperienza mostra che questa impreparazione si intreccia a dinamiche di accettazione: il "gruppo" diventa unico orizzonte morale, una catena che impedisce alla coscienza in fieri di un ragazzo di esprimersi con decisione.
Questo gioco di magnetismi psicologici sortisce diversi effetti. In primis genera succubanza e asservimento nella psiche più fragile (vedi Alan): vi è chi pur di sentirsi accettato e valorizzato non esita a fare cose orrende. Oppure può generare il dubbio in menti più mature, e la riflessione sul giusto/sbagliato (vedi Cooper).
Come se non ci fosse abbastanza carne al fuoco, a tutto questo si aggiunge il ruolo della ragazzina, sempre pronta a filmare col cellulare le angherie e le violenze effettuate dagli amici. Facile leggervi un palese richiamo all'esasperazione di "esibizionismo & voyeurismo" tipica del nuovo millennio, epoca in cui ormai chiunque, senza controllo, può mostrare e vedere ogni cosa.

La conclusione è scontata e incontestabile: i figli sono le prime vittime dell'irresponsabile noncuranza dei genitori. Se l'esasperazione dei comportamenti è un espediente cinematografico, il film si atteggia a denuncia di una situazione reale, valutata con marcato pessimismo: non c'è redenzione, non c'è salvezza, né per i buoni né per coloro che vogliono redimersi. E continuerà ad essere così, finché ci si ostinerà a non voler vedere, nascondendosi dietro ad un dito ("Sono solo ragazzi").

Per chiudere, un cenno relativo al genere cinematografico e ai richiami nel mondo del cinema.
Le parole dello stesso Watkins forniscono un'essenziale definizione del film: "It feels so real. It's not monsters or vampires, but kids. Homegrown horror" ("Sembra così reale. Non si tratta di mostri o vampiri, ma di ragazzi. Horror cresciuto in casa"). Giusto quindi definirlo, anche per le sue caratteristiche, un survival horror, anche se, in virtù della componente splatter tutto sommato contenuta, potrebbe anche essere considerato un thriller ansiogeno.
Vi è chi trova in "Eden Lake" un richiamo ad alcuni famosi rape & revenge: "La fontana della vergine" (Ingmar Bergman, 1960), "L'ultima casa a sinistra" (Wes Craven, 1972) e "Non violentate Jennifer" (Meir Zarchi, 1978). Ma è un accostamento solo parziale, a dire la verità piuttosto forzato e limitante, dovuto essenzialmente ad elementi comuni come la vittima di sesso femminile oppure le ambientazioni.
Si rivela molto più interessante invece accostare questo film a lavori simili per tematica.
In generale, il tema dei "bambini cattivi" è riscontrabile in diversi thriller-horror più o meno noti: dai datati "Il villaggio dei dannati" (1960, che però strizza l'occhio alla fantascienza) e "Ma come si può uccidere un bambino" (1976) ai più recenti "Funny games" di Haneke (1997, anche se si tratta già di ragazzi), "The children" (2008) e "Offspring" (2009).
Ma l'accostamento più intrigante e profondo è quello che si può intessere sulla base dell'analisi psicosociale dei minori e delle derive comportamentali deviate o violente. In questi termini, è estremamente suggestivo un parallelo con "Il signore delle mosche" (versione cinematografica datata 1963 del bellissimo libro di William Golding), e ancor più con i due film-verità del 2007 relativi al caso Sylvia Likens: "The girl next door" e "An american crime".

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Recensione a cura di ilSimo81 - aggiornata al 30/07/2012 15.21.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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