All’inizio del XX secolo, la scoperta del petrolio trasformò l’esistenza degli Osage che diventarono da un giorno all’altro immensamente ricchi. L’improvviso benessere di questi nativi americani attirò l’interesse dei bianchi che iniziarono a manipolare, estorcere e sottrarre con l’inganno i beni degli Osage fino a ricorrere all’omicidio. Una storia d’amore e tradimenti, delitti e misteri in un intrigo avvincente per la scoperta della verità.
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Prolisso, ridondante, con uno Scorsese pieno di se stesso, con una durata del film che se durava la metà era pure troppo. Ma ormai a questi livelli se non fai un opera che non dura almeno due ore e mezza non sei nessuno. E la noia fa capolino...
Scorsese ha perso il senso della misura, per una storia semplice come questa bastavano max un'ora e mezza di pellicola invece Scorsese allunga fino all'inverosimile il film che va avanti senza guizzi, colpi di scena o sussulti di sceneggiatura, poi parafrasando Paul Schrader, tre ore e e mezza con protagonista un idiota sono francamente troppe, pure Scemo e + Scemo fosse stato così lungo non avrebbe fatto ridere a nessuno
Appena finito di vedere. A me, non è piaciuto. Cioè proprio non mi ha emozionato..nonostante la discreta prova del cast e l'innegabile buona regia di Scorsese. Pellicola troppo prolissa, alcune scene incomprensibili e/o poco utili alla storia; ripeto, sono rimasto deluso dal film.
La banalità teologica di (questo) Scorsese Durant'una pausa dello spot per la Fiat 600e, DiCaprio bacia la moglie mentre l'avvelena o l'avvelena mentre la bacia. È il "Judas Kiss", la poetica di Scorsese impoverita, immiserita, depauperata fin'a una singola stupida idea. Come prendere dalla "Commedia" dantesca solo il quarto cerchio dell'"Inferno", il girone degl'avidi col De Niro luciferino d'"Angel Heart" (Parker '87) e ogn'altro personaggio raffigurato com'una delle caricature deformi di Grosz contro banchieri, affaristi e redditieri. Nell'eziologia del male la "reductio ad unum" neotestamentaria non può consistere nei 30 denari, i "trenta pezzi d'argento" di Matteo 26, 14-16 (https://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Matteo+26,+14-16), il peccat'originale che si propaga contagiando prima gl'Osage macchiati dagli zampilli di petrolio e poi i bianchi non può esser'individuato nello "sterco del diavolo", collo di bottiglia in cui s'era già infilato Bresson col suo ultimo film "L'Argent" ('83), mentre l'ex seminarista ha cominciato a mostrare 'sta fissa d'almeno "Casino" del '95, forse da "Goodfellas" del '90 o ancor prima da "The Color of Money" dell'86. Il serpente (o coyote) tentatore non può assumere il significato unifattoriale della "cupiditas" verso i soldi. Voglio dire: unire Griffith e Stroheim si può fare qualche volta, ma Scorsese stesso ci aveva abituato a disamine più sfaccettate. In un altro suo film a caso, "New York, New York" ('77), il "Major Chord" indica la sin qui vana speranza ch'una coppia s'emancipi dai rapporti di forza, sopraffazione, predatorietà raggiungendo un equilibrio "economico" nel valore reciproco e non in senso letterale. Materia ormai ereditata da P.T. Anderson anche se in modo altrettanto ossessivo-compulsivo. La resa dell'Inferno con la scena dell'incendio è più pregevole di quella inventatasi con poca fantasia da Trier nell'epilogo del suo lavoro più recente, "La casa di Jack" (2018). Il finale cameo metanarrativo come produttore d'un programma radiofonico è meno discreto e arguto di quello in "After Hours" ('85) com'operatore dei fari/luci/proiettori del club. A parte ciò, zzz.
Scorsese è un regista che realizza le sue fatiche cinematografiche in base ad uno stile definibile coerente. L'impronta artistica del cineasta è facilmente prevedibile/leggibile, in genere, si parte da una scelta tutt'altro che accidentale del corpus attoriale e si prosegue nel nome di vecchie storie americane, fra spaccati sociali generalmente criminosi.
La coerenza c'è, ed è questo il dramma. "Killers of the flower moon" tecnicamente e concettualmente sembra appartenere alla stessa idea un po' fallimentare di "The Irishman". A preoccupare, in primis, è una durata spaventosa del prodotto, si va ben oltre le tre ore, i risultati quali saranno?
"Killers of the flower moon" non impiega troppo per palesare il suo fraudolento progetto, insomma, basteranno circa quaranta minuti per capire che il film è stato strutturato sulla falsariga del già citato "The Irishman", ma questa volta il collasso è oggettivo. Dopo un prima parte quasi "documentaristica", Scorsese lascia trasparire già le intenzioni e le dinamiche inesorabili di un disegno magrissimo. In teoria si parte da uno spunto "giocabile" ma la trama non gode di sviluppi significativi e la sceneggiatura, in modo del tutto meccanico e sincronico, sprofonda negli abissi dell'imbarazzo. Fra pigrizia, ridondanza e vuoti funesti circa l'introspezione dei personaggi principali il film è una quintana di ripetitività e lungaggine inaudite ("Quei bravi ragazzi" a confronto è un capolavoro) dal sapore di beffa per chi paga il biglietto. Location interessanti ma non estremamente curate, meglio per quanto riguarda le atmosfere e il gioco di inquadrature messo a disposizione da Scorsese (se fosse venuto meno anche su questo punto, diremmo del vuoto cosmico). Sufficiente De Niro, ruolo infinitamente stereotipato per lui. Se la cava benone Lily Gladstone, più immagine qui che attrice. Malissimo Di Caprio in un ruolo fin troppo a testa bassa che stanca già dalla prima inquadratura. Tris di attori bruciati come i soldi dei magnati al casinò.
"Killers of the flower moon" è una schematica ed elementare parabola discendente di uomini e donne, storia triste e drammatica quasi quanto la superficialità e la leziosità della regia circa l'esposizione dei fatti e della mancata veemenza dei personaggi, splendidi protagonisti di un mortuario club dell'apatia.