Fred, il ribelle del gruppo della BPM (Squadra Protezione Minori di Parigi), s'invaghisce di Mélissa, fotografa incaricata dal ministero dell'Interno per realizzare un reportage sulla squadra.
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E' un approccio diretto, senza compromessi, pur nella sua apparente caoticità e qualche volta ridondante. Ma é un ritratto onesto sul difficile lavoro di questa BPM, sull'impossibilità di demarcare una linea netta tra lavoro e la vita privata, le cui scorie finiscono reciprocamente a contaminare entrambe i mondi. Pur descritti con una certa asetticità, la natura dei reati descritti colpisce a fondo proprio per questa sua caratteristica, nondimeno le persone che compongono il gruppo della BPM che rimangono risucchiati da una empatia nei confronti di vittime e carnefici. E' un peso difficile da sostenere, fatto di equilibri precari fuori e dentro il lavoro, che si cerca anche di sdrammatizzare in maniera quasi grottesca (tutta la sequenza del racconto dello Smartphone), ma ti rimane troppo dentro e si insinua troppo in profondità per riuscire ad uscirne fuori. Polisse offre un quadro cupo e amaro, ma vale la pena vederlo.