Il film sul processo del 1957 sull'oscenità, nato per la pubblicazione del poema in tre parti scritto da Allen Ginsberg, che parla dell'uso di droga e di sesso etero e non.
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Fin dalle prime immagini ho pensato a Van Sant, senza sapere che era il produttore. A poco a poco, mentre rivedevo il biopic su Milk e l'iconografica mise in scene di Kurt Cobain ("Last days"), ho pensato che questo film avesse qualcosa in comune con quel film. Che resta un brutto film di Van Sant, narcisista e velleitario, ma che trovo assurdo (v. recensione) tacciare unicamente come "film inutile". Nella sua estetica del rocker maledetto, Last days tentava, senza riuscirci, di mettere in relazione lo spirito libertario del rock anni sessanta con l'autodistruzione apatica del rock contemporaneo. Ora qui si tratta di valutare un film che testimonìa un'evento storico, quello di una poesia che ha rivoluzionato un'intera generazione, "Howl", e di raccontarne le cronologiche disavventure e gli scandali. L'operazione non fa una grinza: come in Milk il film cerca di catturare lo spettatore attraverso uno stile da documentario - tipico degli autori - verso un "seme" che ha generato una rivoluzione. Il punto è che sceglie di non evocarla, il punto è che dobbiamo sorbirci lunghi minuti di requisitoria sulla libertà d'espressione, e un doppiatore rileggere verbosamente versi dell'infinito poema di Ginsberg che, tutto sommato, è - per dirla con il linguaggio della beat generation - una gran rottura di c.a.z.z.o. (io tanti anni fa l'ho sentìta da un certo V. Gassman ed era un'altra cosa). Van Sant guida l'intera operazione, e si sente la sua influenza. Il problema non è solo la velleità stilistica del film, tutta improntata su Ginsberg e sulla sua parabola artistica iniziale, ma quanto gli ammiratori di Ginsberg si sentano più o meno tradìti dalla sua rappresentazione. E' accaduto con Last days/Cobain e Jim Morrison/The Doors. E altri ancora. Ginsberg è nel film esattamente quello che tutti si aspettano, e cioe' un giovane irriverente che scrive poesie scabrose e che si fa di erba (e non solo) e che si dichiara più o meno favorevole alla (sua) omosessualità. Il ritratto è quello di un esistenzialista sballato nel suo delirìo lisergico, e forse Ginsberg era questo ma molto molto altro. Oltretutto il deja vu autobiografico fa pensare agli spettatori giovani che non conoscono il movimento beat che HOWL fosse davvero una delirante fuga dai démoni dello stesso Ginsberg, come se il poeta fosse preda e vittima della sua stessa creazione. No, non è stato davvero così, e nemmeno credo che tanti ripensamenti sulle sue scelte affettive abbiano condizionato la sua vita (cfr. v. i numerosi arresti a proposìto). Se poi "la gente non si lascia scuotere dall'espressione di un sentimento" allora la risposta c'è (c'era) già. Il Ginsberg che legge estenuanti tracce del suo poema a una folla di spettatori divertìti, è emblematico. Perchè quella gente è lì per ascoltarlo, ma non ha alcuna intenzione di vivere la sua rivoluzione. Di interessante, nel film, c'è la definizione di schizofrenìa come rifiuto del conformismo militante. Quindi, i rivoluzionari di ieri oggi e domani vegetano tutti negli ospedali psichiatrici? Chiedo venìa. Eh sì mi aspettavo molto di più da questo film, perchè non tollero che si rilegga il coraggio espressivo e poi si faccia di uno dei più importanti poeti del Novecento il solìto "maledetto incostante". Il voto invero tiene conto di altri fattori: l'implosione del fumetto à la Waking Life è ricco di enorme suggestione, quasi il disincanto beat di quell'altro vizioso, W. Burroughs (citato una sola volta, per giunta)