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Credo almeno che grazie alla settima arte è stato possibile superare la nota distinzione fra arti spaziali e temporali lessinghiana. Il cinema è principalmente linguaggio per immagini, ma forse l’avvento del sonoro ci ha distratto da questa riflessione che potremmo tuttavia maturare attraverso la visione delle pellicole mute. Con Linch il cinema si potrebbe ridefinire linguaggio per immagini in senso pieno, perché ci troviamo dinanzi a vere e proprie pitture in movimento. Egli percorre una via diversa da altri registi, un percorso indipendente, che lo porta a manifestare appieno la sua creatività. Persino in Inland Empire il digitale diviene il mezzo piegato a introflettere il suo registro stilistico-espressivo. I mezzi impiegati dal regista per raccontare una storia che si potrebbe definire più precisamente un’esperienza visiva, sono quelli che ha impiegato nei precedenti Strade perdute e Mulholland Drive. Trama non lineare, disgregazione e sdoppiamenti di personalità che evidenziano la perdita di certezze circa la propria identità (molto affine al pittore Francis Bacon, con le sue figure deformate e i volti sfigurati), figure premonitrici e veggenti, figure mostruose appartenenti ad un sottomondo che è all’opposto della nostra realtà percepibile e razionalizzabile , corridoi bui e percorsi labirintici che coinvolgono lo spettatore rendendolo attore. È proprio lì che l’incubo di Fussli come di altri “pittori dell’immaginario” sembra trovare il suo gemello in Inland Empire, un sogno senza fine, dove realtà e finzione si intrecciano al punto da non distinguere più entrambi. Inland Empire è la storia di un film maledetto che non è mai stato portato a termine , quindi è il film del film. In una trama quasi inesistente il materiale visivo abbonda(prostitute polacche, sfruttatori, anziani signori, volti sinistri, artisti di circo ed esseri mostruosi con volti da conigli che ogni tanto appaiono) in percorsi diversi attraversati dalla Dern, che figura nei panni dell’attrice protagonista del film, che sembra vivere diverse realtà, costruendo di volta in volta una nuova identità. L’ennesimo capolavoro linchiano, conferma che il suo autore, malgrado la sua esperienza dietro la macchina da presa, è rimasto fondamentalmente un grande pittore, ed è lui stesso a dare conferma di ciò.