Emiliano Zapata, insieme con Pancho Villa, si ribella al dittatore Diaz e rovescia il suo tirannico regime. Ma il nuovo governo, di ispirazione democratica, non dura a lungo. Zapata, tornato a combattere per l'eguaglianza e la libertà, viene ucciso a tradimento.
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Visto per caso, Kazan ancora una volta al suo massimo, il regista americano costruisce un film potente, e nonostante il bianco e nero la forza delle immagini è assolutamente preponderante. Anthony Quinn è un convincente Pancho Villa: violento, lubrico, ignorante ma sanguigno e coraggioso ma ovviamente la scena viene rubata DA MARLON BRANDO, un Emiliano Zapata convincente, pensare che l'inizio del film è praticamente quasi senza dialoghi, si arriva alla scena dell'arresto di Zapata da parte degli sceriffi messicani, e allora il POPOLO scende letteralmente in strada, i contadini, le donne, i bambini, accompagnano il prigioniero, la loro massa scoraggia e intimorisce gli uomini che hanno arrestato Zapata, che viene liberato, e comincia la rivoluzione messicana. E un affresco, certo a tratti retorico, ma per l'epoca la sceneggiatura di Steimbeck( lo scrittore di FURORE per intenderci) è perfettamente bilanciata. Accompagna i due protagonisti Villa e soprattutto Zapata fino alla conclusione
e se Villa muore in circostante controverse(crivellato di colpi di thompson dentro un auto)
Zapata viene ucciso ma il popolo non ci crede, scena bellissima, perchè dice il contadino "non possono ucciderlo, e andato via, lassù sulla montagna!" E il suo cavallo come se ne fosse il portatore dello spirito è lì, sulla montagna, perchè ZAPATA VIVE.