un condannato a morte e' fuggito regia di Robert Bresson Francia 1956
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un condannato a morte e' fuggito (1956)

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locandina del film UN CONDANNATO A MORTE E' FUGGITO

Titolo Originale: UN CONDAMNÉ À MORT S'EST ÉCHAPPÉ

RegiaRobert Bresson

InterpretiFrançois Leterrier, Charles Le Clainche, Maurice Beerblock, Roland Monod, Jacques Ertaud, Jean Paul Delhumeau, Roger Treherne, Jean Philippe Delamarre, Jacques Oerlemans, Klaus Detlef Grevenhorst, Leonhard Schmidt, Roger Planchon

Durata: h 1.35
NazionalitàFrancia 1956
Generedrammatico
Al cinema nell'Aprile 1956

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Trama del film Un condannato a morte e' fuggito

Dal racconto di André Devigny: nel 1943 un componente della Resistenza, rinchiuso nel forte di Montluc di Lione, riesce a evadere con un giovane prigioniero comune.

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Voto Visitatori:   8,64 / 10 (29 voti)8,64Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
Miglior regia (Robert Bresson)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Miglior regia (Robert Bresson)
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Voti e commenti su Un condannato a morte e' fuggito, 29 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

stratoZ  @  10/10/2024 12:35:14
   9 / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

Splendido film di Bresson che qui alza ancora di più il livello e realizza uno dei suoi film più rappresentativi, un'opera cardine in cui sviluppa definitivamente il suo linguaggio, asciugando se possibile ancora di più lo stile, concentrando la narrazione solo sul tempo presente, cercando di sfuggire a qualsiasi tipo di idealismo, è un film estremamente minimale in cui non si sa cosa abbia fatto il prigioniero per essere la, non si pone dilemmi sul giusto o sbagliato, non crea presupposti su cosa dovrà accadere in futuro e sullo scopo dell'eventuale fuga dal carcere, si sa soltanto della sua condanna a morte, prima probabile, poi che diventa certa e del tutto per tutto che il protagonista dovrà affrontare, fuggire o morire, diventa questo il dilemma, null'altro conta, né i tentativi di dissuasione dei compagni di cella, né i rischi a cui potrebbe andare incontro, il destino è già segnato, rimane poco da girarci attorno.

Bresson applica a questo soggetto, potenzialmente spettacolare, come si vedrà nei decenni successivi ad Hollywood, un rigore stilistico straordinario, lavorando per sottrazione, togliendo totalmente l'azione, giocando con l'estrema frammentazione che il mezzo cinematografico può offrire, fin dalla prima sequenza in cui la tentata fuga dalla macchina avviene fuori campo ed è suggerita solo dagli spari e dal sonoro, arrivando ai momenti della fuga vera e propria dal carcere in cui il protagonista mette fuori gioco la guardia fuori campo, questa volta anche senza sonoro con l'espediente del treno che passa, ma il sonoro diventa un elemento fondamentale di tutto il film, con la visione soggettiva che Bresson impone, lo spettatore è trasportato in cella assieme al protagonista, che potrà comunicare con l'esterno solo tramite terzi, dai tre soggetti misteriosi sotto la sua finestra ai messaggi in codice che si scambia col suo vicino di cella, o ancora, vi è un fantastico uso del sonoro per creare tensione, come può avvenire con i passi di una guardia che si sta avvicinando nel bel mezzo della notte perché potrebbe aver sentito il protagonista scassinare la porta, o il cigolio della bicicletta di vedetta durante la fuga, sonoro che diventa ancora più evidente nell'estremo silenzio della prigione interrotto soltanto dal flusso di coscienza del protagonista che come negli altri film di Bresson parla quasi sempre in voice over, gli unici contatti con gli altri detenuti avvengono durante i momenti in cui bisogna lavarsi, una solitudine che pervade un uomo dal destino apparentemente già segnato, che verrà interrotta in un secondo momento dall'arrivo del giovane Jost, dalle origini incerte, che aiuterà in qualche modo il protagonista a fuggire.

Registicamente Bresson raggiunge livelli di eccellenza, vi è un'estrema frammentazione dei piani, la cella con i muri bianchi e spogli è un emblema del suo stile - ampiamente utilizzato anche in futuro, guardare "Il processo a Giovanna D'Arco -, crea come un mosaico fatto di dettagli e primi piani, le mani del protagonista spesso sono al centro dell'attenzione, il suo continuo intagliare la porta per prepararsi alla fuga, il suo affilare il cucchiaio, il suo preparare la corda per fuggire con le reti del letto e le coperte, un gioco di estrema ripetizione che scandisce ottimamente il tempo della narrazione e trasmette una sensazione quasi oppressiva, sottolineando la ripetitività della vita da detenuto che porta i personaggi quasi allo stremo, il protagonista è l'unico che ha una vera reazione, gli altri sembrano perduti in un mare di rassegnazione data dall'impossibilità di mettere in atto una vera fuga, l'unica ripresa a più ampie vedute si fa vedere solo in quel finale liberatorio, con un campo medio-largo che ha una forza espressiva non indifferente.

Un montaggio tendenzialmente ellittico che utilizza ancora una volta il sonoro per scandire i tempi senza farsene accorgere, geniale la trovata di far percepire le ore che passano durante la fuga senza alcuno stacco, solo con il rintocco delle campane e il protagonista che si riaffaccia per vedere che sta avvenendo il cambio della guardia.

Insomma è un film stilisticamente straordinario, un exploit della poetica minimale di Bresson, nonché annoverabile tra i capostipiti del genere carcerario, lo stesso Becker quattro anni dopo realizzerà "Le trou" che ha già parecchi debiti nei confronti di quest'opera, incredibile nel suo essere minimalista, il suo puntare all'essenza della fuga senza volutamente dare altri spunti, il suo concentrarsi sull'azione attuale, per quanto mi riguarda siamo di fronte al primo capolavoro di Bresson.

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