la terra del desiderio (1947)

Sempre meno giocoso o solare e sempre più cupo e silenzioso, il cinema di SKEPP TILL INDIALAND (La Terra del Desiderio) mostra i miglioramenti del cinema di quel periodo e l'avanzare della maturità di Ingmar Bergman, comunque ancora incapace di sollevare da solo un film estremamente incentrato su dialoghi ed eventi generali.
Quello di questa pellicola non è un melodramma banale o semplice ma anzi molto triste e meditativo. Manca però un po' tutto il resto.

La tematica principale di questo tra i primi film di Bergman è quello del rapporto turbolento tra Padre e figlio. Il tema è molto autobiografico e dipinge la figura paterna in maniera davvero crudele e spietata.
La storia d'amora, purtroppo, spesso prende il sopravvento sulla vicenda.
Il regista Svedese comincia a trovare la sua strada...

Noto anche come "La Terra del Desiderio". Uno dei film giovanili di Bergman, un melodramma tratto da un'opera teatrale e sceneggiato dallo stesso regista. Una donna è contesa tra due uomini, un padre-padrone egoista e sadico e un figlio gobbo e complessato, interpretato da Birger Malmsten, protagonista di quasi tutti i primi film di Bergman. Un po' semplicistico nella storia e nei simbolismi, è comunque da vedere per gli appassionati del grande regista svedese.

Uno dei peggiori del primo Bergman, lentissimo ed esacerbante per l'estrema dilatazione dei tempi, una storia che presenta come tema principale il solito conflitto generazionale comunque ben rappresentato da attori molto espressivi (anche se le scàzzottate potevano renderle più credibili visto che sono un po' ridicole a vedersi).
A parte il forte conflitto padre-figlio, entrambi provvisti di un difetto non solo nell'animo ma anche nel corpo (la cecità e la gobba), la storia d'amore non ha il giusto lirismo per risultare coinvolgente così come il dipanarsi della storia, e il finale lieto stavolta sembra trovare spazio a fatica, sebbene anche questo non abbia mai la sicurezza del successo.

Sin dalla prima fase il cinema del maestro svedese mi è sempre sembrato già decisamente indirizzato verso buona parte delle tematiche sviluppate notevolmente meglio in seguito, ma caratterizzato anche da dialoghi di una incisività già fuori dal comune, già maturi e sconvolgenti, oltre che spesso brillanti. Quest'ultimo dato in particolare fa sì che, nonostante risultati alterni, anche la primissima produzione postbellica del regista sia degna di nota. In questo film emerge un conflitto padre-figlio (senza riferimenti autobiografici, al contrario ad esempio di 'Fanny & Alexander), le problematiche di coppia, un certo realismo di fondo; il tutto con uno sguardo amaro ma sognante rivolto ad una società in fase di faticoso ripristino. Amaro perchè la vicenda è dura e spigolosa; sognante perchè nonostante tutto si perviene ad un clamoroso quanto inspiegabile happy ending (?!): i due giovani protagonisti nonostante siano stati provati dalle più tortuose peregrinazioni sentimentali, dopo ben sette anni (una promessa mantenuta - senza dubbio l'aspetto più grossolano e acerbo del film) si ritrovano e si scoprono ancora capaci e speranzosi di poter stare assieme. Il punto forte del film è sicuramente la figura genitoriale maschile, ruvida e imbecille, 'accecata' (in tutti i sensi) dalla non accettazione che il figlio storpio possa essere in grado di rubargli l'amante. L'analisi del piccolo contesto familiare, allargato ad un'intero ma piccolo equipaggio della nave, è rigorosa e ben rappresentata.
Un Bergman ovviamente minore, grezzo in diversi sviluppi, ma in definitiva si tratta di un film che - finale a parte - risulta comunque piacevole e interessante.