Recensione inferno nella stratosfera regia di Ishiro Honda Giappone 1959
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Recensione inferno nella stratosfera (1959)

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locandina del film INFERNO NELLA STRATOSFERA

Immagine tratta dal film INFERNO NELLA STRATOSFERA

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Nel 1965 una gigantesca stazione spaziale, orbitante intorno alla Terra, diventa facile bersaglio da parte di alcuni dischi volanti guidati da extraterrestri molto ostili, provenienti dallo sconosciuto pianeta Natal. La lotta è impari, la distruzione dell'astronave terrestre è scontata ed è simultaneamente accompagnata sulla terra da strani fenomeni naturalistici, nonché da eventi di tipo psicologico che chiamano in causa alcune persone.

Alcuni raggi-segnale provenienti dallo spazio agiscono misteriosamente in parecchi punti critici dei vari territori delle nazioni. Essi sembrano avere due funzioni precise, coordinate da un punto indefinito dello spazio: da una parte i raggi annullano la forza di gravità nei luoghi scelti, utilizzando la tecnica del freddo assoluto (cosa che consente di sollevare ponti ferroviari, navi, e provocare improvvisi allagamenti di città come Venezia innalzandone le acque dei canali), dall'altra essi sono in grado di rendere schiavi di un'altra volontà alcuni scienziati e tecnici. Quest'ultimi, grazie a un microchip elettronico installato nel cervello attraverso la potenza incisiva dei raggi, eseguono ordini dettati dagli extraterrestri.

Gli extraterrestri attaccano la terra per fermare il suo preoccupante sviluppo scientifico e tecnologico che è ormai in grado di far arrivare sulla luna agili navicelle a forma di razzo con annessi grossi mezzi di trasporto ausiliari e far orbitare intorno alla terra stazioni di appoggio e studio di dimensioni a dir poco stupefacenti.
I terrestri preparano con cura la risposta bellica all'attacco dei nataliani, che hanno anche una grossa base sulla luna nei pressi del Mare della pioggia, costruendo in breve tempo due astronavi a razzo e un radar cannone a raggi laser in grado di perforare addirittura il berillio19, il metallo più resistente del pianeta terra.

I nataliani però, durante il volo, riescono a schiavizzare la mente di un operatore tecnico dell'astronave, di nome Ivabur, che eseguendo attraverso il microchip gli ordini impostigli procura molti guai ai suoi compagni di missione.
I terrestri riescono comunque a raggiungere la luna e a sferrare alcuni vigorosi attacchi alla base dei nataliani utilizzando tra l'altro il potentissimo cannone radar a laser e i grossi mezzi mobili in grado anche di volare.

Riusciranno i terrestri a distruggere la stazione degli extraterrestri sulla luna e a eliminare i dischi volanti di appoggio alla base? Capiranno in quale punto dello spazio è situato il pianeta Natal, per poterlo quindi studiare e essere in grado poi di prendere altre misure di sicurezza o di offesa?

Dopo "Godzilla" (1954), Rodan" (1956), I misteriani" (1957), Varan the Unbelievable" (1958), Ishiro Honda conferma la sua vena narrativa fantascientifica con Inferno nella stratosfera" (1959), un film dagli effetti speciali essenziali ma artigianalmente molto efficaci, di buona suggestione, con scenari fotografici magistralmente congeniati che si amalgamano positivamente con tutto ciò che di artificioso nelle scene funge da supporto visivo per ottenere effetti d'insieme spettacolari.

Fotograficamente il film ha una profondità di campo nelle scene chiave molto curata, strategicamente ricercata, tale da rilasciare allo spettatore prospettive visive invidiabili perché in grado di moltiplicare sia l'effetto verosimiglianza sia, un po' paradossalmente rispetto al vero, il magnetismo del film. Ciò è dovuto al fatto che gli spettatori sono poco abituati a percepire nella realtà certe profondità visive ad angoli visuali insoliti, per cui quando improvvisamente le scoprono nella fotografia, opportunamente ben localizzate in un punto chiave, la vista rimane sorpresa e stupita.
Inoltre la presenza di dettagli fotografici sui mezzi in movimento che accompagnano le azioni nel film, tutti presi nei punti mobili più salienti, rafforza l'effetto estetico di insieme dello scenario dando al pubblico un sapore di vicinanza, richiamo, presenza, di partecipazione fattiva che diventa un invito ad entrare di più, psicologicamente, nella narrazione.

L'atmosfera psicologica di fondo del film è quella della fine degli anni '50, con il mito della scienza e del progresso tecnologico che la fanno da padroni nell'immaginario delle masse, e i primi esaltanti esperimenti spaziali che lasciano sperare in un nuovo rapporto dell'uomo con lo spazio e gli astri. Forse meno poetico di prima ma indubbiamente più analitico e fertile per l'umanità di nuove grandi avventure.
Inoltre nel '59 il trauma della bomba atomica in quasi ogni generazione è ancora fortemente presente, sopratutto nell'inconscio della gente comune. Esso, grazie al cinema giapponese, viene psicologicamente spostato verso il fantastico tramite il genere fantascientifico. Da ciò si forma un immaginario-sintomo, in parte inconscio, caratterizzato dal provare piacere per qualsivoglia fantasia legata alle battaglie spaziali con gli alieni, rese quest'ultime interessanti anche dalla grande spettacolarità fotografica raggiunta negli anni '50.
Tramite questo subdolo meccanismo inconscio si sono potute sgravare, divertendo, numerose pulsioni cliniche di cui gli spettatori erano allora affetti dopo la bomba, quali ansie, tormenti ossessivi, paure irrazionali, che altrimenti sarebbero andate a influire negativamente sulla vita lavorativa e amministrativa dei giapponesi alimentando nelle istituzioni pessimismo e rinuncia a costruire un futuro sociale migliore.

Il trauma inconscio della bomba ha agito sui giapponesi fino agli inizi degli anni '80, poi con lo scioglimento dei blocchi militari mondiali est-ovest esso è andato via via scemando, lasciando cadere nel vuoto alcune paure come quella di essere invasi dal nemico, ma ciò ha tolto forza creativa alla produzione della fantascienza nipponica cinematografica che molto si reggeva su un presupposto emotivo importante, gestito metaforicamente dal media cinematografico a insaputa degli spettatori, quale quello del terrore di possibili nuove spaventose guerre atomiche.

Da un punto di vista più filosofico il film rappresenta la lotta tra il bene e il male in una dimensione precostituita, dove cioè quello che conta è la diffidenza verso l'altro ritenuto un potenziale nemico a prescindere dalle sue reali intenzioni, ad esempio nel film la terra viene attaccata non appena è in grado di poter combattere quasi ad armi pari con i nataliani.
Nel film non c'è spazio per una concezione pacifista e civile dello sviluppo di un pianeta; tutto a priori, per quanto riguarda il progresso scientifico e tecnologico, è considerato dal pianeta che ne è protagonista un bene e dal pianeta alieno che osserva a distanza ciò che accade nell'altro un male.
Pare in questi film che non ci sia spazio per il dialogo culturale, per una discussione tra alieni e terrestri capace di aprire una trattativa di cooperazione e di conoscenze pacifiche.
In ciò si avverte l'incubo che tormenta il regista Honda, nel senso che per lui la bomba è già esplosa, e l'ossessione che ne deriva riguarda una cosa sola: essere in grado di reagire, di evitare la catastrofe totale, di mettere il nemico alle corde riducendone ogni capacità di offesa.
Sembra ribadire Honda: che non c'è più spazio in Giappone per la cultura e la poesia, l'immane tragedia ha lasciato nella psiche umana solchi profondi che prontamente il cinema di fantascienza registra ed esprime in altre forme deformate, oniriche, travestite di barlumi di civiltà, smagliate di ogni logica propositiva, il tutto al fine di lenire il dolore di massa.

Negli anni '50 il Giappone si riprende lentamente dall'immane conflitto mondiale e non ha più dopo la sconfitta il mito dell'imperatore infallibile; la popolazione è piegata spiritualmente e materialmente come non mai, la fantascienza conforta e lenisce ogni male della gente fino al punto di diventare una sorta di religione benefica, una terapia dell'animo afflitto che allevia l'inconscio proponendogli nuovi sintomi supportati dalla materialità cinematografica dell'immagine.
Tutto ciò sembra funzionare a meraviglia finché un giorno l'esplosione della nuova ricchezza consumistica di massa ripropone altre vie di divertimento, lungo nuovi bisogni indotti dai media con l'arte pubblicitaria.
La fantascienza lascerà allora il posto al mito della realtà consumabile, in cui ciascuno potrà essere padrone e protagonista allo stesso tempo di una fetta di reale, a patto che risponda ai requisiti simbolici sociali richiesti; molti più cittadini potranno partecipare a una realtà fatta di giochi, di scrittura, di editoria, di espressività e studio, di razionalità tecnologica e scientifica estese e potrà abbandonare il mondo fantascientifico cinematografico nipponico senza eccessive scosse.

Il trauma della bomba, come si può già prevedere tra le righe visive di questo film, verrà presto reso irriconoscibile, sfumato, attraverso l'entrata del cittadino giapponese in un ordine sociale molto più complesso, globalizzato, di sempre più difficile comprensione che relativizza ogni indignazione per valori etici violati e umiliati appartenenti alla grande tradizione culturale nipponica.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 10/10/2011 15.38.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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