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Un film violento e deprimente, tanto nei sentimenti quanto nella morale, che per comunicare cinematograficamente con lo spettatore pesca musica, ritmo e fotografia dal cinema noir: sembra la descrizione standard di uno delle migliaia di neonoir usciti in quel largo arco temporale tra gli inizi degli anni 80 e gli anni 2000, ma SONO OTOKO, KYOBO NI TSUKI (Violent Cop) assume una certa rilevanza non solo per l'anno di uscita. Takeshi Kitano freddamente descrive con neorealismo gli sporchi e insensati vicoli periferici di Tokyo, custodi di realtà criminose infernali, e creativamente sprigiona poesia negli atti di violenza finale. Il concept è chiaro e forte. Le sequenze iconiche.
Esordio in cui si condensa molto del successivo cinema di Kitano: yakuza, violenza improvvisa, stile rigoroso, nichilismo nerissimo che sembra ripreso direttamente da Jean-Pierre Melville. È per certi versi acerbo, narrativamente basico e forse perfino prevedibile, almeno fino a quel finale tagliente come una lama. Cinque minuti in grado di mettere in chiaro cosa avrebbe contraddistinto il futuo cinema del buonTakeshi.
Un grande esordio per Kitano alla regia. Un film asciutto, straordinariamente interpretato dallo stesso Takeshi. Pellicola intensa ed entusiasmante, soprattutto nella parte centrale.
Esordio alla regia di Kitano,un film grezzo,brutale e nichilista.......... Un poliziesco alquanto sperimentale,niente male, ma preferisco altre opere di questo talentuoso regista giapponese.
Cinico, beffardo, spietato, nichilista. Questi sono i primi aggettivi che mi vengono in mente per Violent cop.
Hazuma è poliziotto dai modi rudi e violenti che non accetta di buon cuore di seguire le solite regole della prassi vigente in polizia. Ama i metodi sommari, farsi giustizia da sé, sequestrare criminali e torturarli. E' un tipo scorbutico, e di fronte ai rimproveri dei superiori si giustifica dicendo che è appena trasferito da un altro dipartimento vive un momento difficile, e deve ambientarsi. Rischia azioni disciplinari, ma viene perdonato per i suoi meritevoli trascorsi. Hazuma ha una sorella con problemi mentali, che vendicherà quando riuscirà a trovare i suoi rapitori.
Kitano inizia con questo film la sua carriera cinematografica, ed è già un bellissimo film, probabilmente il più pessimista e nichilista della sua carriera (ma non è stato scritto interamente da lui) Impossibile una redenzione per Hazuma e sua sorella. Impossibile una rivalsa, una guarigione. L'unica via è la morte, che può colpire a caso chiunque, soprattutto se si è nei paraggi di una sparatoria.
La musica di Daisaku Kume che rifà il primo Gnossienne di Erik Satie, scandisce la camminata impassibile di Kitano/Hazuma, personaggio cinicamente imperturbabile e lucidamente folle in una metropoli decadente.
Film grezzissimo, però lo stile violento di Kitano (questo è il suo esordio come regista) c'è già e si vede tutto. Peccato per la trama abbastanza banale e lo svolgimento confusionario che porta ad un finale comunque sorprendente che è a tutti gli effetti la cosa migliore di "Violent Cop". Insomma un esordio apprezzabile ma non certo sfolgorante per un attore/regista di culto che in seguito ha fatto certamente di meglio.
Maledettamente crudo, dannatamente memorabile, fottutamente nichilista. NICHILISTA. Il più nichilista dei film di Kitano, spoglio d'ogni azzardo di romanticismo o addirittura di colore, la sua opera prima come una folgore, il primo di una catena di capolavori uno più profondo e disarmante dell'altro. Un personaggio come al solito scritto ottimamente, burbero (forse più del necessario) come regola vuole, al servizio di una regia asciuttissima e scarna, con momenti anticipatori di quella che sarà la poetica figurativa del regista. Una storia sanguinosa e vertiginosa, con molti momenti mozzafiato (il pestaggio ai danni del tirapiedi sadico, l'intera parte finale, l'inseguimento diurno dopo il ralenti della colluttazione fra uno dei poliziotti e lo spacciatore in bianco). Niente di positivo, niente di eroico, niente di ottimista. Come detto prima, nichilismo allo stato puro. Chiara metafora dell'inutilità dell'esistenza, questo piccolo, grande film è un'autentica genialata. Notevole il remix di Satie adoperato come tema principale.
Film d'esordio di Kitano che stravolge tutte le carte in tavola ed espone fin da questo suo primo film la propria politica, fatta di silenzi, violenza asciutta e veloce, pessimismo, consapevolezza del proprio destino e di introspezione; forse è questa ultima componente che è un pò blanda in questo film e dà al tutto un'aria leggermente sconclusionata e legnosa, ma è giusto un piccolo difetto in questa che è, ricordiamocelo, un'opera d'esordio, e che esordio! La trama è semplice ma Kitano, con la sua maschera glaciale, ironica, irremovibile, crea un protagonista indimenticabile, simbolo di tutti i personaggi che interpreterà in futuro, cinici, spietati, ma con un grande senso romantico nel profondo di se stessi, e dà una grandissima prova come regista, realizzando due fra le mie "bloody-scenes" preferite: quella dell'inseguimento dello spacciatore e quella veloce, magnifica, rappresentativa di tutto il cinema di Kitano, quando il nostro protagonista devia il colpo di pistola dello spacciatore finendo per colpire in pieno volto una povera ragazza in compagnia di una sua amica, la quale inizia a strillare dall'orrore mentre Kitano corre via imbrattato di sangue. E' questo Violent Cop, un film che raggiunge il massimo interesse nelle scene più violente e che mette in chiaro che Kitano deve ancora molto maturare dal lato più introspettivo, ma è comunque un film notevolissimo, che ha il suo culmine nello spietato e pessimistico finale, che non lascia scampo all'ottimismo. Crudele, spietato, rassegnato, cupo, un noir fantastico, un'opera prima di grandissimo valore ed in generale un film magnifico. Lo ripeto: grande Kitano!
Folgorante esordio di Kitano. Scardinando ogni classicismo dei film di azione, rallenta il ritmo per raccontarci di un poliziotto e di un gangster fuori da ogni controllo. Un film fisico e rallentano nel ritmo, implosivo. Violenze improvvise e pause cupe e meditative. Uno stile spesso recuprato da altri grandi maestri del cinema asiatico
Uno dei miei film preferiti in assoluto di Kitano.
Probabilmente perché è uno dei più spietati: la violenza permea tutto il film, come si nota dalle prime battute: la pellicola si apre con dei ragazzini che uccidono spietatamente il senzatetto, poi vi è l'incursione nella casa di uno di loro da parte di Azuma che viene subito alle mani, nella scena dopo vi sono dei bambini che tirano lattine vuote addosso a un signore in nave e poi scappano lasciando spazio alla comparsa dello stesso Azuma. Oppure si può vedere la violenza presente nella società anche quando vi è quella coppia che litiga ferocemente su cosa fare del bambino portato in grembo dalla donna.
In questo mondo violento, il personaggio tratteggiato e interpretato da Kitano si fa strada tramite la maschera dell'indifferenza. Egli impersonifica perfettamente quella che è l'estetica cool, il rimanere impassibile, calmi, sempre se stessi e superiori di fronte ad ogni situazione. Ed è molto interessante che sia proprio Kitano, un regista giapponese, a portare alle sue estreme conseguenze questo tipo di estetica, che nella cultura contemporanea va per la maggiore invece in occidente, e in particolare in America. In Giappone, al contrario, regna l'estetica del kawaii, che è l'esatto contrario: l'essere teneri, indifesi, impauriti di fronte a tutto. Kitano invece si impone con la sua maschera di ghiaccio, talmente cool da risultare impenetrabile e estranea addirittura allo spettatore, che difficilmente può riuscire a identificarsi con i vari protagonisti da lui interpretati. In un qualche modo, Kitano è talmente cool da porsi in una posizione di superiorità e inarrivabilità anche di fronte allo spettatore. Se l'eroe occidentale è cool quando deve mantenere i nervi saldi, ma poi quando "deve" di emoziona, permettendo così allo spettatore di identificarvisi, Kitano è cool sempre, non fa una smorfia nemmeno di fronte all'amata sorella diventata ormai tossica, e la fredda senza muovere ciglio. Ed è proprio nel rapporto con lo spettatore che possiamo vedere quanto Kitano sia antitetico al kawaii: il kawaii difatti si basa su un rapporto di inferiorità allo spettatore/fruitore. Il personaggio kawaii è un personaggio più debole dello spettatore, che vi si affeziona per la sua vulnerabilità quasi lo volesse proteggere. I personaggi di Kitano, al contrario, sono superiori allo spettatore, talmente cool da guardare sempre dall'alto in basso chiunque e protetti da una corazza narcisistica che impedisce qualsiasi empatia. E' interessante comunque che in entrambi i casi viene esclusa l'identificazione personaggio/spettatore, che invece è molto spesso alla base della narrazione.
Perfetto il finale del film, nell'essere appunto un bad ending perfetto. Muoiono i sequestratori, muore l'assassino, Kitano uccide la sorella e poi viene ucciso a sua volta. "Sono tutti fuori di testa", recita il nuovo capo dell'organizzazione che ha appena freddato Kitano. E poi trova il nuovo appoggio interno alla polizia per il suo traffico di droga proprio nel partner di Kitano, rendendo praticamente del tutto inutili le vicende mostrate sullo schermo fino a quel momento: un nichilistico viaggio verso la morte fine a se stesso, frase che potrebbe risultare un'efficace definizione della vita sulla Terra.
per essere il primo alla regia ... wow. Pure come attore non scherza, anzi probabilmente è la sua prova più buona visto che successivamente comincerà a prendersi sempre più in giro rendendosi ingiudicabile e fuori da ogni schema, esaltando all'assurdo proprie trovate come il tic all'occhio ecc. ... m'è sempre sembrato una versione orientale e altrettanto seria di Clint Eastwood (espressione impassibile e ghigno) ma portata volutamente allo stremo. Comunque gran bel film, buona regia, violenza non fine a sé stessa, forse da solo l'impressione di avere una trama sgarbugliata un po' male e velocemente, ma glielo si perdona per la prima e l'ottimo stile che già si intravede. Per finire, è bello notare come Beat Takeshi avesse già le idee chiare riguardo la sua poetica, approfondita poi in seguito, introducendo elementi come la malattia, la pittura ...
Nell'esordio di Kitano alla regia si notano alcune piccolissime imperfezioni nella regia (spesso ripetitiva),una trama magari scontata e ricalcata su tante altre dello stesso filone ma la sorpresa resta grande. Sorprendente perché Kitano alla regia ci si è accostato per scherzo e per gioco,magari senza neanche crederci,e poi è riuscito a imprimere al film una strada personale del tutto differente da quella che doveva essere inizialmente esprimendo un senso di violenza naturale ed onnipresente ma mai eccessiva e una parabola di autodistruzione mortale. Anche come attore la maschera impressa al protagonista è grandiosa e fredda,segno di una moralità che riesce sempre a rientrare negli equilibri proprio quando i metodi sembrano farsi eccessivi e ai limiti (il titolo americano è esplicativo). Ma la patina di umanità del poliziotto cattivo c'è e la vediamo quando si relaziona con la sorella problematica in maniera dolce e protettiva; fino al punto di rottura dato dalla splendida e agghiacciante ultima parte in cui tutto il codice morale va a farsi benedire e l'esplosione di morte raggiunge livelli stilistici grandiosi sotto il profilo dell'azione e dell'introspezione. Il sottotesto della storia di questo poliziotto violento è appunto una società giapponese in cui la morte è vista come una cosa all'ordine del giorno e la corruzione è alle stelle,tantissime sono le uccisioni durante Violent Cop ma ognuna di queste sembra inevitabile e,cosa ancora più (a)normale,subito dopo essere stata compiuta perde quasi di significato e sembra una cosa naturalissima. L'inizio col barbone è perfetto sotto questo aspetto ma ancor di più le parole del protagonista finali che non si capacita della follia esplosa attorno a lui in un mondo votato verso la perdita del valore della vita e l'esaltazione dell'indifferenza con cui si da la morte,ridotta ad un misero gioco per scacciare la noia (l'incipit,appinto).
All'interno di un plot standard che ricalca molti polizieschi di genere, Kitano costruisce una pellicola soprendente nel senso letterale. Sorprendente nella sua capacità di ribaltare il codice del genere, prendendo continuamente alla sprovvista fino all'imprevedibile finale. Un poliziotto dai codici morali rigidi, ma votato verso la sua autodistruzione.
Buon esordio alla macchina da presa per Beat Takeshi, che confeziona un buon noir all'asiatica, dove l'azione è intermezzata da momenti più compassati ed introspettivi. Sicuramente gli standard che il regista raggiungerà nei suoi lavori successivi sono lontani anni luce; la storia parte abbastanza bene e sembra seguire una determinata strada, salvo poi perdersi e non ritrovare la bussola. Alcuni fatti sembra accadano per puro caso mentre altri son descritti in maniera abbastanza confusa. Il finale risolleva solo parzialmente le sorti della pellicola. Anche dal punto di vista della regia si poteva fare certamente molto meglio, alcune parti hanno un taglio veramente singolare e spesso non si capisce cosa stia accadendo sullo schermo.
Insomma, per essere un esordio sicuramente non c'è male ma penso che con qualche accorgimento questo film sarebbe potuto essere molto migliore dato il suo potenziale.
Straordinario esordio di Takeshi Kitano del quale è anche la prima opera che vidi. Non so quanto abbia questo film della futura poetica del regista, ma "Violent Cop" è un noir a tutti gli effetti, che riprende le caratteristiche americane di "una volta" e le ripropone in un contesto della malavita giapponese con una violenza inaudita (23 ceffoni in 60 secondi netti nella sequenza al cesso, li ho contati), e con uno stile asciuttissimo - quasi esemplare - e quindi una violenza mai compiaciuta. Il finale può esser criticato per troppo sentimentalismo ma anche Woo in Cina faceva lo stesso.
Violent cop segna l'esordio alla regia di Kitano e, in quanto opera prima, non è nemmeno paragonabile ai successibi lavori del regista. Però questo è un buon film, violento come pochi e con punte di agghiacciante freddezza (il finale)
Esordio di Kitano alla regia con quegli ingredienti che puntualmente ritorneranno nella sua filmografia: il perdente e l'accettazione della morte non per forza come sconfitta ma come rivalsa. Talentuoso al nastro di partenza
Più un classico poliziesco che un'opera di Kitano, dal quale il film è "contaminato" solo in parte dato che il progetto inizialmente non era suo. Comunque un bel film con diversi tocchi di classe alternati a un poliziesco non male per la media in realtà. Un'opera preparatoria non così male come l'ho sentita dipingere in alcuni commenti precedenti, ottimo finale degno di un Kitano maturo. Buon film, ma anche qualcosa in più [solo grazie a Kitano].
Violent Cop ha in germe quello che sarà il futuro cinema di Kitano, e il suo flm di esordio costituisce un cambiamento davvero radicale se si pensa che prima Beat Takeshi era un comico. Ci si accorge subito della durezza del film, del senso di morte che lo pervade e da cui non ci sono vie di fuga: forse perché Kitano, al suo primo film, non è ancora riuscito a trovare un giusto equilibrio tra l'eccesso della violenza e la poetica dei silenzi e dei sentimenti che in futuro caratterizzerà le sue opere. Già dal titolo si capiscono i tratti distintivi del protagonista-giustiziere Azuma, una figura non certo originale nel cinema, un anti-eroe dalla pesonalità complessa, brutale nei metodi ma privo di ipocrisia, un uomo che si sente superiore ed arrogante perché il suo concetto di giustizia è diverso da quello degli altri, ma che d'altra parte si rende conto della sua inadeguatezza, perché sa di non saper vivere se privato del suo ruolo: quando non sarà più poliziotto, niente avrà più importanza, nemmeno gli affetti. Violent Cop è un grande noir che difetta solo nel mancato approfondimento di certe azioni e di certe relazioni tra personaggi, forse il film più spietato e nero di Kitano, il finale e tra i più tragici, ma è una grande prova di cinema.
Ottimo esordio di Kitano alla regia. Il film è un poliziesco cupo e molto violento, una discesa nell'inferno Yakuza. La cosa che colpisce maggiormente è la disinvoltura con cui vengono mostrate le scene di violenza e la totale autenticità di queste ultime, una violenza che esplode all'improvviso per non lasciare scampo. Molto vicino a Scorsese, il film è davvero indimenticabile a tratti (vedi gli ultimi venti minuti), la lentezza non si sente mai e, anzi, diventa componente essenziale. Più passa il tempo, più mi accorgo che questo film è semplicemente bellissimo. Azuma grande personaggio.
“Violent cop” è il film che ha segnato il debutto alla regia di Takeshi Kitano,fino ad allora conosciuto soprattutto in patria come show man e comico.Una pellicola dagli argomenti molto forti in cui morte e violenza vanno a braccetto,poco capito del pubblico giapponese al momento dell’uscita in sala in quanto molto contrastante con la figura rassicurante e clownesca dell'istrionico artista. L’opera appare ben costruita,capace di mettere in luce quelle che saranno le peculiarità della cinematografia di Kitano con grande lucidità e trasporto. Nonostante qualche rallentamento eccessivo la trama si lascia seguire con piacere,miscelando l’azione più truce con momenti intimi di incredibile dolcezza. La figura del Commisario Azuma è infatti un concentrato di contraddizioni.Insofferente alle regole,violento e taciturno,ma anche ligio al dovere ed affettuoso con la sorella psicologicamente instabile,è un personaggio di grande impatto sul quale si concentrano le attenzioni della sceneggiatura,capace di disegnare un quadro nichilista e malinconico attraverso la figura di un poliziotto indifferente alla violenza,accettata come parte integrante della società e quindi vissuta in maniera quasi distaccata dal protagonista. Kitano ovviamente interpreta Azuma,rendendolo ancor più particolare grazie al suo volto ed all’inconfondibile camminata sghemba. Pellicola sicuramente valida che lascia intravedere le grandi potenzialità di Kitano,regolarmente poi espresse nel corso della sua carriera.Eccellente ed indimenticabile il finale.
Una delle prime opere di Takeshi Kitano, molti la valutano molto bene, io non riesco a cogliere tutta la sua genialità. Il finale è a dir poco perfetto, ma il film mi ha un po' annoiato!
Il primo tassello per il grande Kitano. Non paragonabile a mio parere a Brother (faccio un esempio), si tratta tuttavia di un buon film con uno stile freddo, semplice ma allo stesso tempo efficace e godibile....l'imprinta di Kitano è evidente. Consigliato.
Primo film di Kitano. Un poliziesco violento e crudo. Il protagonista è una sorta di Ispettore Callaghan spinto all'estremo. Ci sono già le caratteristiche del regista che, però, verranno affinate nei film successivi.
Discreto poliziesco che unisce la tipica solennità giapponese ai ritmi del film d'azione. Molta violenza, a volte sin troppo facile e sbrigativa, un po di follia, corruzione, sadismo e pessimismo. Kitano, che qui credo all'esordio alla regia, interpreta alla grande il poliziotto fuori controllo, protagonista del film e si diverte a mettere in scena vere e proprie esplosioni di violenza a suon di scene cruenti, enfatizzate da suggestive sequenze al rallentatore, musiche classiche e dal disarmante contegno con il quale i protagonisti si lasciano andare ad ogni tipo di efferatezza. Un film duro, spietato e provocatorio che apporta anche qualcosa di nuovo al genere. Non male.
Esordio incredibile di Kitano. Un film che mette in scena la violenza con una naturalezza e allo stesso tempo una crudezza che raramente si riscontrano in film occidentali. Facendolo, oltretutto, in modo mai gratuito. Il protagonista, la cui vuotezza e disillusione sono interpretate egregiamente dallo stesso Kitano, incarna un ideale di violenza quasi distratta e di routine quotidiana, che finisce, però, con lo sfuggirgli di mano: il film rappresenta bene l'involuzione del protagonista che, nei panni di un commissario, si imbatte, con i suoi modi violenti, nel killer di un mafioso che gli ha ucciso l'amico corrotto, finendo col trascinare se stesso verso un precipizio autodistruttivo. Cinismo, amarezza, sprazzi di violenza sparsi per tutto il film che esplodono negli ultimi, bellissimi dieci minuti, come coltellate vaganti che sibilano e che culminano in un massacro di scorsesiana memoria: momenti di grande cinema.
Kitano, ex comico, si trasforma in un regista e in un anti-eroe per eccellenza: una pellicola già matura, ben girata e ben sceneggiata, quasi un inno all'epica del perdente e all'ineluttabilità degli eventi che portano al disastro e alla morte. Da vedere.
E' il primo film del grande Kitano, e già si vede di cosa è capace. Con questo film ci presenta il suo stile (inteso per i gangster-movie) ,che migliorerà con ogni film successivo: per il modo in cui è girato, per l'assenza di una colonna sonora (in realtà la colonna sonora sono i silenzi stessi), per i profondi rallentamenti del film che improvvisamente scoppiano in un'improvvisa (ma mai gratuita) violenza ke nn ti lascia nemmeno il tempo di riflettere, ed infine per la figura del protagonista perdente, stanco della vita e ke vede nella violenza l'unico mezzo per evadere dalla realtà. Può sembrare un film come tanti, ma nn è così. Anzi è una svolta per questo genere di film. Bellissima la scena finale.
Vi consiglio inoltre di guardare i 4 gangster-movie in quest'ordine:
Violent Cop Boiling Point Sonatine Hana-bi
Sono in ordine cronologico, solo così potete notare meglio i miglioramenti del regista. Ah...nn ho messo Brother perkè secondo me dopo Hana-bi riscende un poco in basso, cioè ormai aveva raggiunto il top, poteva pure evitare di fare un altro film di questo genere.
il voto è una media tra il finale molto bello e una parte centrale molto noiosa... poi voglio aggiungere anche la scarsa abilità nella recitazione dei protagonisti... e consiglio a kitano di fare solo il regista che gli viene molto meglio...
Opera prima di Kitano, almeno x quanto riguarda la carriera post-comica. Il risultato è un film già maturo e crudo, che attraverso i suoi lunghi ed intensi silenzi e i suoi sorrisi amari ci lascia il tempo di pensare, di riflettere, di capire ciò che sta accadendo o ciò che ancora dovrà accadere; distante anni luce dai filmetti d'azione che ci vengono propinati oggi, dove non hai nemmeno il tempo di accorgerti cosa sta succedendo che ecco incalzare un'altra sparatoria o l'ennesimo inseguimento "spettacolare". Chiudo col ricordare che, a volte, un silenzio vale più di mille parole.... [mezzo voto in più in considerazione del fatto che era il suo primo action-movie e grazie alla scena finale]
improvvise esplosioni di violenza, tante uccisioni fatte con la più glaciale indifferenza, questa è la matrice che kitano porterà avanti anche nei suoi prossimi film. all'uscita di violent cop lui stesso si definisce: "un pagliaccio che fa ridere le persone ma le cui espressioni sono impresse di malinconia e di dolore", infatti prima di questo film kitano era conosciuto in patria come comico.