Geppetto, un vecchio intagliatore, riceve un pezzo di legno perfetto per il suo prossimo progetto: un burattino. Una volta terminata l'opera, accade qualcosa di magico: il burattino prende vita e inizia a parlare, camminare, correre e mangiare, come qualsiasi bambino. Geppetto lo chiama Pinocchio e lo alleva come un figlio. Per Pinocchio, però, non è facile essere un bravo bambino: lasciandosi portare facilmente sulla cattiva strada, capitombola da una disavventura all'altra in un mondo popolato di fantasiose creature. La sua più cara amica, la Fata Turchina, cercherà di fargli capire come il suo sogno di divenire un bambino vero non potrà mai avverarsi fino a quando non cambierà modo di vivere.
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Nel caso di PINOCCHIO è assolutamente vero e del tutto evidente: questo fantasy è un fantasy originale. Lo è nell'idea di racconto non-realistico, ovvero possiede una tipologia di personaggi e di realtà non-fisica che, pur trattandosi di una fiaba tra le più note di sempre, si allontana dagli archetipi del genere occidentale. Lo è, originale, anche nel suo modo di porsi, bambinesco nell'accezione innocente del termine, con un'idea di interpretazione e recitazione a braccio, teneramente libera, come fosse una recita scolastica, coerentemente con il tipo di direzione pasoliniana che ha sempre contraddistinto Matteo Garrone. Dalle scenografie rurali al tipo di trucco e parrucco, molto coraggioso, le cose positive scavalcano quelle negative, con la consapevolezza però che per innovare sul serio un genere ci voglia altro oltre alle buone intenzioni.