gli esclusi regia di John Cassavetes USA 1963
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gli esclusi (1963)

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locandina del film GLI ESCLUSI

Titolo Originale: A CHILD IS WAITING

RegiaJohn Cassavetes

InterpretiBurt Lancaster, Judy Garland, Gena Rowlands, Steven Hill, Paul Stewart

Durata: h 1.42
NazionalitàUSA 1963
Generedrammatico
Al cinema nell'Agosto 1963

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Trama del film Gli esclusi

In un ospedale per bambini handicappati c'è chi vorrebbe curarli con l'amore e chi invece trova che il metodo energico è più efficace. La contaminazione tra l'apostolato sociale e lo spettacolo, con un occhio al messaggio e l'altro alla cassetta, dà risultati stridenti e contraddittori.

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Voto Visitatori:   7,67 / 10 (6 voti)7,67Grafico
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Voti e commenti su Gli esclusi, 6 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

dobel  @  04/03/2010 11:09:16
   9 / 10
Molte le tematiche affrontate in questa pellicola: la condizione degli handicappati, l'importanza della regola, l'accettazione del dramma familiare, le reazioni di chi si trova ad aver a che fare con i 'diversi', e la specificità stessa di ciò che chiamiamo diversità.
Tema fondamentale comunque, rimane quello della dignità della vita; quanto mai attuale è quindi un film che ci mette di fronte ad un interrogativo: quando la vita cessa di essere degna di essere vissuta? Quando possiamo chiamare 'normale' un'esistenza? La normalità esiste o è solo una questione di convenzioni? I diritti delle persone sono paritari? Queste e altre domande pone questo film. Il direttore di un istituto per bambini ritardati impone a tutti indistintamente delle regole (giacché la vita è fatta di regole), e cerca, attraverso di esse, di salvare un briciolo della dignità di questi 'esclusi'. Un'insegnante appena arrivata nella scuola trova queste regole una forzatura e cerca di aiutare in particolar modo un ragazzo colmandolo di quell'affetto che i genitori (pur tra mille drammi interiori) gli hanno fatto mancare. Dare l'illusione di un surrogato affettivo si rivela controproducente, e l'insegnante alla fine dovrà ammettere la ragione del direttore. La regola aiuta a vivere meglio, a farsi sentire integrati in un gruppo ed in un sistema; aiuta, in questo caso, a non essere emarginati, a non sentirsi diversi. La regola è ciò a cui tutti si aggrappano per sentirsi come gli altri. Il favoritismo in qualche modo isola e diversifica, rende l'individuo un caso a parte e avulso da un qualsiasi contesto. La necessità dei bambini descritti in questa condizione è invece quella opposta.
Le reazioni dei genitori si diversificano a seconda delle aspettative riposte nel figlio e dell'estrazione culturale e sociale di ognuno. Paradossalmente (ma nemmeno tanto) sono le persone più umili e culturalmente meno elevate a sopportare meglio la diversità del figlio. L'empatia naturale che si sviluppa fra la madre di colore analfabeta e il proprio bambino è esemplare, non vi è barriera fra loro. Il padre ingegnere, viceversa, si vergogna di un figlio non all'altezza delle proprie aspettative e dei propri desideri. Il dramma vissuto è lo stesso, ma il modo di affrontarlo cambia radicalmente. Il nodo della questione è l'aver tracciato convenzionalmente un confine fra normalità ed anormalità. Quando una vita può essere definita normale? Siamo sicuri che il nostro modo di essere sia quello giusto e normale? Il direttore dell'istituto dice molto tranquillamente che ognuno di noi, estrapolato dal proprio contesto ed inserito in un'altra cultura e civiltà, sembrerebbe un perfetto idiota. Oggi, con la globalizzazione, forse non è più così vero, ma il principio rimane valido. Noi pensiamo che sia normale ciò che ci corrisponde, ed escludiamo tutto ciò che non fa parte della visione del mondo che abbiamo costruito nei secoli in un determinato luogo. La normalità diventa così solo tradizione, e cos'è la tradizione ? Attaccamento al passato. Questi 'esclusi' formano un'altra normalità corrispondente alla propria natura, una normalità che si esprime attraverso modi e gesti differenti ma che non ha meno dignità. Ogni vita ha uno scopo; il successo, il conto in banca, l'eleganza del vestire non determinano il livello di dignità di un essere vivente. L'apparenza borghese è solo una delle tante declinazioni della vita: non è la più giusta e non è la più sbagliata... è solo una. Chi stabilisce la qualità del contributo che si dà al mondo attraverso la propria esistenza? Quale è il criterio di giudizio? Il bene che uno ha fatto viene misurato secondo quanto si è prodotto in termini economici e materiali, oppure secondo criteri affettivi? Tutto questo è in discussione e messo in discussione da questo film. Si tratta di un'opera che non potrà mai passare di moda, giacché gli interrogativi sulla dignità e il valore dell'uomo (di ogni singolo uomo), saranno sempre posti e sempre discussi.
Cassavetes gira un film da regista dimostrando di saperlo fare (al contrario di quanto poteva asserire R. Polanski - vedi il mio commento a 'Mariti -). Il montaggio venne rimaneggiato dal produttore S. Kramer, e si vede. Siamo, infatti, di fronte ad un film differente da quelli che siamo abituati ad attribuire al genio Cassavetesiano. Si tratta di una pellicola tradizionale, anche se la mano del Maestro è riconoscibile nel modo di realizzare certe inquadrature, nella capacità di raggiungere la commozione attraverso la rappresentazione semplice della realtà, e nel modo di tradurre in pura poesia certi sguardi, certi fugaci attimi. Tuttavia questa è l'opera di un regista (nel senso più tradizionale del termine) e non di uno che si serve del mezzo filmico per raccontare un pezzo di vita. E' l'opera di un grande regista che ci ha regalato un altro grande film e più di un momento di riflessione.

8 risposte al commento
Ultima risposta 07/03/2010 17.21.38
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