Recensione set it off - farsi notare regia di F. Gary Gray USA 1996
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Recensione set it off - farsi notare (1996)

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locandina del film SET IT OFF - FARSI NOTARE

Immagine tratta dal film SET IT OFF - FARSI NOTARE

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Immagine tratta dal film SET IT OFF - FARSI NOTARE

Immagine tratta dal film SET IT OFF - FARSI NOTARE
 

Felix Gary Gray, newyorchese classe 1969, è un regista di videoclip e di film, oltre a essere produttore cinematografico. Tra le sue pellicole più note si annoverano: "Il Negoziatore", "The Italian Job", "Be Cool" (di cui è anche produttore) e il più recente "Giustizia Privata". Ha collaborato con musicisti come Outakast, Jay-Z e Babyface.
Nel 1996 dirige "Set it off" una pellicola (passata quasi inosservata in Italia) che racconta la storia di quattro ragazze afroamericane che tentano di acquistare maggior sicurezza in loro stesse e prendere così il controllo della propria vita senza farsi trasportare da essa. Cosa quest'ultima che troppo spesso accade nel loro quartiere di nascita alla periferia di Los Angeles.

Le protagoniste del film di F. Gary Gray non rinunciano ai voli pindarici tipici della giovinezza e soprattutto dettati da una realtà forzata, imposta, chiusa. Le quattro protagoniste arriveranno a sublimare l'istantaneità di un pensiero che frequentemente può attraversare la mente umana, quanto mai in questo periodo di crisi economica e sociale, come quello che il mondo sta affrontando: per questo il film risulta ancora attuale nonostante gli anni trascorsi.

Le quattro giovani donne sono protagoniste del loro dramma, hanno spazzato via fin da piccole le ingenuità e le illusioni, hanno strappato il pirandelliano cielo di carta molto presto , diventando dure nei confronti dell'altro, di se stesse e della vita. Esse non accettano la loro condizione di nascita, per questo le elusioni dalle comuni normative sociali divengono una trasgressione quasi ineluttabile.
Il film sprigiona amarezza e forte senso d'impotenza almeno nella parte iniziale, quando a Stony (Jada Pinkett Smith), donna responsabile, materna, apparentemente fragile ma internamente molto forte, viene ucciso erroneamente dalla polizia il fratello, con il quale lei si è sempre comportata da genitore. In tale frangente il suo autocontrollo inizia a vacillare e soprattutto quest'atto violento è l'avvio della sua ribellione a quel mondo cui si era sempre piegata, a quelle regole del gioco pesantemente e dignitosamente rispettate.
Quel fulmineo affacciarsi della morte nella sua esistenza apre una breccia nel suo quotidiano, dà a quel gesto uno spessore che palesa l'esistenza di un significato resistente all'automatismo, un confronto di lei vivente con la sua mortalità.

T.T. (Kimberly Elise) giovane madre, timorosa, incerta e delicata, muta il proprio atteggiamento inizialmente quando le viene tolto il bambino dai servizi sociali, dopo che lei lo aveva portato sul luogo di lavoro poiché non poteva permettersi una baby-sitter; ma i suoi timori e i suoi scrupoli cominciano a vacillare in maniera più efficace in seguito, quando assapora l'idea di poter avere il denaro per riscattare la sua vita e quella di suo figlio.

Frankie (Vivica A. Fox) è un personaggio in divenire, è il primo che il regista fa conoscere al pubblico: è una donna in carriera che viene, in questa sua corsa lavorativa, ostacolata dal pregiudizio, dunque è una donna delusa e dallo spirito vendicativo.

Cleo (Queen Latifah) è il personaggio da subito più ribelle, intransigente, carismatico e apparentemente fin troppo egocentrico.

Dopo la presentazione delle protagoniste e del loro abituale stile di vita si passa a una sequenza più ritmata, composta dalla piena rinuncia alla propria onestà che comporta il procurarsi armi da fuoco, il rubare automobili per raggiungere l'obiettivo, ossia quello delle rapine in banca, cosa che appare come la soluzione ideale alle proprie esistenze di stenti.
Il regista ci guida per mano nel quartiere e nella realtà delle protagoniste, facendoci vedere il trascorrere delle giornate tra musica hip-hop, alcol e fumo; le serate di lavoro nell'impresa di pulizie del viscido Luther (Thomas Jefferson Byrd): il tutto mostrato con una regia piatta e priva di guizzi, ma certamente descrittiva e lineare.

Il film è disomogeneo nella scrittura, passa da forti momenti di azione, adrenalinici, soprattutto quelli che riguardano le rapine in banca e il successivo batticuore e senso di potere dovuto alla riuscita del colpo e alla visione delle banconote; alternati ad altri molto lenti e drammatici come lo sviluppo del personaggio di Cleo, la morte del fratello di Stony, la scena in cui viene strappato dalle braccia materne il piccolo figlio di T.T.; ad altri ancora eccessivamente sdolcinati come gli incontri sentimentali tra Stony e Keith (Blair Underwood), un lavoratore onesto che la donna incontra per la prima volta in occasione di un sopralluogo all'interno della banca nella quale lui è impiegato.

Il regista e gli sceneggiatori ,Takashi Bufford, Kate Lanier, non sembrano aver scelto nettamente uno stile e il mix che è frutto di tale indecisione non figura totalmente convincente. La scena "parodia" de "Il Padrino" ne è un palese esempio. I momenti più drammatici del film sono analizzati in maniera forte, spietata e altresì eccessivamente fuori da ogni senso comune. Sceneggiatori e regista sembrano calcare eccessivamente la mano su momenti strazianti per giustificare le azioni criminose delle quattro donne. Cosa questa che si ripete nella sequenza finale in qualche misura debitrice a "Thelma e Louise" di Ridley Scott.

La scelta delle inquadrature è piuttosto convenzionale, così come la fotografia e il montaggio. Un film più televisivo che cinematografico. Una pellicola non imprescindibile. Per quanto riguarda gli attori offrono tutti prove dignitose ma hanno sicuramente sfruttato al meglio le loro doti artistiche in altri frangenti.

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Recensione a cura di foxycleo - aggiornata al 14/06/2011 17.10.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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