Il film ripercorre, con una serie di flashback, la vita di Pu-Yi, l'ultimo imperatore della Cina: da fanciullo cui tutto era dovuto, essendo figlio del Cielo, a re fantoccio del ""Manciukuo"" in mano ai giapponesi, a prigioniero dei campi di rieducazione politica ai tempi di Mao, dopo un periodo passato in Siberia ostaggio dei russi. Fino alla anonima morte, avvenuta durante la rivoluzione culturale.
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Inizio a pensare che se Bertolucci ha azzeccato un film gli è successo per ****. Non mi è piaciuto per niente neanche questo: il regista crede come al solito di portare in scena personaggi colti e interessanti, e invece sono tutti vuoti, senz'anima e senza senso. Proprio come la trama che con la scusa di essere biografica gira su se stessa e non porta a nulla; non emoziona, non ci sono scene memorabili, non c'è niente. An, e poi: scusatemi tanto, ma è una delle peggiori fotografie che abbia mai visto. Non parlo della fluidità della cinepresa, perché i movimenti della mdp sono buoni e lì non c'è niente da dire... ma parlo dei colori, della scenografia. Orribili, inconcepibili. Non riesco a immaginare uno scenario peggiore. Lunghissimo per niente, un 4 come un calcio nel posteriore.
Scenografia, costumi, musica e atmosfere spettacolari; soprattutto per l'anno di produzione. Ma mi aspettavo qualcosa di più dal punto di vista narrativo considerata la fama del film.
Un film impeccabile sotto il lato tecnico,ma eccessivo in tutto,soprattutto per quanto riguarda la durata.la parte migliore e più interessante è senza dubbio la prima mezzora,poi la noia inizia a prevalere.un film che a fine visione non lascia nulla,se non un senso di vuoto e forse anche un rimorso per aver sprecato tre ore della propria esistenza.
Cinema senza se e senza ma......l'Ultimo Imperatore è l'ultimo grande film italiano (se Italiano si può definire) monumentale, profondo, psicologico, storico veramente un colossal dove il cinema si mostra a 360 gradi in tutta la sua bellezza
Molto bello. di certo inferiore ai grandi capolavori di Bertolucci come Ultimo Tango e Novecento, ma sicuramente un gran film. la regia è perfetta, Bernardo ha una grazia nel muovere la macchina da presa senza mai uno scatto, una sbavatura, nella sua sontuosità un film essenziale, pacato, una parabola calma, educata, quieta (come è lo spirito cinese) nell'inferno della Consapevolezza. la vita di un uomo maciullata dalla brama di potere, dalla brama di fare, dalla brama di avere nella spietata, sorda, ottusa, ingorante logica comunista cinese. Bertolucci (sembra) pur essendo lui un compagnone staccarsi dai metodi del comunismo cinese per guardare alla coerenza della storia, ossia non fare quello che giustamente ha fatto in Novecento, ma solo raccontare la storia dell'Ultimo Imperatore della Cina in una spettacolare ricostruzione veritiera storica dell'enorme impero. gli oscar tecnici sono meritati poichè tra la regia di Bernardo, la fotografia di Storaro e le scenografie originali della Città Proibita non si può che rimanere estasiati, però il mio voto "relativamente" basso va al fatto che la storia non mi ha entusiasmato granchè e probabilmente sarà che la cultura orientale mi ha sempre interessato fino a mezzogiorno.
L'enfatizzazione di spettacolone per le masse (ben altra caratura il migliore della trilogia, quel "piccolo Buddha" che insegna agli occidentali il Siddharta con l'epopea di una favola moderna) scioglie ogni dubbio: piaccia o meno, "L'ultimo imperatore" è la prova del definitivo TRADIMENTO autoriale di Bertolucci, venduto al "nemico americano" (non certo per me, ma per la sua apparentemente coerente linea ideologica di tanti tanti anni fa) per una pioggia di premi. Se fosse un premio alla carriera, avrebbe il sapore - piu' che di riscossa - di riabilitazione dal vecchio anticonformista che fu. Si puo' rievocare , eccome, la figura di un'imperatore senza eccedere nel fasto titanico della rappresentazione, cosa che è riuscita allo splendido Sokurov de "Il sole".
Un film tuttavia, che si puo' odiare ma non dev'essere ignorato: sotto la dicitura "da non perdere" e stancamente preposto al suo doveroso e ufficiale rito di "capolavoro". Ma lo è veramente?
La parte iniziale, le lacrime e lo straniamento di un bambino davanti a un ruolo che lo strappa dal suo mondo per riportarlo bruscamente in una fase adulta troppo precoce, è la migliore: c'è davvero il riflesso dell'immaginazione occidentale e una grandissima capacità di rappresentare la realtà con un forte rispetto della storia. (10)
Debole, a mio avviso, quasi tutto il resto: la parte centrale coltiva il feuilleton e sfocia nel dramma personale, risultando fastidiosamente romanzata e delirante (4).
Superiore, ma non eccelsa, tutta la parte finale: affascinante la figura dell'uomo che si ritrova in prigione come un cittadino cinese qualsiasi, decisamente qualunquista e iconografica la rievocazione del Maoismo ai tempi della rivoluzione "rossa". (6)
Per dirla appunto alla Mao, "grande è la confusione sopra e sotto il cielo". Bertolucci si crede Attenborough, ma avrebbe le qualità (come dimostrano i primi trenta minuti del film) per far impallidire il tedioso regista inglese.
Soprattutto, manca quel ripensamento storico e ideologico - culturale che trent'anni prima sarebbe stato tra le primarie necessità del regista per fare un film, per parlare di un personaggio del genere.
Lo spettacolo è immenso, l'anima pero' è raggelata
Tra 10, 4, 6, mi pare che la media giusta sia questa
Dalla mitica città proibita alle vessazioni politiche, fisiche e morali durante la rivoluzione culturale. Pu Yi diventa un burattino nelle mani dei giapponesi. Maestosa e bellissima la 'città' mai filmata prima. Una vita malinconica che ti riempie gli occhi di lacrime. Il miglior film di Bertolucci. Meritatissimi tutti gli oscar e i premi Donatello.