the wicker man (1973) regia di Robin Hardy Gran Bretagna 1973
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the wicker man (1973)

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locandina del film THE WICKER MAN (1973)

Titolo Originale: THE WICKER MAN

RegiaRobin Hardy

InterpretiEdward Woodward, Christopher Lee, Diane Cilento, Britt Ekland

Durata: h 1.42
NazionalitàGran Bretagna 1973
Generehorror
Al cinema nel Maggio 1973

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Trama del film The wicker man (1973)

Il sergente di polizia inglese Neil Howie riceve una lettera anonima che comunica la scomparsa di una ragazza sull'isola scozzese di Summerisle. Raggiunta l'isola, il poliziotto si trova in mezzo a una comunità diffidente che pratica un culto religioso pagano.

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Voti e commenti su The wicker man (1973), 64 opinioni inserite

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Bi1979  @  29/04/2007 15:18:58
   9½ / 10
Veleggiando sul vascello del nostro spirito critico, timonieri (ahimè mai troppo esperti!) del nostro intelletto, spinti dai venti e dalle correnti delle tendenze di mercato e della critica prezzolata, navighiamo come meglio possiamo attraverso il vasto e insidioso oceano del cinema di consumo, rimanendo ammaliati dai canti di sirena delle grandi produzioni e degli effetti speciali visivi e sonori, che troppo spesso ci incantano nella misura in cui ci stordiscono.
Tuttavia, ci capita a volte di approdare presso lidi ospitali e sicuri, laddove un film, un’opera realmente di valore ci rinfranca e ci riporta alla mente la preziosa necessità di alimentare la nostra intelligenza con cibi adeguati. E questo, direi, è il caso che si verifica con un film come “The Wicker Man”.

“The Wicker Man”, “L’Uomo di Vimini”, opera prima e controversa del regista inglese Robin Hardy, rappresenta uno dei tanti casi di “messa all’indice” dell’indomabilità dello spirito umano da parte dell’angusta dottrina del “politicamente corretto”. In questo caso, si potrebbe dire del “religiosamente corretto”: ma del resto, nel momento in cui una religione predomina non solo e non tanto a livello di fede, quanto piuttosto – e soprattutto – sotto un profilo istituzionale, “politicamente corretto” e “religiosamente corretto” divengono elementi di una tragica endiadi.

Eviterò di riportare la trama del film in sede di commento, in quanto essa viene accennata, anche se molto sinteticamente, più sopra. Piuttosto, preferisco invitare chiunque visiti la scheda di questo film senza ancora averne preso visione, di cercarlo, di guardarlo, di vederlo, di sentirlo, di comprenderlo…
Vorrei invece soffermarmi sulla figura del sergente di polizia Neil Howie (interpretato da un bravissimo Edward Woodward), per considerarne alcuni aspetti che mostrano chiaramente la pluridimensionalità e la carica simbolica che caratterizzano questo film.
Il sergente Howie rappresenta, a mio parere, il vero e proprio fulcro simbolico del film: uomo di chiesa e di legge, austero sotto ogni aspetto (ancora vergine, nell’attesa della prima notte di nozze), SEMBRA che egli si muova, come protagonista, attraverso l’intricata vicenda della presunta scomparsa di una ragazzina dell’isola, sulla quale egli decide di indagare. Protagonista, dicevo, in quanto SEMBRA che gli altri personaggi coi quali interagisce (i locandieri, la presunta madre della ragazzina scomparsa, l’insegnante della scuola, ecc…) si muovano intorno a lui come semplice “cornice narrativa”. Il solo altro personaggio che SEMBRA rivestire un ruolo di una certa importanza è l’ambiguo e cortese Lord Summerisle (un grande Christopher Lee), vera e propria autorità temporale e spirituale dell’isola, quasi un re-sacerdote.
Questo, come ho detto, è ciò che SEMBRA.
Ma ciò che E’, ciò che sta realmente accadendo, ri rivela in quello che a mio parere rappresenta il momento-chiave, il punto di snodo dell’intero film: il sergente Howie, nell’estremo tentativo di trovare la ragazzina attorno alla cui scomparsa gli abitanti dell’isola – e Lord Summerisle in primis – sembrano osservare tanto omertoso silenzio, stordisce, lega e imbavaglia il locandiere McGregor e si traveste col costume che questi avrebbe dovuto indossare nella processione per la celebrazione dei riti del Primo Maggio. Howie veste, così, i panni del Buffone (in inglese “the Fool”).
“The Fool”. Il Buffone. Il Matto. Il numero Zero dei Tarocchi.
Come il numero Zero, in matematica, si pone fuori dal gioco degli altri nove numeri, possedendo un grado di astrazione superiore, così il Matto può essere posto, nei Tarocchi, indifferentemente all’inizio o alla fine del mazzo. Il Matto, dunque, rappresenta l’Inizio e la Fine, il senso della ciclicità, la ricerca dell’Infinito.
Il Matto è anche l’individuo che sogna di compiere grandi azioni, di realizzare grandi cose, dimenticando tuttavia l’importanza di un prezioso alleato: la conoscenza. Pertanto, senza la conoscenza (e senza la coscienza della conoscenza), il Matto non è in grado di percorrere un cammino personale ben delineato. E, credendo di pensare, di muoversi, di agire, egli è in realtà pensato, mosso, agito.
Così il sergente Howie, che sembra, fino alla fine, il protagonista dell’intera vicenda, si rivela in realtà un burattino che è stato fatto pensare, muovere e agire secondo volontà altrui. Howie è protagonista solo perché ciò gli viene concesso da un contesto che, da apparente “cornice narrativa”, assume le forme di una vera e propria trama coesa ed efficace, una trama dalle cui maglie fitte Howie non solo non è in grado di sfuggire, ma che anzi si stringe attorno sempre di più, tanto volontariamente quanto incoscientemente.
Interessante anche un altro aspetto: il Matto, simbolicamente, può rappresentare anche l’anticonformismo, il porsi contro le convenzioni. Paradossalmente, il sergente Howie, nella sua stretta osservanza delle regole e delle convenzioni (legali, morali, religiose), è a Summerisle il vero unico anticonformista. Ma un anticonformista privo degli strumenti per agire efficacemente contro le regole della comunità, nella quale viene così definitivamente intrappolato.
Figura forte e dominante all’inizio della vicenda, il sergente Howie si ritira, così, dalla scena nei panni di Buffone-Vittima sacrificale, portando a compimento un ciclo che, se per un verso può essere considerato discendente (da un’iniziale predominanza alla completa soggezione, dalla vita alla morte), per un altro può anche assumere le tinte dell’ascesa, in quanto Howie, fervente cristiano, sembra riscattarsi dai panni del Buffone accettando con dignità e rassegnazione il destino per lui decretato, affidandosi al Dio in cui crede e confidando nel mistero della resurrezione.
Ma discesa e ascesa, così come morte e rinascita, sono polarità che si alternano nel corso ciclico del divenire. L’una non può esistere senza l’altra. E così, il tramonto nella scena finale reca in sé l’alba della resurrezione per Howie, ma anche la rinascita delle energie generative che, secondo le speranze della comunità isolana, porteranno nuovi frutti sugli alberi di Summerisle.
Naturalmente, quella che ho deciso di proporre è solo una possibile chiave di lettura (magari più insolita) fra le altre.
“The Wicker Man” è un film di indubbia attualità anche perché propone importanti spunti di riflessione sui pericoli insiti nell’ottusità e nella cecità delle religioni nel momento in cui esse si declinano nel fanatismo e nel dogmatismo e, di conseguenza, nell’impossibilità di un confronto che, anziché allo scontro, possa portare ad una comprensione dell’ “altro-da-noi”. Problemi tutt’altro che alle nostre spalle…

“The Wicker Man” è stato classificato come “horror movie”, ma concordo con altri utenti nel constatare la riduttività di una simile classificazione (del resto, tutte le classificazioni sono, per loro stessa natura, riduttive). Più che di orrore, mi piacerebbe parlare di un costante, latente senso di inquietudine. Inquietudine per niente diminuita (anzi, per certi versi accresciuta) dal fatto che – soluzione geniale del regista – il corso degli eventi si sviluppi sempre nelle fasi diurne, fino al tramonto infuocato degno coronamento dell’intera vicenda. La luce del sole, dunque, mostrando in tutta la loro vivida naturalezza (e con splendido cromatismo) cose che agli occhi dell’ “uomo di legge e di chiesa” Neil Howie rappresentano veri e propri abomini, distrugge e, al contempo, rafforza, il senso di “tabù” che aleggia con opprimente presenza in tutto il corso della vicenda.

Un’ultima considerazione va fatta con riguardo alla dimensione sonora del film, degno complemento alla dimensione visiva: le musiche folk composte da Paul Giovanni si intrecciano in modo sublime con le immagini, in un effetto di reciproco rafforzamento che dona al film ulteriore coesione e pregnanza.

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Ultima risposta 16/01/2008 10.55.01
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