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Marian Dora, la regista di questo "film", dovrebbe farsi una cenetta a lume di candela con Nacho Cerdà. Questa trasposizione cinematografica dell'orrore compiuto da Armin Meiwes è quasi un canto d'amore verso il cannibalismo e il suo artefice. La regista racconta le violenze e i contatti omosessuali dei due protagonisti in modo totalmente maniacale. Quando si tratta un tema così incredibile, terrorizzante e di difficile comprensione forse si dovrebbe cercare di entrare più nella psicologia del soggetto in se, senza dover necessariamente mostrare ogni minimo disgustoso dettaglio, sia esso sessuale o violento. Rinchiudete questa malata.