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Grazie Reiner

Pubblicato il 10/12/2012 08:35:41 da amterme63
Reiner Werner Fassbinder è senz'altro uno dei più grandi registi degli anni '70. A lui dobbiamo capolavori come "Le lacrime amare di Petra von Kant", "Il matrimonio di Maria von Braun" e "Querelle". Ma anche le sue opere meno conosciute sono di grande valore artistico e mantengono intatto tutto il loro valore di anticonvenzionalità e forte spessore emotivo ed estetico. In altre parole le sue opere continuano tuttora a interessare, a coinvolgere, a lasciare affascinati e interdetti, in qualche maniera colpiti.
Il suo cinema quindi non è solo la testimonianza dello spirito di un'epoca, ma rappresenta anche un lascito universale che rimarrà sempre valido e d'interesse pure nelle epoche future.



Se si volesse indicare il valore e il ruolo che ha avuto la sua arte, la si potrebbe indicare come uno dei massimi contributi alla messa in dubbio del sistema di valori e certezze che si erano affermati durante il Novecento. In nome della verità, del rifiuto dell'ipocrisia e delle false illusioni, Fassbinder ha voluto mostrarci come il mondo umano e la realtà non siano altro che una vana lotta che porta solo alla sconfitta e alla morte come rifugio finale. Pur non essendo il suo un cinema esteriormente cruento o crudele, di fatto lo è con l'interiorità dei personaggi, sottoposti a smacchi e delusioni cocenti.
Insomma per Fassbinder la vita umana non ha certezze, non c'è niente a cui ci possiamo appigliare per essere felici, per vivere senza essere sfruttati. L'unico rifugio per liberarsi dalla sofferenza di vivere è la morte.
Si tratta della visione pessimista e fatalista del vivere umano che ha attraversato tutte le epoche della storia umana e che in Italia ha avuto il suo esponente più lucido ed efficace in Leopardi.

Quasi tutti i suoi film parlano di fallimento e scacco, soprattutto in campo affettivo. Già il titolo del suo primo film parla chiaro: "L'amore è più freddo della morte". Nelle sue prime opere c'è ancora un atteggiamento un po' distaccato e fatalista verso le disavventure dei suoi personaggi, più che altro impigliati e strozzati dalle convenzioni borghesi ("Perché il signor R è diventato matto? ") o nei freddi e ragionati ruoli di dominio e umiliazione ("Le lacrime amare di Petra von Kant", "Martha").
Con il passare del tempo, Fassbinder mette più pathos nella sua amara visione del mondo affettivo umano. I suoi personaggi diventano sensibili e allo stesso tempo deboli e quasi sprovveduti, sballottati e sfruttati cinicamente, per poi essere abbandonati quando non servono più. Nascono così le amarissime e pietose storie di Fox ("Il diritto del più forte"), di Erwin/Elvira ("Un anno con tredici lune") e di "Veronica Voss".
Con il suo ultimo film ("Querelle") Fassbinder sembrava avere imboccato di nuovo la strada del distacco, della cupa e fredda visione di un mondo regolato solo dagli istinti più inconfessati e (auto)distruttivi; una specie di trionfo della morte ("each man kills the thing he loves", ripete ossessiva Jean Moreau nel film).



Fassbinder ha anche portato la sua visione pessimista e disgregatrice nel campo del vivere sociale e collettivo, rimanendo però sempre coerente e coraggioso nel suo presupposto base di guardare in faccia alla pura e nuda verità (o almeno a ciò che lui riteneva tale) senza appoggiarsi ad alcuna illusione.
Aveva la rara dote di ritrarre il collettivo tramite le vicende dell'individuo. Raccontando i fatti banali e quotidiani del Signor Raab ("Perché il signor R è diventato matto? ") riesce a dare un resoconto critico corrosivo e impietoso del vuoto, del materialismo e della povertà spirituale della piccola borghesia tedesca. Con la storia di Fox ("Il diritto del più forte") offre uno dei ritratti più duri e critici dell'alta borghesia tedesca. Addirittura mette in gioco se stesso per illustrare lo stato d'animo collettivo della Germania alla prese con il terrorismo ("Germania in autunno").
La sintesi mirabile di questa sua grande dote artistica è però il film "Il matrimonio di Maria von Braun". Raccontando semplicemente il carattere, le avventure, le iniziative di una scaltra e intraprendente ragazza tedesca del dopoguerra, ci descrive metaforicamente la trasformazione della società tedesca, meglio forse che illustrando i fatti storici nudi e crudi.
In ogni caso anche nella sua visione sociale del vivere umano il risultato alla fine è lo stesso: scacco, sconfitta, rifugio nella morte.

Fassbinder ha iniziato la sua carriera cinematografica utilizzando i canoni stilistici della Nouvelle Vague francese, cioè delegando allo spettatore il compito di dare un senso alle immagini, in genere slegate fra di loro e puramente illustrative di stati d'animo.
A partire dal 1970 decide invece di avere un rapporto più diretto con lo spettatore, di comunicare non più tramite segni da interpretare ma puntando direttamente al cuore, all'animo, alla sensibilità di chi assiste visivamente a storie compiute. Al tal fine accentua il potenziale suggestivo di tutti i componenti dell'arte cinematografica: cura moltissimo la posizione della macchina da presa (inquadra spesso le vicende a distanza incorniciandole in porte o pareti per creare senso di claustrofobia o chiusura), le scenografie (per suggerire la qualità e il carattere dei personaggi che ci vivono), le musiche, la posizione dei personaggi nella scena (rendendola significativa ed emotiva), la presenza di specchi o altri elementi illusionistici che moltiplicano i punti di vista.
In altre parole ricorre ai mezzi rodati ed efficaci della tradizione melodrammatica hollywoodiana (soprattutto la sintesi perfetta raggiunta da Douglas Sirk) per colpire emotivamente lo spettatore e lasciare un segno indelebile nel suo animo.
A differenza di Sirk però, Fassbinder dopo aver commosso e amareggiato non concede nessuna speranza, gli ostacoli e le difficoltà vincono inesorabilmente senza possibilità di riscatto.

Coerentemente a ciò che rappresentava sullo schermo, Fassbinder stesso ha conosciuto nella sua vita solo rari scampoli di felicità o tranquillità, è stato segnato dal suicidio del suo compagno e dalla tragica e illusoria via di fuga nella droga. Anche per lui il rifugio finale, il sollievo a tutti i mali è stata la morte.
Eppure nonostante tutto è stato una persona coraggiosa e coerente, ha vissuto la sua vita come ha voluto, senza compromessi, libero di mostrarsi sempre e comunque per quello che era, senza vergogne o ipocrisie.
Grazie Fassbinder.

Categorie: Cinema registi

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