il pianista regia di Roman Polanski Francia, Germania, Polonia, Gran Bretagna 2002
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il pianista (2002)

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locandina del film IL PIANISTA

Titolo Originale: THE PIANIST

RegiaRoman Polanski

InterpretiAdrien Brody, Thomas Kretschmann, Frank Finlay, Maureen Lipman, Emilia Fox, Ed Stoppard, Julia Rayner, Jessica Kate Meyer, Michal Zebrowski, Wanja Mues, Richard Ridings, Nomi Sharron, Anthony Milner, Lucy Skeaping, Roddy Skeaping, Ben Harlan, Thomas Lawinky, Joachim Paul Assböck, Roy Smiles, Paul Bradley, Daniel Caltagirone, Andrzej Blumenfeld, Zbigniew Zamachowski, Detlev von Wangenheim, Popeck, Zofia Czerwińska, Udo Kroschwald, Uwe Rathsam, Joanna Brodzik, Katarzyna Bargiełowska

Durata: h 2.28
NazionalitàFrancia, Germania, Polonia, Gran Bretagna 2002
Genereguerra
Al cinema nell'Ottobre 2002

•  Altri film di Roman Polanski

Trama del film Il pianista

Un brillante pianista ebreo-polacco riesce a sopravvivere allo sterminio del Ghetto di Varsavia grazie all'aiuto di un ufficiale tedesco, che ama sentirlo suonare.

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Voto Visitatori:   8,62 / 10 (362 voti)8,62Grafico
Migliore regiaMiglior attore protagonista (Adrien Brody)Migliore sceneggiatura non originale
VINCITORE DI 3 PREMI OSCAR:
Migliore regia, Miglior attore protagonista (Adrien Brody), Migliore sceneggiatura non originale
Miglior Film Straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior Film Straniero
Miglior filmMigliore regiaMiglior attore protagonista (Adrien Brody)Miglior fotografiaMigliore scenografiaMiglior sonoroMiglior colonna sonora
VINCITORE DI 7 PREMI CÉSAR:
Miglior film, Migliore regia, Miglior attore protagonista (Adrien Brody), Miglior fotografia, Migliore scenografia, Miglior sonoro, Miglior colonna sonora
Palma d'oro
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES:
Palma d'oro
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Voti e commenti su Il pianista, 362 opinioni inserite

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kafka62  @  25/03/2018 19:24:12
   7½ / 10
Quello dell'Olocausto è diventato negli ultimi lustri un genere cinematografico talmente sfruttato da aver raggiunto ormai la saturazione. Si può ben immaginare perciò quanto di personale e di intimamente urgente Polanski, giunto al quarantesimo anno di carriera, debba avere intravisto nel soggetto de "Il pianista" per voler correre il rischio di scivolare nel risaputo e nel dejà vu. A giudicare dal successo riscosso al festival di Cannes del 2002 si può comunque dire che il gioco è valso pienamente la candela. "Il pianista" è un film estremamente tradizionale e, paradossalmente, poco polanskiano; potrebbe essere avvicinato, per la sua classica, hollywoodiana perfezione formale al limite dell'accademia, a "Schindler's list" se non fosse che Polanski non preme mai sui tasti della commozione e del sentimentalismo, preferendo invece puntare su uno stile secco, asciutto, poco emozionante, ricavandone quasi un reportage cronachistico sulla sopravvivenza di un uomo in condizioni estreme. Per fare un paragone più calzante con un altro film uscito in quegli anni, l'operazione fatta con "Il pianista" assomiglia a quella di Guido Chiesa con "Il partigiano Johnny", nel quale la concitata lotta per la vita di Johnny induceva a mettere in second'ordine il quadro generale della Resistenza, salvo poi recuperarne il profondo significato umano e morale. Allo stesso modo, le peripezie di Wladyslaw Szpilman, costretto a passare da un nascondiglio all'altro e ad assistere alla resistenza nel Ghetto e alla rivolta di Varsavia dall'angusto punto di osservazione di una finestra, fanno quasi perdere di vista la Shoah, almeno nel senso cinematograficamente più usuale e scontato, per privilegiare in sua vece un'ottica strettamente individuale, ma forse proprio per questo più reale e credibile.
Quello che emerge da "Il pianista", e che è forse il suo maggiore punto di merito, è il processo che, in fenomeni storici come quello della persecuzione degli ebrei, porta progressivamente a rendere banale e quotidiano l'impossibile. "Non può durare!", ripetono più volte i membri della famiglia Szpilman di fronte alle assurde violenze e ingiustizie perpetrate dai nazisti, sottovalutando quello che di lì a poco li travolgerà. Essi giudicano la Storia con logiche puramente razionali ed etiche, ma la bestialità dell'uomo non ha limiti, e così l'orrore a cui essa può condurre. La discesa agli inferi di Wladyslaw non è contrassegnata da colpi di scena clamorosi, ma da un inesorabile, e direi quasi inevitabile, perdita di umanità: perdita che, purtroppo, coinvolge tutti, vittime e carnefici, i secondi che uccidono senza discernimento e senza passione e i primi che sono costretti a passare accanto ai cadaveri come se niente fosse successo. Pensare solo alla propria pelle e disinteressarsi di chi ci è vicino è la più logica delle conclusioni per chi vive nel ghetto o nel lager, come ci ha insegnato tristemente Primo Levi. Ma il protagonista de "Il pianista", per sua buona sorte, trova ancora un po' di solidarietà intorno a lui (anche se, spiace dirlo, non è estraneo alla sua salvezza il fatto di essere un musicista famoso), e addirittura alla fine viene graziato da un ufficiale tedesco che rimane affascinato dalla sua arte. Segno che, anche in mezzo alle rovine (della città distrutta così come dello spirito violentato), è ancora possibile far trionfare il bene: dopo trent'anni, Polanski rovescia così il pessimistico finale di "Chinatown" per lanciare al mondo un insperato messaggio di speranza e di fiducia nell'umanità.

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