Michael Moore esamina cosa è successo agli Stati Uniti dopo l'11 Settembre. Inoltre descrive i rapporti tra Bush e Bin Laden e come siano diventati nemici mortali.
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INCREDIBILE....e poi gli americani parlano di democrazia..di libertà...di PACE! Ma lo scopo dichiarato del regista è un altro: far perdere le elezioni a George W. Bush colpevole, secondo lui, di aver trascinato il paese in guerra contro l’Afghanistan e l’Iraq per il controllo del petrolio e per i suoi interessi personali. Moore prende il titolo del suo film dal romanzo di Ray Bradbury Fahreneheit 451, che narra di un futuro in cui i libri sarebbero stati messi al rogo per impedire lo sviluppo di coscienze pensanti. Chiara metafora del potere che cerca di prevenire qualsiasi dissenso. La stessa intenzione, secondo Moore, anima l’inquilino della Casa Bianca. Come dimostrarlo? Il regista nel corso del film fa uso di reportage esclusivi, testimonianze di persone coinvolte direttamente negli avvenimenti, domande irriverenti poste ai potenti del mondo. Fahrenheit si apre con la contestata elezione di George W. Bush, prosegue mostrando gli intrecci di potere tra le famiglie Bush, Saud e Bin Laden e la chiara volontà del presidente di dichiarare guerra all’Iraq, costi quello che costi. Lo strumento di persuasione era lo spauracchio della minaccia terroristica. Intanto, però, l'amministrazione Bush tagliava drasticamente le spese per la sicurezza interna. Moore si concentra poi sulle drammatiche conseguenze della guerra: giovani reclute mandate allo sbaraglio, disilluse dalla terribile realtà irachena. Combattenti che si vedono decurtata l’indennità e i fondi malattia. E poi, i soddisfatti commenti degli amministratori delle società –petrolifere e non solo- che si spartiscono gli immensi profitti della ‘ricostruzione’ irachena. Fahrenheit 9/11 denuncia le malefatte del potere, che già in parte l’opinione pubblica conosceva e sospettava. Cionostante fa impressione vederle esposte con tanta chiarezza. Non bisogna però, aspettarsi un film angosciante: Moore tratta una materia così drammatica con ironia, sarcasmo e una certa leggerezza. Grazie anche a un montaggio alla Blob: i fatti inframmezzati da esilaranti spezzoni di telefilm e film (fantastico il paragone Bush-cowboy). Memorabile la citazione di George Orwell da 1984: “La guerra non è fatta per essere vinta, ma per continuare”. E all'augurio di Michael Moore: “Spero che uscendo dal cinema le persone decidano di essere cittadini migliori, qualsiasi significato questo abbia per loro”.