il padre di famiglia (1967)

Pellicola ormai un pò datata che negli anni '60 poteva effettivamente passare per provocatoria, in un Paese così legato alla famiglia tradizionale ( dove la madre cura la prole ed al marito spetta il mantenimento ) e ad un certo conservatorismo sociale di facciata. Bravi gli attori.

Satira di costume che vista oggi ha il sapore dell'ordinarietà ma che in quegli anni, fine '60, aveva un che di rivoluzionario, mettendo in luce i problemi di una coppia attraverso gli anni spensierati dell'università, il matrimonio e i figli, in una sorta di gabbia volontaria con tutti i suoi alti e bassi, le idee iniziali e le ipocrisie che man mano vengono a ingarbugliarsi.
Una dramedy abbastanza ben tratteggiata da Loy che può fare affidamento su un cast preciso e di spessore, ma che non sembra possedere una grande vitalità narrativa e che, forse, risente degli anni che passano.

Una prima parte veloce, come veloce è il momento storico in cui è ambientato: il dopoguerra, la ricostruzione ed il boom economico degli anni '50. Crescono i palazzi come funghi, crescono le città e così crescono anche le famiglie: due, tre, quattro figli. Non si ha neanche il tempo di uscire dall'università, di ingranare col lavoro che già ci si ritrova padri e madri, senza un attimo di respiro. E' difficile il mestiere di genitore. Nanny Loy è impeccabile nell'alternare commedia e dramma e con le eccezionali interpretazioni di Manfredi, Caron e Tognazzi il quadro è completo...forse anche troppo. Nel senso che a mio parere la pellicola è troppo di parte nel mostrare la famiglia come se fosse per forza una schiavitù ed i figli come piccoli mostri succhia-energie. Al di là di questo è pur sempre un film prodotto nel periodo in cui l'Italia sfornava quasi esclusivamente capolavori e vi rientra a pieno titolo.

bel film peccato per la morte prematura di totò che faceva il ruolo che poi ha interpretato bene tognazzi

Una famiglia italiana analizzata nei primi vent'anni del dopoguerra, le trasformazioni del paese e i suoi riflessi sui due protagonisti, fra nuovi input più o meno subiti (metodo Montessori), le disillusioni del personaggio di Manfredi, diviso tra idealismo e impotenza di fronte al drastico mutamento degli anni del boom e della speculazione edizlizia. Ci sono tanti temi nel film di Loy, forse troppi, però va dato atto dell'onestà di intenti e grazie anche a due ottimi protagonisti ci offre un ritratto del cambiamento di un paese, tenendo al centro la famiglia e i suoi mutamenti.