Recensione non desiderare la donna d'altri regia di Susanne Bier Danimarca 2004
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Recensione non desiderare la donna d'altri (2004)

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locandina del film NON DESIDERARE LA DONNA D'ALTRI

Immagine tratta dal film NON DESIDERARE LA DONNA D'ALTRI

Immagine tratta dal film NON DESIDERARE LA DONNA D'ALTRI

Immagine tratta dal film NON DESIDERARE LA DONNA D'ALTRI

Immagine tratta dal film NON DESIDERARE LA DONNA D'ALTRI
 

Eros e Thanatos, realtà opposte per definizione, sono legate da un filo dialettico di compresenza nella vita e nella nostra anima, nel mondo delle emozioni come nella espressione artistica. Dove dunque si alternano chiavi diverse, dal sorriso al pianto, dalla gioia al dolore, dall'entusiasmo vitale di nascite ed amori, alla disperazione della morte. A riprova un'esperienza esistenziale cui pochi prestano attenzione, distratti dal dolore: in occasione dei funerali, in presenza soprattutto delle giovani vedove, scatta un equivoco meccanismo di "corsa alla successione" all'interno delle famiglie stesse. Parenti, amici e conoscenti guardano al coniuge sopravvissuto come a una preda vicina, da possedere per tutelare, o da tutelare per possedere. E' una legge di natura, tipica pure dei branchi animali, nel segno della sopravvivenza della razza, del gene e del sangue. Al punto per cui, ad esempio nella cultura islamica, la vedova passa de jure sotto le ali protettive di un fratello, senza perdere la famiglia dello scomparso. Dunque, a prescindere dall'aspetto etologico, il fenomeno si manifesta sotto la forma di una forte e reciproca tensione erotico-sensuale tra chi piange il proprio caro perduto, e chi resta in ansiosa "ammirazione" di questo dolore, prefigurandosi il dopo a proprio piacere. Parlavamo di meccanismo "equivoco" perchè molti ritengono esecrabile la cosa, colpevolizzandola come un sacrilegio, senza riconoscerla ineluttabile e secondo natura, per la continuità della vita.

La premessa per spiegare il clou della vicenda narrata nel film, dove il fratello "balordo" dell'ufficiale creduto morto in Afganisthan, si avvicina alla giovane vedova, sostituendosi al fratello come figura di padre delle sue bimbe. Ad un tempo cade innamorato della splendida cognata, fascinando pure lei, pur senza dare corpo al peccato e limitandosi ad un semplice bacio, quasi simbolico. Ciò malgrado, la rigida etica protestante del paese di origine (la Danimarca) lascia il feroce marchio del senso di colpa nell'amante mancato e nella famiglia di origine, e un'imperdonabile bolla di infamia nella coscienza del militare, redivivo a sorpresa.

Dunque, sembrerebbe, un film su un amore "colpevole" come tuona senza remissione il comandamento evangelico "Non desiderare la donna d'altri". Ma, in effetti, non si tratta di questo! E solo una riprovevole "smania commerciale" della distribuzione italiana ha così ribattezzato un'opera degnissima che in origine aveva ben altro titolo: "Brothers" emblematico di ben altri biblismi, come la storia di Caino e Abele. Questo era in effetti il clou della storia, dell'uomo contro l'uomo, della guerra comunque fratricida, del sacrificio di sangue con cui il prigioniero ammazza l'altro per sopravvivere, all'insegna della più crudele legge dell'umano e della natura : "Mors tua vita mea". Il tutto all'interno di un quadro spietato della società e degli ambiti famigliari, dove si rispecchiano le peggio nevrosi e gli Edipo irrisolti: la madre evanescente, amorevole per... mestiere, ma totalmente svagata, il padre alcolista afflitto dal "Complesso di Crono", in odio al figlio maschio giovane, le bambine caratteriali, che giocano con poderosa precocità il ruolo della femmina isterica e portatrice di conflitti: con la conclusione che il povero reduce, distrutto dal senso di colpa per l'omicidio commesso in prigionia, finisce per distruggere simbolicamente l'immagine del focolare domestico sgretolando il mobilio della cucina (se vogliamo come nella tragedia greca, dove fatti apparentemente quotidiani assurgono a simbolo di nemesi divina e di fatale condanna).

Davvero valida, comunque, la regia dell'insieme: convincente la fotografia per certe immagini metaforiche della natura, e soprattutto per l'uso del primo piano nella descrizione dei singoli; perché, diciamolo, siamo sempre noi, e solo noi, in prima persona, a cospetto dei problemi! E, in cinema come in fotografia, solo il primo piano può raccontarlo... quasi ne emergesse il nostro inconscio represso. All'ottimo esito del film, poi, concorre una formidabile recitazione, sia dei due fratelli, che della protagonista Connie Nielsen, angelo di bellezza rara! A mio avviso, una sola sbavatura nel soggetto: l'ordine di uccidere l'amico prigioniero a bastonate, impartito dai Talebani, non risulta credibile, sapendo di fatalismo sacrificale. Mentre si potevano ipotizzare situazioni più realistiche per creare un "gioco della torre" e di sopravvivenza.

L'insieme sfiora il capolavoro, in ogni modo... e se avessimo per le mani i neo battisti del titolo... ci piacerebbe finirli a bastonate, come crudeli Talebani!

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Recensione a cura di GiorgioVillosio - aggiornata al 30/05/2005

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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