prometheus regia di Ridley Scott USA 2012
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prometheus (2012)

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locandina del film PROMETHEUS

Titolo Originale: PROMETHEUS

RegiaRidley Scott

InterpretiMichael Fassbender, Noomi Rapace, Charlize Theron, Idris Elba, Guy Pearce, Logan Marshall-Green, Kate Dickie, Sean Harris, Rafe Spall, Benedict Wong, Emun Elliot, Branwell Donaghey

Durata: h 2.04
NazionalitàUSA 2012
Generefantascienza
Al cinema nel Settembre 2012

•  Altri film di Ridley Scott

Trama del film Prometheus

Nel lontano passato, la navicella spaziale di un’avanzata razza umanoide aliena arriva sulla Terra. Uno degli alieni consuma un liquido scuro che provoca la disgregazione del suo corpo e lo fa cadere in una vicina cascata, seminando la Terra con gli elementi costitutivi della vita. Nel 2089, la coppia di archeologi Elizabeth Shaw e Charlie Holloway scopre una mappa stellare tra i resti di diverse culture che storicamente non hanno avuto nessun tipo di collegamento o contatto. Elizabeth e Charlie interpretano questo come la prova dell’esistenza di precursori dell'umanità. Peter Weyland, fondatore della Weyland Corporation, finanzia la costruzione della nave spaziale Prometheus per seguire la mappa per la lontana luna LV-223. L'equipaggio della nave viaggia in ibernazione, mentre l’androide David monitora il loro viaggio. Nel 2093, la nave arriva, e il suo equipaggio è informato circa la loro missione: trovare gli antichi alieni, chiamati "ingegneri".

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Voto Visitatori:   6,18 / 10 (298 voti)6,18Grafico
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Voti e commenti su Prometheus, 298 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI julian  @  18/10/2012 17:59:32
   6 / 10
ATTENZIONE, QUESTO COMMENTO E' TUTTO UNO SPOILER

"Il trucco, William Potter, è dimenticarsi che fa male".
Probabilmente, di un film così discusso, nel giro di decenni ci ricorderemo di questa piccola parte:
David, fantastico Fassbender sempre più attore di spicco a Hollywood, gira su una navicella deserta immagazzinando informazioni, tendendo sotto controllo la salute dei compagni di viaggio ibernati e imparando lingue morte in un maldestro tentativo di poterle poi utilizzare con eventuali specie aliene; ogni tanto si concede un tiro a canestro e poi guarda e riguarda Lawrence d'Arabia, imparandone a memoria le battute, pettinandosi e acconciandosi come il protagonista O'Toole, come farebbe un qualsiasi bambino con il suo mito. David è un androide, lo si intuisce, e il suo è il dramma e l'ossessione di tutti gli androidi del cinema: essere un uomo. L'ambizione a scavalcare un anello della gerarchia creazionista non è conveniente; mettiamoci poi che conoscere il proprio creatore – il proprio Dio – può portare a grosse delusioni. E allora ecco che si arriva all'altro tema caro circolante attorno ai robot: la ribellione.
Un androide così potente mancava da tempo al cinema; la sua preponderanza, sia dal punto di vista del personaggio sia da quello della prova attoriale, rispetto ai colleghi umani, in un film dove lo scontro macchina-uomo si fa sentire, la dice lunga sulle nuove gerarchie pensate da Scott, che appaiono ribaltate.
L'ultimo anello finisce per dominare il suo precedente; si legga anche: ciascuno ammazza il proprio D.io.
Il grande merito di Prometheus sta nel riportare lo spettatore ai fasti della grande fantascienza, dopo che il cinema si era concesso brevi parentesi rievocative e low cost.
L'apertura sulle cascate Dettifoss, da godersi appieno col 16:9 e il sound di una sala cinematografica, ripropone quel violento impatto uomo/sublime che tanto piaceva ai romantici, creando un angoscioso senso di agorafobia che si ripresenta anche dopo, quando la nave Prometheus affronta lo spazio aperto, con tanto di vetrata panoramica. L'uomo, anche solo nel guardare cose così immense, entra in panico. Non è pronto per essere a conoscenza dei disegni che lo sovrastano, che lo trascendono, i cui limiti gli sarebbero imperscrutabili. Uno dei motivi per cui Scott trasforma il film in una strage, potrebbe proprio essere ascrivibile ad una punizione divina, come del resto finì per Prometeo e per Icaro – e se volessimo continuare a scavare nella mitologia, potremmo citare la nociva curiosità di Pandora o la ricerca della conoscenza di Odisseo. Se non fosse che, uno dei fini dichiarati del film, era di chiudere il ciclo di Alien.
C'è tuttavia un sentimento ancestrale in questo Prometheus, un desiderio di scoperta che crea una continuità tra noi e i primi uomini che alzavano gli occhi alle stelle: "Chi siamo ?" "Da dove veniamo ?" "Chi ci ha creati ?". Era lecito non aspettarsi risposta, neppure un azzardo; gli sceneggiatori ce la fanno annusare, salvo poi rimbalzarla da un pianeta all'altro e via all'infinito, in un percorso conoscitivo a semiretta dove noi siamo solo il penultimo punto. Risposte che d'altra parte, se ci fossero fornite, vanificherebbero il senso stesso della vita, cioè la scoperta, il continuo tendere a un fine che è irraggiungibile. Pensiamo a David, che ha avuto la sfortuna di conoscerli, i suoi creatori, una circostanza che si sarebbe volentieri risparmiato. L'atto della creazione, perdendo il suo mistero, viene clamorosamente ridimensionato – quanto dice Charlie di fronte a una sbigottita Elizabeth.
A proposito, il voldemort muscoloso che si vede all'inizio è colui che ci dona la vita, in un sacrificio che rimane impietosamente senza pubblico – se si tralascia l'equipaggio della navicella in partenza, che però starà già pensando al ritorno a casa. Un martire dimenticato, molto più eroico, a ben vedere, del Cristo che poi è diventato nostro profeta, il quale almeno ha potuto beneficiare di (pochi) spettatori.
Scott si inserisce presuntuosamente nei dibattiti millenari tra scienza e religione, presentandosi con un'ipotesi ibrida un po' suonata, ma alla quale qualcuno aveva già pensato: il salto scimmia-uomo diventa così possibile grazie ad un intervento alieno/divino; D.io non è negato, è solo rimandato a oltranza, ed è introdotta la nozione di Ingegnere, che poi comunque è un D.io, solo più piccolo. Andrebbe rivista, a questo punto, la concezione di D.io: è colui che crea tutto o è colui che crea ? Se fosse la seconda, tutti sarebbero dei di qualcuno più in basso, si tornerebbe a un politeismo che poi fa comunque capo al solito unico D.io (ma già greci e romani ammettevano qualcosa di simile, poiché esisteva una genealogia di dei).
A questo punto verrebbe spontaneo un accostamento con 2001, ma laddove l'equipaggio della Discovery One trovava un monolite, il nostro trova gli xenomorfi.
L'approdo sulla lontana Luna LV-223 coincide con l'improvviso cambio di genere del film, che si piazza in bilico tra l'azione e l'horror.
L'incoscienza e l'inverosimiglianza diventano a questo punto motori dell'azione e, unite ad una poco chiara genesi delle varie creature che si vedono nella serie – dovute ad incesti e accoppiamenti bestiali – vanno a costituire le costanti della saga Alien, specie degli ultimi episodi, richiudendo un cerchio che a Scott era sfuggito di mano. Con questa scusante diventa ammissibile che i due scienziati dispersi si mettano a giocare con la biscia dall'aspetto per niente rassicurante come fosse un micio coccoloso e che Elizabeth, dopo un parto cesareo autogestito nel quale mette al mondo una seppia, sia ancora perfettamente in grado di correre e lottare. Non meno grottesco è il suicidio patriottico, di sapore tipicamente USA, dei tre piloti rimasti sul prometheus, quando si catapultano a mò di kamikaze contro la nave dell'ingegnere diretta sulla Terra, non prima di aver riso e fatto scommesse all'americana. Sono anche loro dei profeti, al pari dell'ingegnere dell'inizio: si sacrificano senza pubblico, per il bene di un pianeta che non vedranno più.
Ma, in materia di falle della trama, come non citare il pretesto che regge tutta la baracca ?
Una missione fantamiliardaria finanziata in seguito all'interpretazione (errata) di due scienziati imberbi di pitture antiche, come fosse poi ovvio che una serie di puntini disegnati sulle pietre rappresentino il manifesto pubblicitario del prossimo pianeta da esplorare.
Il vero fine segreto della missione non salva comunque la credibilità e va bene che, pur di vivere, si fa di tutto: Weyland va dai suoi creatori a chiedere vita eterna, gli ingegneri rispondono con la morte immediata. Forse che l'androide David non aveva studiato bene le lingue ?
La figlia Meredith (Charlize Theron) nel frattempo ringrazia, incarnando in piccolo quel meccanismo che vuole il figlio l'assassino del padre (così come l'uomo con D.io, il robot con l'uomo).
Il finale, dopo il trantran di disastri ai quali Elizabeth puntualmente scampa, affermandosi con decisione come la nuova Ellen Ripley o meglio come la sua antenata, si scinde in due:
uno vede la continuazione del viaggio di Elizabeth, insieme alla testa di David, alla ricerca del vero pianeta di provenienza degli ingegneri, appellandosi ad una fede ambiguamente rappresentata da una croce a pendente;
l'altro vede la complessa genesi dello xenomorfo, preciso come lo si vede negli altri Alien, dopo incubazioni e cove avvenute in molteplici contesti con diversi organismi, difficilmente ricostruibile alla fine del film tanto che già il popolo di internet si sta, con molta ironia, sbizzarrendo.
Due finali come due sono i film: uno è quello di Lindelof, già confusionario sceneggiatore di Lost, nei suoi velleitari intenti teo/filosofici senza risposte e senza fine, che si conclude, per l'appunto, con una non-conclusione, lasciando forse spazio a un seguito; l'altro è quello di Scott, nel suo onanistico – e forse giustificato – intento di omaggiarsi e di omaggiare la sua prima Creatura, si chiude giustamente in connessione col primo Alien.

Ultima cosa da segnalare, uno scandaloso caso di miscasting, ingiustificabile per una produzione di questo tipo: l'unico che centra il bersaglio è Fassbender, Marshall-Green è inadeguato per il ruolo di co-coprotagonista, la Rapace non convince, ma chi francamente è imbarazzante è Guy Pearce o, più che imbarazzante, inconcepibile. Perché far fare il ruolo di vecchi decrepiti a dei quarantenni ricoperti di trucco ? E questo è un altro mistero senza risposta.

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