Rocky Balboa vivacchia a Filadelfia, riscuotendo i crediti di un usuraio italo-americano e vincendo qualche piccolo incontro come pugile dilettante. Con l'aiuto di un saggio allenatore accetta per amore di Adriana e per una borsa di 150000 dollari la sfida del nero Apollo Creed, campione dei pesi massimi, proponendosi non di vincere, ma di arrivare alla 15a ripresa.
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"Rocky" non è soltanto il riscatto di un pugile mediocre, senza arte né parte, povero e solo, è anche il riscatto di una donna, la quale, da timidissima ed insignificante commessa di un negozio di animali, riesce a diventare la donna di un grande personaggio. Nessuno si aspetterebbe di trovare in un film sul pugilato una delle storie d'amore più belle di sempre. "Rocky" è, invece, principalmente una storia d'amore, che non sboccia davanti ad un romantico tramonto, ma dietro la porta di un sudicio e buio appartamento nei sobborghi di Philadephia, tra una ragazza timida e spaventata ed un pugile con addosso una logora canottiera. Eppure la scena del primo bacio abbaglia lo spettatore tanto è intensa e palpitante. E' la metafora di uno scontro sul ring, dove entrambi, chiusi all'angolo, finiscono a tappeto. Pare proprio che il vecchio Mickey abbia ragione quando dice che le donne indeboliscono le gambe, perché Rocky, dopo il primo, timido bacio, finisce per trascinarla a terra, come se le gambe non riuscissero a reggere il peso della passione che divampa. C'è qualcosa di sovrumano nel modo in cui Rocky ama Adriana, quasi appartenessero entrambi ad un mondo che non è il nostro. E' un amore pulito, onesto, tenero, destinato a durare per sempre. L'urlo con la faccia pestata a sangue, al termine dello scontro, è un modo per ribadire che a lui non interessa il futuro, il pugilato, il successo, ma soltanto la sua Adriana. E' lei che i riempie i vuoti e la sua tremenda solitudine, fatta di un pesce rosso e due tartarughe, un materasso avvolto con delle corde contro cui tirare pugni, un vecchio divano, un frigorifero arrugginito, delle foto in bianco e nero attaccate ad uno specchio, nelle quali, con un sopracciglio suturato, fa fatica ad identificarsi ancora. Non gli importa che la sua timidezza sia vista da altri come una malattia, che qualcuno assai malignamente gli suggerisca di portarla, come primo appuntamento, al giardino zoologico perché "…ai ritardati piace il giardino zoologico". C'è qualcosa di struggente nell'interesse che nutre per lei, in quelle visite che le fa al negozio mattina e sera, senza riscuotere successo, nel modo in cui si presenta a casa sua e, dopo averla vista trincerarsi dietro la porta della sua stanza, si rimette a disagio il cappello in testa. Ma tolti i terribili occhiali, Adriana fiorisce e ritrova l'eleganza innata, quasi in contrasto con quel modo caracollante e scimmiesco che Rocky ha di camminare. Entrambi si compensano a vicenda, perché anche lui riempie i suoi vuoti e le dà quel coraggio che un fratello ubriacone non le ha mai potuto dare. Non c'è donna che non vorrebbe essere amata come Rocky ama Adriana. E lei lo ricambia, dandogli sostegno, rinunciando persino ai loro momenti di amore quando l'altro dovrà tenersi in forma senza subire cali di ormoni. Due personaggi riuscitissimi come pochi, destinati, proprio per la loro semplicità e ingenuità, a fare la storia del cinema.