noi credevamo regia di Mario Martone Italia, Francia 2010
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noi credevamo (2010)

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locandina del film NOI CREDEVAMO

Titolo Originale: NOI CREDEVAMO

RegiaMario Martone

InterpretiValerio Binasco, Toni Servillo, Luca Zingaretti, Luigi Lo Cascio, Michele Riondino

Durata: h 3.24
NazionalitàItalia, Francia 2010
Generedrammatico
Al cinema nel Novembre 2010

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Trama del film Noi credevamo

Tre ragazzi del sud Italia, in seguito alla feroce repressione borbonica dei moti che nel 1828 vedono coinvolte le loro famiglie, maturano la decisione di affiliarsi alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Attraverso quattro episodi che corrispondono ad altrettante pagine oscure del processo risorgimentale per l’unità d’Italia, le vite di Domenico, Angelo e Salvatore verranno segnate tragicamente dalla loro missione di cospiratori e rivoluzionari, sospese come saranno tra rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche. Sullo sfondo, la storia più sconosciuta della nascita del paese, dei conflitti implacabili tra i “padri della patria”, dell’insanabile frattura tra nord e sud, delle radici contorte su cui sì è sviluppata l’Italia in cui viviamo.

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Voti e commenti su Noi credevamo, 32 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento LukeMC67  @  01/12/2010 01:37:34
   8 / 10
Miglior modo per descrivere "l'air du temps" in cui si festeggia il 150° dell'Unità d'Italia non poteva esserci: questo incredibile filmone del grande regista napoletano è di una cupezza e di una disperazione rare, ma ha il terribile pregio di dire tante, troppe verità sull'"alba della (nostra) nazione". Una nazione che non ha esitato a sacrificare il miglior umanesimo meridionale, il miglior liberalismo, le migliori aspirazioni laiche e repubblicane in nome di una ostinata realpolitik e di sentimenti religiosi troppo profondi per essere estirpati da un Napoleone qualsiasi. Una nazione formatasi per annessioni successive a uno dei tanti piccoli regni -in questo caso quello piemontese- senza che "gli italiani venissero mai fatti". Un albero che "comunque è nato, sia pure da radici contorte e malate".

Commenti ben più colti del mio e la magnifica recensione di Stefano Santoli hanno ampiamente espresso pareri e giudizi su meriti e demeriti storico-ideologici del film, io mi limito -come quasi sempre faccio- a esprimere ciò che emotivamente e tecnicamente mi ha colpito nella visione.

Azzecattissima è la scelta soggettistica di incentrare tutta la narrazione intorno alle vicende di tre personaggi che rappresentano i tre approcci possibili alla rivoluzione che porterà alla nascita del Regno d'Italia: quello puramente e ingenuamente idealistico (Salvatore), quello politico (Domenico), quello terroristico (Angelo). Questo espediente consente un coinvolgimento emozionale notevole dello spettatore che si trova a identificarsi con i vari personaggi secondo la propria indole. E consente altresì di non dover necessariamente conoscere a priori le vicende storiche che si susseguono in quegli anni così concitati creando anzi una universalizzazione del messaggio che vuol dare.

Notevolissima da un punto di vista cinematografico la scelta di fare un film crepuscolare, a tratti buio, dove le uniche irruzioni di luce accompagnano o introducono sempre vicende tragiche (si pensi alla sequenza del ghigliottinamento o all'ora d'aria nel fortino dove Domenico era rinchiuso o ai magnifici paesaggi campano-pugliesi che accolgono i cadaveri straziati delle varie repressioni che colpiscono puntualmente le popolazioni cilentane o ancora l'abusivismo che imperversa sopra il Golfo di Napoli...); le scenografie in cui le vicende si dispiegano sono sempre decadenti, rovinose e rovinate, ci sono macerie ovunque: in questo sono stato rimandato al Derek Jarman di "Edoardo II" di cui questo film riprende in pieno l'atmosfera e l'irruzione della modernità qui rappresentata dal rudere in cemento armato che si staglia all'interno di una messa in scena altrimenti molto rigorosa nella creazione e nella ricostruzione d'ambiente (notevoli trucco, costumi e acconciature, a tal proposito). Il simbolismo del film diventa potentissimo: "l'alba della nazione" (titolo del 4°capitolo in cui è diviso il film stesso) in realtà non ci sarà mai, solo una lunga, infinita notte dalla quale non stiamo uscendo neanche oggigiorno. Anzi, che semmai si è incupita ulteriormente: i vizi che hanno da subito caratterizzato l'unità d'Italia (divisioni feroci tra cospiratori, tradimenti per clamorosi cambi di fronte, trasformismo dilagante, clientelismo, familismo) non hanno fatto che incancrenirsi nel tempo mentre la Storia veniva mossa dai "soliti noti" e da un pugno di onesti loro avversari talvolta acciecati dalle loro stesse idee. Un "Gattopardo" del 2010, insomma.

Da vero e proprio orgasmo il commento musicale affidato ad alcune arie di Rossini, Bellini e Verdi eseguite da un'Orchestra Sinfonica della RAI in stato di grazia, diretta da un Abbado jr. altrettanto superlativo. Il sapiente uso delle musiche, insieme al montaggio, sono tra le cose più pregevoli di questa già pregevolissima pellicola.

Un plauso agli attori che hanno dato il meglio di sé in un progetto nel quale evidentemente credevano: Martone, che viene dal teatro, li sfrutta fino al limite delle loro possibilità regalando a Lo Cascio la più bella interpretazione della sua carriera, senza peraltro disdegnare nessun altro o nessun'altra nel cast.

Questa coproduzione italo-francese (arte France, benemerito canale televisivo culturale al suo 20° compleanno al quale dobbiamo un altro piccolo capolavoro italiano misconosciuto: "Nuovomondo" di Crialese) riporta ai fasti il cinema d'impegno italiano come accadeva negli anni sessanta o settanta: volti al crepuscolo i lunghi anni dell'estetica televisiva della "finzione reale", forse sembra proprio che si cominci a privilegiare il realismo della finzione tenendo ben alta la barra della tensione morale e ideologica. Grande Martone, qui alla sua prova migliore di sempre insieme a "Morte di un matematico napoletano" ormai un cult.

Una piccola nota di costume: la sala della mia città dove proiettavano il film era piena per oltre tre quarti. Ed era un martedì. La gente, di tutte le età, è arrivata munìta di sacchetto di plastica con pizze, tramezzini, patatine e bibite, attrezzatissima per una visione così lunga. Erano anni e anni che non assistevo a scene del genere in sala. Un pubblico attento, partecipato, per nulla annoiato a fine proiezione: anche questo un piccolo segno dell'"air du temps" (qui change, enfin!)? Auguriamocelo, forse ce lo meritiamo.

4 risposte al commento
Ultima risposta 06/12/2010 22.11.54
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