La quindicenne Daisy Clover ottiene una scrittura cinematografica quasi per caso. Nel frattempo il cognato fa rinchiudere in manicomio la madre della ragazza, la quale, disorientata, malgrado il grande successo della prima pellicola, accetta la proposta di matrimonio di un attore. Sarà un'esperienza infelicissima, e altre ancora ne seguiranno prima che Daisy trovi la forza per ricostruirsi una nuova vita.
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I tagli imposti dalla produzione hanno irrimediabilmente rovinato quello che sarebbe potuto essere un probabilissimo capolavoro scomodo. Sorta di rievocazione infernale di "E' nata una stella", uno dei più cupi ritratti dello star system americano che plasma la star, la usa con disumana prevaricazione e la distrugge come Mangiafuoco con le sue marionette. Critica e melodramma si fondono alla perfezione senza nessuna concessione buonista, nonostante una prima stesura prevedesse ben altri accenti nel personaggio del giovane attore omosessuale interpretato da Redford. Come spesso accade nel cinema di Mulligan, gli iniziali toni da fiaba dei miserabili lasciano presto spazio all'analisi sociale più spietata possibile. Da Plummer (luciferina incarnazione del Pigmalione senz'anima) a Ruth Gordon, gli attori sono tutti fenomenali, riduttivo definire grandiosa la prova di Natalie Wood, tra le più intense della sua (troppo breve) carriera: la scena della crisi in cabina audio non si dimentica facilmente. Odiato dal pubblico e distrutto dalla critica, con gli anni è giustamente diventato un cult movie da brivido che in molti hanno dimenticato. Il comparto musicale è splendido: colonna sonora di Andre Previn (con la canzone "You're gonna here from me") e coreografie volutamente naif di Herbert Ross.