Un prete, dopo anni passati in varie missioni umanitarie, si ritrova alle prese con una famiglia molto più disastrata di quando l’aveva lasciata, e soprattutto con una ragazza che lo costringerà a mettere sé stesso e la propria fede in seria discussione.
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La commedia all'italiana è morta, decrepita, fallita per sempre. A meno che non vogliamo prendere in considerazione quel cinema della peggior romanità, caciarone e pastasciuttaro, di cui ahimè Verdone si è ormai confermato (in)degno erede. Uno spunto interessante anzi di più ricco di potenzialità sfruttato malissimo, a cominciare dal climax esagitato che vorrebbe essere farsesco ma è degno davvero dei peggiori retaggi dell'avanspettacolo dei tempi d'oro (?). Veramente imbarazzante questo film di Verdone, sicuramente primatista nella lista nera dei più brutti film della sua carriera (al confronto persino Il bambino e il poliziotto sembra un trattato di comicità dei Monty Python), e soprattutto fallimentare IN TOTO, dialoghi risibili, recitazioni pessime (persino la Finocchiaro è insopportabile), cronache da sit-com stile mondaini-vianello ultima maniera (che sono però più divertenti), tutto eccessivo, tutto gridato, tutto improbabile e soprattutto un vuoto che regna costante, ammiccando ai cinepanettoni, alla grossolanità più bieca, all'epilogo ipocrita del volemose bene e vai con tarrallucci vino e affetti famigliari... Il prete di Verdone, così ossequoso degli stilemi classici e al tempo stesso inconsueto, è costruito su misura per Verdone, anzi è proprio Verdone a pretendere di "fare suo", col suo macchiettismo imperante, il sacerdote missionario (non parliamo poi dei luoghi comuni sul terzo mondo e su quello che sinceramente penso delle "conversioni cattoliche" in terra pagana, per carità). Verdone ti butta addosso un'Italia che vorresti vedere precaria, ma sembra conviverci cordialmente. Non lascia alcun spunto per riflettere, nè per le nostre opinioni di spettatori, forse allora i chilometri che lo dividevano dai Parenti et similia stanno diventando centimetri. Probabilmente il prete di Verdone rispecchia fondamentalmente lo scarso cattolicesimo degli italiani, uniti dai vincoli simbolici (v. il crocefisso) e capaci solo di rappresentare la loro ambiguità morale. Lo confesso, vedere questo film mi è costato un sacrificio profano, nonostante le buone intenzioni che il soggetto mi aveva curiosamente suggerito di pagare un biglietto per il cinema. Terribile, tranne Laura Chiatti che riesce a essere persuasiva e seducente anche in situazioni francamente risibili, e una canzone (splendida) di David Sylvian, messa lì a mescolare le carte o a confondere gli spettatori dalle pretese facili. Verdone che fa il Don Benzi della situazione è irritante quanto lo stesso prelato che saluta con la manina, come si conviene a certa televisione trash. Grazie a lui abbiamo imparato che i moretti dell'Africa non muoiono di fame e che le badanti dell'est non sono tutte p.u.t.t.a.n.e. (mi scuso con le badanti dell'est ma non è la mia opinione). Unica scena plausibile e davvero divertente, la sequenza nella discoteca: strano, proprio quando il fracasso dei ritmi house/techno si fa ineludibile, il disagio di questo personaggio in tonaca diventa quasi "umano"- Dedicato alla memoria del padre, che avrebbe meritato un film meno brutto ed evanescente