Michael Corleone, il padrino della cupola mafiosa italo-americana, ormai anziano, decide di ripulire la sua vita ed i suoi affari cercando di instaurare un regime di convivenza pacifica con le altre famiglie di New York. Ma a malincuore è costretto a rivedere la su posizione quando una delle altre famiglie rivendica dei diritti sui Corleone.
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"Adesso che credevo di esserne uscito, mi trascinano di nuovo dentro."
Inevitabilmente inferiore rispetto ai due monumenti che lo precedono, il terzo film della saga sulla mafia vive di buoni momenti e di una buona interpretazione di Pacino. L'attacco con l'elicottero e la strage conseguente, l'irruzione nella casa del nipote di Michael interpretato da Andy Garcia, l'attentato a Zasa/Mantegna, e soprattutto l'ultima mezz'ora nel teatro, sono bei pezzi di cinema, ma l'ambientazione vaticana, con tutti gli intrecci e i loschi traffici dei vescovi in affari con Corleone, se da una parte ha il suo fascino, mi è sembrata una forzatura che snatura l'essenza e l'atmosfera mafiosa dei primi due film, oltre che smorzarne il pathos drammatico. Nel complesso assistiamo a una ridimensionata di Michael, che ormai avviatosi verso la vecchiaia, e con problemi di diabete, vuole levarsi dal fango della malavita e crearsi un'immagine pubblica pulita. Ma è inevitabile il fallimento di questo proposito, e ciò che appare è un Michael Corleone stanco, patetico e a volte grottesco. La citazione iniziale è emblematica dello spirito del film. E finalmente ho capito chi è che scimmiotta il personaggio di Silvio Dante nella serie Tv "I Soprano" con la sua imitazione in odor di dileggio.