Kurtz, colonnello dell'esercito statunitense in Vietnam è uscito dai ranghi, ha sconfinato in Cambogia con i suoi uomini e ha costituito una sorta di impero personale dove combatte una sua feroce guerra privata. Al capitano Willard è affidata la missione di raggiungere Kurtz nel suo territorio e di eliminarlo. Sarà un viaggio terribile, punteggiato di insidie e, ancor più, avvelenato da molteplici orrori.
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VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR: Miglior fotografia, Miglior sonoro
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO: Migliore regista straniero
VINCITORE DI 3 PREMI GOLDEN GLOBE: Miglior regista (Francis Ford Coppola), Miglior attore non protagonista (Robert Duvall), Miglior colonna sonora (Carmine Coppola, Francis Ford Coppola)
VINCITORE DI 1 PREMIO AL FESTIVAL DI CANNES: Palma d'oro
Qual è il punto focale di "Apocalypse now"? La denuncia dell'orrore cui conduce la guerra o la denuncia dell'orrore della civiltà occidentale? Si tratta in ogni caso di un interrogativo non circostanziato al Vietnam, ma in cui il Vietnam è allegoria di qualcosa di più grande. Credo comunque sia più esatta la seconda risposta (e la megalomane ambizione di Coppola mi rafforza nel convincimento): "Apocalypse now" ambisce a svelare una qualche verità legata alla civiltà occidentale, prima che alla guerra in senso lato come fenomeno umano. E' una questione di prospettive. Nel primo caso sarebbe in primo piano la guerra, con la civiltà occidentale sullo sfondo. Nel secondo caso, è questa a essere in primo piano. Come film sulla guerra, "Apocalypse now" farebbe un discorso più generale, sull'umanità e la violenza, meno agganciato al Vietnam di quanto lo sarebbe se visto nella prospettiva di una critica rivolta alla civiltà occidentale. Ma cosa si intende col dire che "Apocalypse now" sia un film sulla decadenza della civiltà occidentale?
La civiltà occidentale è coloniale. Il colonialismo è una specie dell'espansionismo, tipico di ogni civiltà urbanizzata. Le civiltà si espandono con la guerra; a supporto, la retorica delle classi sacerdotali - quella occidentale ha una peculiarità: il cristianesimo (come l'islam) ha vocazione universale, a differenza delle religioni di altri popoli pretende di valere per ogni civiltà, non solo per la propria. In "Apocalypse now" il cristianesimo è quantomai marginale, tuttavia ci interessa, e molto, perché esso pone le basi per un senso di superiorità che è specifico dell'espansionismo manifestato in varie epoche da parte della civiltà occidentale: quello che conduce a forgiare il concetto di "guerra giusta". Un senso di superiorità che è alla radice del male mostrato da "Apocalypse now", le azioni si autogiustificano (e autogratificano) nel convincimento addirittura inconscio di essere superiori. Forse Coppola e Milius non ne erano nemmeno consapevoli fino in fondo, ma è questo che esprime il personaggio di Kilgore e la quasi proverbiale espressione "Charlie don't surf". Io ti stermino per poi fare surf: che è un mio legittimo diritto. Oppure anche: io faccio la guerra negli orari d'ufficio, poi stacco e vado a godermi l'onda. A casa tua. Si potrebbe obiettare che anche un generale pazzo al soldo di Gengis Khan potesse ambire a fare surf nel mediterraneo. Ma quello di Kilgore è solo un esempio; il tessuto drammaturgico del film è coerente nel disegnare una critica specifica delle modalità di dominio proprie della civiltà occidentale. Alla base del concetto di guerra giusta c'è una speculazione ipocrita. E l'ipocrisia morale dell'occidente è il tema di "Apocalypse now". Una giustificazione pseudo-etica (di qualunque genere: qui l'anticomunismo, di cui si sono peraltro perse le tracce come del cristianesimo) al soldo di una volontà di potenza. "Apocalypse now" è un climax che conduce al colonnello Kurtz. Il colonnello Kurtz rappresenta un pericolo destabilizzante, per lo stato maggiore (al contrario di un Kilgore, che è innocuo e fa il gioco dei padroni), in quanto ha smascherato l'ipocrisia. Kurtz è lo specchio in cui non ci si vuole rispecchiare: al suo cospetto, o lo si nega e lo si uccide, o lo si accetta e lo si vuole soppiantare, portando sino in fondo la propria volontà di potenza. Di ascendenza, archetipicamente, edipica. In entrambi questi casi, è la fine. Solo non vedendo cosa Kurtz intende rappresentare, e dunque rientrando nei ranghi dell'ipocrisia istituzionalizzata della guerra giusta, lo si può sopprimere e tornare vincitori.
In un commento straordinariamente interessante che mi precede, amterme63 - pur esaltando lo straordinario impatto visivo di questa pietra miliare degli ultimi quattro decenni di cinematografia statunitense - individua un lato debole dell'opera: intrisa di decadentismo, se ne ammanterebbe in maniera fascinosa, indugiando nell'orrore in modo voluttuoso, rischiando di non indurre nello spettatore un vero distacco critico, proprio invece di altre opere come "Full metal jacket" di Kubrick. Io credo che questa osservazione sarebbe del tutto vera se "Apocalypse now" fosse un film sulla guerra. Ma se è - come credo - un film sulle estreme conseguenze della civiltà occidentale, è necessario che quest'opera memorabile rappresenti una vertigine: quella che prova chi scruta nell'abisso, che, come vuole Nietzsche, non andrebbe scrutato, a pena che l'abisso guardi dentro di noi. "Apocalypse now", con le sue valchirie, è in fondo la messa in scena di quel celebre aforisma nietzschiano. Non a caso parla di volontà di potenza, di un superuomo, e della civiltà occidentale nelle terre devastate della propria megalomania.