Recensione the prestige regia di Christopher Nolan USA, Gran Bretagna 2006
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Recensione the prestige (2006)

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locandina del film THE PRESTIGE

Immagine tratta dal film THE PRESTIGE

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Immagine tratta dal film THE PRESTIGE
 

La scienza come rappresentazione della magia, il gioco di prestigio come rappresentazione della scienza, l'illusione come forma d'arte, l'arte come imitazione della vita e la vita come imitazione dell'arte.

Il trentaseienne regista britannico Chritopher Nolan ritorna a collaborare con suo fratello Jonathan sei anni dopo il successo (a posteriori) di "Memento" (2000), un film eccellente. Ma se questa pellicola, scritta e diretta da Christopher, era l'adattamento di un racconto di suo fratello Jonathan intitolato "Memento mori", "The Prestige" è stato scritto a quattro mani dai fratelli Nolan ispirandosi all'omonimo romanzo di Christopher Priest, interessante autore inglese noto in Italia soprattutto per i libri "Esperienze Estreme" (The Extremes) e "L'Incanto dell'Ombra" (The Glamour). Per ottenere una possibile riduzione cinematografica da un libro così denso, complesso ed arzigogolato, Nolan ha dichiarato di aver lavorato alla scrittura del film per oltre diciotto mesi.

"The Prestige" racconta la vita e la rivalità tra due grandi illusionisti sullo sfondo di una cupa Londra Vittoriana della fine dell'ottocento.

"Eravamo due giovani all'inizio di una grande carriera. Due giovani votati ad un'illusione. Due giovani che non avrebbero mai voluto fare del male a qualcuno".

Queste sono le parole d'esordio con cui Borden (Christian Bale) introduce il suo rapporto con il collega Angier (Hugh Jackman) e con Cutter (Michael Caine), un ingeneur che appartiene alla vecchia scuola, uomo ricco d'esperienza e ormai disilluso dal mondo dello spettacolo, è colui che da dietro le quinte costruisce in ogni dettaglio i giochi di prestigio.
Nolan, prima di affidare al pubblico le parole di Borden ci mostra una serie di sequenze apparentemente prive di senso che, come in "Memento" sono suddivise in blocchi temporali differenti, senza tuttavia raggiungere quel livello di complessità, né la medesima complementarità con la storia narrata.
Infatti queste prime immagini, che immediatamente si comprenderà essere non l'inizio, ma la fine della storia, sono dominate dalla potente presenza di Cutter, ruolo in cui Caine si è dimostrato un attore immenso, che spiega ad una bambina (Samantha Mahurin) come si crea un gioco di prestigio:

"Ogni grande trucco si svolge in tre atti: il primo è chiamato la promessa. L'illusionista mostra al pubblico qualcosa di molto comune, ma che, ovviamente, non lo è. Il secondo atto è chiamato la svolta: il mago prende la cosa comune e la trasforma sotto i tuoi occhi in qualcosa di straordinario. Ora anche se cercate il segreto, non lo scoprirete. Ma questo non è sufficiente a strappare l'applauso del pubblico, perché per creare la perfetta illusione, quando si fa sparire un oggetto, poi bisogna saperlo far ricomparire. Questo è il motivo per cui esiste un terzo atto chiamato prestigio; questo è il momento dell'effetto e della sorpresa, dove succede l'inaspettato, e vedi qualcosa di sconvolgente che non hai mai visto prima".

Con questi presupposti è facile comprendere che Chritopher Nolan alla stregua di un grande illusionista abbia deciso di raccontarci una storia in cui niente è come appare. E si tenga anche conto di una considerazione che i personaggi illustrano più volte durante "The Prestige":

"Il pubblico sa che sta assistendo ad un trucco. Nessuno presta attenzione alla persona che scompare, ma a quella che riappare. Il pubblico vuole essere ingannato, solo in questo modo può godersi l'illusione".

Così Nolan ci racconta un'illusione, che però non inganna, né vuole farlo. La trama, estremamente originale e acuta, ha un ritmo narrativo brillante e spietato. Rifuggendo qualsiasi inutile buonismo, Nolan ci mette di fronte ad una storia inesorabile, che non risparmia né i personaggi, né il pubblico. E a questo punto, direte voi, di che cosa parla questa storia? Si potrebbe rispondere che "The Prestige" racconta della rivalità fra Borden ed Angier, narra le loro passioni e le loro ossessioni, i loro sogni e le loro paure. Questa risposta è indubbiamente corretta, ma tutt'altro che esauriente. Poiché è proprio qui che il prestigiatore Chritopher Nolan ci proietta nella sua grande illusione. Quello che sorprende, infatti, non sono i continui colpi di scena, più o meno prevedibili (ma si garantisce che seguendo attentamente ogni passaggio, niente di quello che sarà mostrato in seguito vi coglierà alla sprovvista, poiché la regia è onesta nei confronti del pubblico), quello che sorprende è il gran numero di chiavi di lettura che "The Prestige" offre, oltre ai suoi contenuti fortemente simbolici e metaforici ed al costante alternarsi dei ruoli di vittima e di carnefice, senza buoni né cattivi.
Come anche nelle precedenti opere di Nolan, la storia ed il suo impianto narrativo hanno un'importanza predominante, quindi la regia le è completamente asservita e non presenta particolari virtuosismi visivi. Nolan ricorre a quel medesimo impianto classico, semplice e pulito, che aveva già adottato in "Memento". Una regia che è stata analizzata perfettamente ed esaustivamente dall'estensore della recensione, alla cui lettura si rimanda, di questo primo lungometraggio di Nolan e che in questa sede non sembra opportuno ripetere.
Rispetto alla regia della pellicola sopraccitata, in "The Prestige" vi sono tuttavia alcune differenze. Nolan ha voluto adottare l'uso della telecamera da spalla per ottenere delle inquadrature sempre all'altezza degli occhi dei personaggi. Inoltre qui vi sono anche molte riprese dei giochi di prestigio, che esaltano tanto la spettacolarità dello stesso palcoscenico, quanto i reconditi ed angusti recessi delle quinte e di ciò che si nasconde dietro di esse. Ne esce alla fine un regia più articolata e un poco più arricchita, ma sostanzialmente non innovativa, la cui funzione primaria resta sempre e solo quella di narrare in maniera efficace la storia.
Per sottolineare che la figura del narratore non è altro che un tramite, Stephen King ha scritto in un suo libro:
"È la storia, non colui che la racconta".

È vero, sì, che "The Prestige" è il diario di un'ossessione, quella di Angier, un eccellente praticante dell'arte dell'illusionismo, che invidia il puro talento del rivale, il geniale Borden. I due, resi nemici da un incidente, si affrontano e si scontrano durante il corso di tutto il film in un continuo crescendo di violenze fisiche e psicologiche volte alternativamente all'umiliazione o all'annientamento fisico dell'avversario. A quella di Angier si contrappone l'ossessione di Borden per il proprio lavoro. La ricerca della perfezione assoluta che nasce dall'osservazione dell'abnegazione con cui il mago Chung Ling Soo si dedica al proprio lavoro. Borden ha compreso che l'illusione, per essere reale, va ben oltre il palcoscenico. Essa diviene parte integrante della tua stessa vita. La dedizione al lavoro apre la strada che conduce al successo ed alla ricchezza, ma essa comporta anche un sacrificio che può andare ben oltre quello che s'immagina.
Prima d'affrontare pienamente la tematica del sacrificio e capire perché i nostri personaggi siano disposti a pagare un prezzo così alto, si deve guardare a come i fratelli Nolan hanno descritto la figura dell'illusionista.
Gli illusionisti sono una categoria a parte, distinta dal resto dei comuni mortali. La loro principale ambizione è quella di assurgere al rango di mago, non qualcuno che crei un inganno attraverso un trucco, ma qualcuno che eserciti la vera magia. In mancanza di questa essi cercano di creare l'illusione, ben diversa da quella che mostrano al pubblico dal palcoscenico, di essere veramente dei maghi, anche se non lo sono. L'illusionista è una figura ibrida fra l'artista, lo scienziato, il costruttore (o l'ingegnere che dir si voglia), il truffatore e l'attore. I tre atti in cui Cutter all'inizio del film suddivide il gioco di prestigio, non sono diversi dalle fasi con cui un grande truffatore costruisce il proprio colpo. Senza scendere nel dettaglio provate a riguardare "La stangata" tenendo ben presente la descrizione di Cutter. Il fascino per l'ignoto, il cercare di comprendere ciò che apparentemente è incomprensibile, il desiderio di creare esperimenti sempre nuovi, efficaci e ripetibili sono le caratteristiche dello scienziato. Poi ogni trucco deve essere ben costruito anche attraverso l'utilizzazione di mezzi meccanici, funzionali ed innovativi, ed ecco l'ingegnere. L'illusionista deve anche intrattenere il pubblico, fargli sapere che sta assistendo ad un trucco, ad una menzogna, ma non fargli capire in che modo riesce ad ingannarlo. Inoltre già accennato, l'illusione deve andare ben oltre il palcoscenico, ed eccoci così all'attore: l'illusionista interpreta sempre il ruolo dell'illusionista. A questo si aggiunga un forte spirito competitivo, anche nei confronti di se stessi, stimolo a migliorarsi e a rinnovarsi continuamente, come uno squalo che, se smette di nuotare, finisce col morire.
Tutte queste caratteristiche combinate insieme rendono l'illusionista un vero e proprio artista, autore dei propri trucchi, che egli conserva nel più completo segreto, che offre al mondo una rielaborazione della realtà in chiave immaginifica e surreale. L'illusione, così come l'arte, offre all'uomo una fuga da una vita piatta, ordinaria e monotona. Come l'arte, anch'essa è ricerca di perfezione e di bellezza.

Da questo punto in poi si sconsiglia la lettura di quanto segue a chi non avesse ancora visto il film.

Lo scontro fra Angier (in arte "Il Grande Danton") e Borden (in arte "Il Professore") è parafrasi dello scontro, storicamente vero, fra gli scienziati Thomas Edison e Nikola Tesla, qui interpretato da un interessante David Bowie.
Qui vediamo come il confine fra scienza e magia sia labile, e si comprende perché fosse importante ambientare questa storia nella Londra di fine ottocento. L'età Vittoriana è stata spesso descritta come un'epoca di repressione, di estremo rigore e di ristagno sociale. Non è così che la pensa Christopher Nolan che invece la descrive come un'epoca piena di prospettive, di crescita e di grande sviluppo tecnico, scientifico e sociale.
Si pensi alla meraviglia di Angier nel vedere al suo arrivo a Colorado Springs che tutte le abitazioni avevano l'elettricità.

"Non c'è niente di impossibile per la scienza, solo cose molto costose", spiegherà Tesla ad Angier.

Questa frase viene anche accentuata dal fatto che Borden è un genio che si dedica con abnegazione e sacrificio alla magia, suo unico vero amore e sua sola fonte di sostentamento nella vita. Angier invece si dimostrerà un uomo ricco di famiglia, che non ha bisogno di lavorare per vivere, ma che si dedica alla magia per passione e, ancor più, per ossessione. Egli è un buon illusionista e, al contrario del suo avversario, un eccellente uomo di spettacolo, ma gli mancano la genialità e la purezza spirituale di Borden. Quindi cercherà di comprare la magia che non riesce a comprendere affidandosi alla scienza di Tesla.
Un particolare interessante: la macchina che viene costruita da Tesla non è un puro parto della fantasia degli autori. Essa rientra in quella tradizione, mai dimostrata, secondo cui Tesla, Einstein e altri scienziati furono coinvolti dal governo americano in quello che è stato chiamato il Philadelphia Experiment.
Nolan sfuma abilmente i confini della realtà e della scienza, mostrandoli indefiniti e labili, e li contrappone ai trucchi degli illusionisti che, invece, per essere credibili hanno un contorno netto e ben definito. In altre parole l'illusione è più reale della realtà.
Ma l'illusione e la magia, così come l'arte, sono fuga dalla realtà e dai suoi schemi. Sono il rifugio del genio che non può restare imprigionato fra gli angusti confini dettati dalla mediocrità. Ma una vita volta alla genialità comporta dei sacrifici. Il primo fra tutti è quello della scissione dell'Io.

Borden vive una vita a metà. Lo schema Borden-Fallon tipico della narrativa gotica, non si discosta molto dalla figura del doppelganger. Il fatto che i due gemelli interpretino i ruoli di Borden e di Fallon scambiandoli continuamente, implica e simboleggia la rinuncia a una parte di sé stessi per la creazione di quel ruolo sociale cui si ambisce e che la società stessa ormai si aspetta da noi. Una personalità divisa in due parti complementari, con diverse aspirazioni, diversi sentimenti, differenti essenze, ma legate da un destino comune e da un unica immagine sociale.
L'esistenza di una parte comprime l'altra come si può comprimere una molla: sarà solo con l'eliminazione di uno dei due, che l'altro potrà vivere pienamente la propria vita secondo le proprie attitudini e le proprie inclinazioni, così come la molla liberata dal peso che la comprime potrà riestendersi in tutta la sua lunghezza. La tematica è stata affrontata in molti modi e molte forme, basti pensare in letteratura al "William Wilson" di Edgar Allan Poe o a "Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde" di Robert Louis Stevenson, e in cinematografia ad "Inseparabili" di David Cronenberg e a "Sisters" di Brian De Palma, senza dimenticarsi del letterario e cinematografico "La Metà Oscura" di Stephen King e realizzato da George Romero. Il dualismo Borden-Fallon è sempre lo stesso con la semplice diversità che le due personalità hanno un intento comune e sono sinottiche. Non si tratta di due essenze antitetiche, come le categorie del bene e del male, prigioniere nello stesso corpo. Esse sono il risultato del sacrificio tributato da Borden alla propria arte. È una potente metafora della rinuncia a parte di sé per la coesistenza sociale e per il conseguimento del successo. Per parlare come Cutter, è solo un diverso modo di "sporcarsi le mani".
Christopher Nolan ci mostra le conseguenze di questa scissione dell'io attraverso il duplice sguardo delle due donne che amano Borden: sua moglie Sarah (Rebecca Hall) e Olivia (Scarlett Johansson).
Fra le due il ruolo dominante spetta a Rebecca Hall, che interpreta in modo eccellente il ruolo di una moglie devota, innamorata di un uomo che la mette in secondo piano rispetto al proprio mestiere.

"Niente più bugie! Niente più segreti!", implora Sarah durante una cena.
"I segreti sono la mia vita!", risponde Borden.

E ancora:

"Mi ami?".
"Non oggi".

È attraverso gli occhi di Sarah che Nolan ci racconta il dramma della scissione dell'Io di Borden, che la condurrà fino alle estreme conseguenze.
Ora se un Borden è innamorato di Sarah, l'altro è innamorato di Olivia, ed entrambi sono innamorati della piccola Jess, figlia di Sarah e di Borden. Di quale dei due? Poco importa perché Borden e Fallon solo fisicamente non sono la stessa persona.
E ancora una volta il prezzo da pagare sarà la perdita delle persone che amano.

(Chi per caso non avesse seguito l'invito precedente e avesse letto quanto scritto fin qui senza aver visto il film, salti almeno il paragrafo seguente).

Non è affatto differente il sacrificio che Angier tributerà più che alla propria arte, alla propria ossessione.

"Quell'uomo mi ha sottratto la vita. Io ruberò i suoi trucchi".

Questo è l'obiettivo di Angier, che continua ad incolpare l'ex amico Borden per la morte di sua moglie Julia (Piper Perabo). Fallito questo tentativo e vistosi mettere sotto scacco da Borden, Angier ricorrerà al proprio denaro ed alla scienza di Tesla per assurgere al ruolo di vero mago.

"Ha considerato il costo che comporta una simile macchina?" domanda Tesla.
"Il prezzo non è un problema", risponde spavaldo Angier.
"Sì, ma ha considerato il costo?".

Ovviamente non è di soldi che parla Tesla. La macchina da lui creata non assicura il trasporto umano, l'esperimento che Angier vuole riproporre al pubblico in chiave migliore rispetto a quella di Borden. Essa produce un sosia che si materializza a distanza di alcune decine di metri dall'originale. Ma Angier non vuole avere un clone e infatti la prima volta che sperimenta la macchina spara immediatamente al proprio doppio.
Qui purtroppo sorge un dilemma: se la macchina di Tesla si trova sul palcoscenico del teatro e Angier entra nella macchina, allora il suo doppio si materializzerà lontano e potrà sbucare, camminando sul parapetto della galleria, sorprendendo il pubblico alle spalle. L'effetto è assicurato, ma l'originale Angier deve scomparire dal palco. Questo si può realizzare facilmente con una botola che nessuno noterà, poiché "nessuno è interessato all'uomo che scompare, ma a quello che riappare".
Tuttavia nessuno deve vedere l'uomo nascosto sotto il palco, come risolvere? Facile vietando a Cutter di mettersi dietro le quinte assoldando degli aiutanti ciechi. Sì, ma poi? Uno dei due deve essere eliminato e non si può rischiare uno scontro fra il vero Angier caduto nella botola e il suo sosia che la macchina a creato a distanza e che si è manifestato al pubblico raccogliendo tutti gli applausi. La soluzione? La pagoda piena d'acqua messa sottola botola e chiusa poi non con un lucchetto di scena, ma con uno vero. Che cos'è questo: il ricordo della morte di Julia e un tributo pagato al di lei disgraziato sacrificio? Forse è anche questo, sì. Ma soprattutto è la scelta di una morte che Cutter ha descritto come una morte dolce.

"È come ritornare a casa", aveva detto Cutter raccontando la storia di un marinaio che rischiò l'annegamento.

Un suicidio dunque! È questo il prezzo che paga Angier ogni volta che pone in essere l'esperimento del trasporto umano con la macchina di Tesla. L'introduzione di questo elemento fantastico è un brillante escamotage narrativo capace di coniugare l'esigenza di sorprendere il pubblico, inchiodandolo alla poltrona con una storia avvincente, e quella di affrontare la tematica del doppio sotto un profilo differente.
Infatti laddove Borden e Fallon insieme costituiscono "Il Professore", il clone di Angier è già da solo "Il Grande Danton". Quindi se da una parte troviamo un'esigenza di complementarità dall'altra si presenta una ridondanza che deve essere eliminata. Anche perché Angier non potrebbe condividere la propria vita con nessuno. Mentre la complementarità Borden-Fallon si realizza attraverso una soppressione parziale del proprio io, come atto d'amore verso l'arte, nel caso di Angier ci troviamo di fronte ad una sorta di perdita d'identità. Infatti il sosia è una riproduzione perfetta dell'originale, con tutti i suoi sogni, le sue conoscenze, le sue ambizioni, i suoi ricordi, ma senza l'effettiva coscienza di essere un sosia.

"... Io sarei stato l'uomo nella botola o il prestigio?".

Una volta che l'Angier del palcoscenico muore nella vasca d'acqua, quello che sopravvive è Angier a tutti gli effetti. Quindi non c'è una soppressione parziale, ma totale di se stessi. Proprio come Angier ha rinunciato ad essere Lord Caldlow (la sua vera identità) per essere il Grande Danton. Questo, naturalmente, solo fino all'annientamento del suo avversario e al coronamento della propria ossessione.
Oltre alla soppressione di se stesso, il sacrificio di Angier consta anche della perdita dell'amore di Olivia e dell'amicizia di Cutter.
Quest'ultimo, disgustato dal comportamento di Angier e dopo aver scoperto la sua vera identità e il modo in cui egli realizza il trasporto umano, lo lascerà strappandogli quella sola speranza dietro la quale Angier si nasconde e da cui trae il coraggio necessario alla realizzazione del proprio numero:

"Ricordi quando ti dissi della storia del marinaio che stava affogando?"
"Sì, lui ti ha detto che era come ritornare a casa".
"Ti ho mentito! Disse che era un'agonia tremenda".

Un'altra chiave di lettura, minore, ma non meno importante del film è lo scontro fra classi sociali, quella lavoratrice rappresentata da Borden e l'aristocrazia rappresentata da Angier, sullo sfondo di un'epoca che vedeva crescere ed evolversi il sistema democratico inglese unitamente all'educazione delle masse, attraverso l'accesso sempre più facile all'istruzione e al progresso industriale.

Il film si presenta come un thriller con degli spunti fantasy, ma in realtà sarebbe più corretto rapportarsi ad esso come ad un dramma intenso dai forti risvolti psicologici.
Esso è anche metafora della vita, interpretata come una continua competizione contro noi stessi, che dobbiamo cercare di migliorarci giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza, e contro gli altri. Una visione dura e pessimistica. La competizione, infatti, si vince quando non si hanno scrupoli, quando si è capaci di usare gli altri a nostro piacimento e quando siamo pronti a sacrificare noi stessi e anche le persone che ci amano pur di conseguire il nostro scopo.
La vita è anche intesa come apparizione, poiché la vittoria non deve avvenire nell'ombra ma sotto le luci del palcoscenico di fronte ad un pubblico che ne diventa testimone. Anche qui non è un caso che i colpi, che i due illusionisti si sferrano, avvengano prevalentemente proprio sul palcoscenico e che si traducano in una ridicolizzazione dell'avversario di fronte agli occhi del pubblico o nell'impedirgli di ricomparire sulla scena presentandosi al suo posto. Il successo nella vita lo si ottiene solo attraverso il riconoscimento, quindi vince chi per ultimo riesce a calcare ancora la scena.

La ricostruzione storica così come i costumi sono perfettamente credibili e ben curati. Scenografie eccezionali e dettagliatissime a partire dai fumosi teatri di Londra, al cimitero che fa da sfondo all'incontro-scontro fra Angier e Borden.
Nolan si è avvalso ancora una volta della collaborazione di Wally Pfister, suo fedele direttore della fotografia, che lo ha accompagnato in tutte le sue pellicole precedenti. Il ricorso a colori cupi, ma possenti rende le atmosfere ancor più enigmatiche. L'impatto cromatico ha un ruolo dominante e proietta lo spettatore nella realtà dei due protagonisti. Una realtà oscura e claustrofobica, in bilico fra il reale e l'irreale, fra il sogno e l'incubo, fra il desiderio e l'ossessione, fra la paura di vivere fallendo e quella di morire riuscendo.
Nolan e Pfister hanno anche utilizzato prevalentemente la luce naturale esaltando così il contrasto fra una realtà permeata di ombre, che celano misteri inquietanti, forse specchio dell'anima tenebrosa dei personaggi, e la luce sfavillante, che passa dal bianco accecante al blu, prodotta dall'energia elettrica. Ancora una volta l'ombra è metafora della magia e del lato più misterioso ed oscuro della vita, mentre la luce elettrica che mostra la realtà in maniera più definita, rigida e scevra di misteri, è metafora della scienza, sempre capace di fornire una spiegazione.

Christopher Nolan si è riconfermato anche un ottimo regista per la sua capacità nel dirigere gli attori. Nessuno di essi è fuori dalle righe, tutte interpretazioni perfettamente misurate e convincenti. Anche Scarlett Johansson, da molti criticata aspramente, è perfettamente in parte. Fra i grandi del cast spicca ovviamente Michael Caine, ma sono eccellenti tanto Christian Bale, quanto Hugh Jackman. Si è rivelata una piacevolissima scoperta Rebecca Hall che ci offre un'ottima prova e si dimostra capace di trasmettere una vasta gamma di emozioni, che, grazie alla regia di Nolan, sembrano quasi scandire i differenti stadi di sviluppo psicologico del film.
Gradevolissima ed azzeccata l'interpretazione di David Bowie nel ruolo di Nikola Tesla, che ci viene presentato più come uno stregone solitario che come scienziato.
È gradevole anche vedere il vero volto di Andy Serkis, celebre per aver prestato la propria immagine al Gollum della trilogia "Il Signore degli Anelli" e al King Kong dell'omonimo film di Peter Jackson.

Purtroppo la trama presenta alcune forzature poco apprezzabili. Innanzitutto risulta poco convincente che un uomo venga condannato a morte solo per essersi trovato sul luogo dove il suo rivale è deceduto. Luogo in cui non è dimostrato affatto che egli si fosse recato in precedenza, anche perché è dimostrabile che fino a pochi istanti prima egli si trovasse fra il pubblico, come è anche facilmente dimostrabile che egli abbia cercato di salvare Angier. Inoltre rimane inevasa un'obiezione sollevata dalla difesa di Borden durante il processo: come avrebbe fatto lui, in pochi istanti, a spostare la pagoda piena d'acqua sotto la botola in cui cade Angier? La risposta del pubblico ministero è una stupida battuta sul fatto che l'imputato è un prestigiatore e quindi avrà fatto una magia. Si tratta di un'argomentazione da bar non certo tollerabile in un tribunale.
È discutibile anche tutto l'escamotage posto in essere da Angier per incastrare Borden. Il piano è stato ovviamente premeditato e possiamo immaginare che Angier abbia notato e riconosciuto Borden mentre ispeziona la macchina di Tesla sopra il palcoscenico insieme ad altri membri del pubblico. In tal caso il suo clone, appena materializzatosi, potrebbe ragionevolmente aver atteso prima di mostrarsi alla platea, per vedere se fosse accaduto qualcosa. La regia infatti ci mostra chiaramente come le urla di Borden, che cerca disperatamente di liberare Angier, vengano udite dal pubblico e quindi, verosimilmente anche dal sosia appena materializzato. Questa soluzione narrativa, per quanto plausibile, resta una sgradevole forzatura.
E poi ancora: una volta sotto il palcoscenico, Borden vede Angier cadere dentro la pagoda piena d'acqua e cerca di aiutarlo a liberarsi. In un primo momento prova ad aprire il lucchetto, poi cerca di infrangere il vetro, proprio come aveva fatto Cutter, quando Julia non era riuscita a slegare il nodo ed era affogata nella pagoda.
Ma la differenza qual'è? Cutter cerca di sfondare il vetro della vasca quando Julia si trovava sott'acqua da oltre un minuto. Borden si attiva assai prima ed è verosimile pensare che avrebbe potuto fare in tempo a salvare Angier, anche se, giova ricordarlo, i vetri di sicurezza non erano ancora stati inventati. Inoltre si ricordi che, differentemente da Julia, Angier non ha le mani legate e il regista ci mostra chiaramente la presenza di una feritoia in cima alla pagoda attraverso la quale il prestigiatore avrebbe potuto aprire il lucchetto se esso fosse stato falso. In altre parole una feritoia cui aggrapparsi e uno strato d'aria di pochi centimetri fra la superficie d'acqua e il tetto della pagoda. Per tutte queste ragioni, e forse se ne potrebbero aggiungere altre, ma prima di farlo sarebbe opportuno visionare il film una seconda volta, tutto l'espediente attraverso il quale Angier riesce a far processare e condannare Borden risulta forzato e ridondante. Essendo esso un nodo gordiano dell'impianto narrativo, forse avrebbe dovuto essere curato maggiormente o essere esposto in maniera differente.
Non risulta una trovata felice, anche se d'indubbia efficacia, il fatto che Angier non si sbarazzi dei cadaveri prodotti dal suo esperimento e che li conservi ciascuno dentro la pagoda in cui è affogato (forse la principale ragione per cui il numero delle rappresentazioni era stato fissato a cento).
A tutto questo si aggiunge anche che la scomposizione del film in blocchi temporali, in uno stile non troppo dissimile da quello di "Memento", è gratuita, complicatoria, laddove abbiamo una storia già sufficientemente densa e complessa, e non si integra particolarmente con la trama. Tuttavia essa risulta tecnicamente ineccepibile e ad alcuni, incluso chi scrive, gradevole.

Anche se non incidono sulla valutazione, è opportuno riportare per dovere di completezza due errori:
Angier parla in modo esemplificativo del trucco della donna segata in due. Questo gioco fu realizzato per la prima volta vari anni dopo, come risulta dalle pagine del libro stesso di Christopher Priest; quando Borden spiega i pericoli del trucco dell'acchiappa proiettili dice che ogni tanto qualcuno introduce un penny nella canna della pistola. I penny avevano un diametro superiore a quello dell'arma che ci viene mostrata. E questo si vede anche nella scena in cui, quando conosce Sarah, Borden fa comparire una moneta dietro l'orecchio del ragazzino.

In conclusione Christopher Nolan, che si conferma uno dei più interessanti e capaci autori del momento, ha confezionato un prodotto di buona qualità arricchito da un cast perfetto e valorizzato da atmosfere gotiche cupe ed inquietanti. La storia narrata, originale ma prevedibile, è avvincente e i suoi contenuti sono altamente metaforici (in questa sede si è data un'interpretazione solo delle principali chiavi di lettura) con interessanti risvolti psicologici e sociali.
Nel consigliare caldamente la visione di "The Prestige" possiamo affermare tranquillamente che Nolan ha mantenuto quanto dichiarato in un'intervista:

"Un film è come un gioco di prestigio, altrettanto ingannevole, abbagliante e, infine, sorprendente per il pubblico".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 30/12/2006

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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