bob marley: one love (2024)

In un preciso e decisivo punto d'"Una stagione all'inferno", Rimbaud smette d'inseguire possibili vittimismi e ipotizza che l'origine dei problemi relazionali sia un fattore endogeno, qualcosa d'irrisolto e forse d'irrisolvibile che comincia da noi stessi. È l'incipit de "L'alchima del verbo", quando scrive "À moi" (https://books.google.it/?id=i_BPEAAAQBAJ&pg=PT22&dq=%22À+moi%22): l'arte e più in generale la cultura com'espressione autoanalitica del proprio insuccesso. Nei biopic su Hendrix, The Doors, Brian Wilson, The Beatles, Ian Curtis, The Police, Kurt Cobain, gl'Oasis, Elton John ecc. ciò emerge con più o meno evidenza, mentre nel film di Green (prodotto dalla famiglia del protagonista e dalla PlanB di Pitt) i demoni interiori di Marley, "Come pensano che io possa portare pace se non trovo neanche un po' di pace dentro di me?", vengono subito esorcizzati condividendo la risposta della moglie: "Tutte quelle prove sono la fonte della tua forza". D'altronde una delle tagline scelte afferma trionfalmente: "First he changed music. Then he changed the world". Almeno un recensore, Massimo Causo, gli ha dato ragione definendolo "illustrativo ma non agiografico, superficiale eppure onesto". Mi limito a pensare che la realtà non sarebbe diversa o addirittura migliore con gangia, dreadlock e Rastafari.

Il Bob Marley di One Love è un artista affermato, ma sebbene il periodo di tempo sia molto ristretto, un paio d'anni o poco più, è in una fase cruciale della sua carriera artistica. Di conseguenza c'è tanta carne al fuoco che il film non riesce a gestire in maniera ottimale. Enuncia i fatti e procede per accumulo perchè oltre al rapporto tormentato con la sua nazione devastata da una guerra civile, c'è la lavorazione ad Exodus e l'insorgere della malattia che lo porterà alla morte nel 1981. Di positivo è che il film non cade nell'agiografia, ma rimane sostanzialmente in mezzo al guado. Il protagonista ci mette impegno ma fisicamente non somiglia nemmeno lontanamente a Bob Marley.

La scelta di raccontare solo uno spezzone della vita di Bob Marley, circa due anni, non è sbagliata a prescindere: da un lato si perde un po' di contesto sul Bob Marley uomo (in particolare per chi conosce poco o addirittura niente della sua vita) dall'altro non si corre il rischio di disperdersi in una storia che di per sé meriterebbe di più di un paio d'ore per essere raccontata con al dovuta cura. Il problema è più che altro da ricercarsi nel modo in cui questo spaccato viene raccontato: poco coinvolgente e senza capacità di emozionare (e questo, se si parla di un uomo che come pochi ha saputo suscitare emozioni positive, già è tutto dire). Fortunatamente a dare qualche good vibes ci pensano le canzoni di Marley che, ovviamente, fanno da colonna sonora tutto il film e alla fine dei conti sono facilmente la cosa migliore.
Le interpretazioni di Kingsley Ben-Adir e, soprattutto, di Lashana Lynch sono molto buone e ci sono pure degli sprazzi di bel cinema, solitamente coincidenti con i flashback (in particolare quello dove i The Wailers si fanno apprezzare durante un provino). Però la sensazione rimane che un personaggio del calibro di Bob Marley meriti ben di meglio. "One Love" vale comunque una visione se amate o avete amato Bob e il reggae, però se riuscite andatevi a recuperare il documentario del 2012 che merita ben di più.

Un punto in più alla Musica senza tempo, che ovviamente la fa da protagonista in questo film, dove trama e interpreti lasciano a desiderare. Si poteva fare molto di più con un simile soggetto.