Recensione non aprite quella porta (1974) regia di Tobe Hooper USA 1974
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Recensione non aprite quella porta (1974)

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locandina del film NON APRITE QUELLA PORTA (1974)

Immagine tratta dal film NON APRITE QUELLA PORTA (1974)

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Attenzione: la seguente recensione può contenere spoiler

Dando uno sguardo al poco rassicurante panorama horror contemporaneo, è impossibile non aver subito chiari due dei principali motivi per cui questo settore è in crisi: il primo è un'impressionante penuria di idee che ha trovato soluzione apparente in un riciclo continuo di quelle contenute in pellicole del passato; il secondo è un imbarbarimento della produzione di genere, che converge in quella che più volte è stata definita la "crisi dell'industria cinematografica" e che, se da un punto di vista prettamente economico, sembra ancora lontana dal rivelare i propri disastrosi effetti, da quello artistico è ormai cosa vecchia e appurata.
Sono sempre meno le case di produzione pronte ad investire capitali ed energie nel genere horror. I prodotti più innovativi e freschi (spesso europei) stentano a trovare un'adeguata distribuzione, mentre la vecchia cara Hollywood rovista nell'ampio catalogo di film di genere, alla ricerca del prossimo lungometraggio da cui trarre un remake.

In attesa di tempi migliori, quindi, non resta che (ri)guardare con rimpianto alle vecchie, care produzioni a basso costo, basate su idee e intuizioni di registi alle prime armi ma dal genuino desiderio di realizzare qualcosa di nuovo.

Tra le più imitate, copiate e citate pellicole degli ultimi quarant'anni, "The Texas Chainsaw Massacre" occupa sicuramente un posto di rilievo.
Scritto e diretto nel lontano 1974 da Tobe Hooper, allora insegnante di cinema in un college statunitense, "Non aprite quella porta" narra le vicende di un gruppo di cinque studentelli del college in viaggio su un pulmino, diretti verso la casa abbandonata del padre di due di loro.
Il viaggio non sarà dei più semplici: il Texas sembra essere una regione dimenticata da Dio, tra profanatori di tombe (necrofili o vandali?) e ubriaconi, sotto un sole cocente che non lascia scampo né ad uomini, né ad animali.
Lungo la strada i ragazzi raccatteranno un autostoppista che però si rivelerà presto un pazzo armato di rasoio, che ferirà uno di loro ad un braccio e che verrà poi gettato fuori dal veicolo tra il disgusto e lo sgomento dei giovani passeggeri.
Arrivati a destinazione, senza benzina e ancora scossi da quel singolare avvenimento, i cinque decideranno di separarsi: alcuni esploreranno il posto, altri decideranno di andare a fare un bagno in uno stagno lì vicino.

Nessuno di loro immagina che in una casa non molto lontana da lì viva una famiglia di degenerati, sadici e dediti al cannibalismo, tra cui il folle autostoppista di poco prima e il ben più pericoloso fratello Bubba ("Leatherface", conosciuto in Italia con il nome "Faccia di Cuoio" e interpretato dall'attore Gunnar Hansen), folle omaccione ritardato armato di sega elettrica e col volto coperto da maschere di pelle umana.
L'incontro tra i giovani e la famiglia cannibale non tarderà ad avvenire e a rivelare i propri terribili effetti, dando il via ad una girandola di terrore che lascerà un'impronta oscura in quell'estate texana del 1973.

Girato con un budget irrisorio (140.000 dollari), con attori non professionisti (parteciparono al film gli studenti e i colleghi di Hopper) e con mezzi quasi artigianali, "Non aprite quella porta" si rivelò un horror in anticipo sui tempi, più vicino allo slasher movie che allo splatter, o più semplicemente a metà strada fra i due sottogeneri.

Erroneamente confuso come una cronaca di fatti realmente accaduti, Hopper utilizzò lo stratagemma del film filo-documentaristico per adombrare le vicende narrate con l'inquietante aurea del fatto di cronaca.
Espediente, questo, riutilizzato con esiti ben diversi da molti altri cineasti più o meno famosi.
In realtà i fatti narrati sono liberamente tratti ad una storia vera, la stessa cui hanno fatto riferimento altri film come "Psyco" o "Il Silenzio degli Innocenti" , ovvero quella di Ed Gein, "il macellaio di Plainfield", psicopatico assassino che, con il volto coperto da maschere in pelle umana, uccideva giovani donne.
Ovviamente il massacro texano non c'è mai stato, anche se la campagna di lancio del film e la voce narrante che apre la pellicola potrebbero far presupporre il contrario.

Nonostante i protagonisti della storia possano sembrare i cinque malcapitati ragazzi (Sally e Franklin Hardesty, fratelli; Jerry, il ragazzo di Sally; Kirk e Pam, l'altra coppia del gruppo) in realtà sono i villains a riempire la scena, in piena simbiosi con un ambiente insano e sporco ottenuto grazie a scenografie caotiche e terrificanti.
Ed è proprio l'ambientazione la vera regina della pellicola.

Tre sono fondamentalmente i set in cui si svolge l'azione: il primo è il pulmino, sgangherato anni 70 e tipicamente borderline, che si muove in una cornice naturale fatta di steppa e alberi bruciati dal sole, di asfalto bollente e strade deserte, quasi di frontiera.

Il secondo è la casa della famiglia cannibale. Addobbata con ossa umane e teschi (veri, importati dall'India), circondata da un cimitero d'auto e arredata con mobili chiaramente ottenuti dalla manipolazione di cadaveri in decomposizione, esprime chiaramente il senso di follia che i suoi stessi abitanti ispirano.
Il set, una vera abitazione del posto, fu allestito traendo ispirazione dalla vera casa del già citato Ed Gein, così come viene mostrata in alcuni filmati d'archivio della polizia.
E' lì che i corpi dei malcapitati vengono fatti a pezzi e macellati. E' in quella casa che si muovono i cattivi, forse i più strampalati della storia del cinema, grotteschi e, per la prima volta, non spinti al crimine da intenti puramente malvagi.
Se infatti è vero che i più grandi "mostri" cinematografici erano portati all'azione da sentimenti negativi come il male e la vendetta, è altrettanto vero che Leatherface e i suoi parenti sono portati al male soprattutto dalla necessità (quella di cibarsi della carne delle loro vittime) pur se condita da un allegorico sadismo.

Faccia di Cuoio, soprattutto, in quanto ritardato mentale, è portato a compiere azioni sanguinarie da suo fratello maggiore Chop Top, come fosse quella la normalità a cui è sempre stato abituato.
Nel film, invero, non c'è nessun intento di indagine psicologica se non partendo da quella estetica. Le informazioni sui personaggi, la loro caratterizzazione, è strettamente legata al modo in cui vengono rappresentati e all'ambiente in cui sono inseriti.
La personalità multipla di Leatherface non viene spiegata ma mostrata dal grottesco comportamento del mostro, vera "prima donna" dell'opera, e tende a rivelarsi grazie alle diverse maschere che egli indossa: quella da assassino, quella da nonna e quella da ragazza amorevole.
Tre riflessi di una personalità abituata all'omicidio ma che non gode di questo, che si realizza nel proprio atto sanguinario pur non avendone coscienza generale, anzi, reiterandolo meccanicamente come fosse riflesso distorto del suo vecchio lavoro (Bubba lavorava nel Macello locale, prima che fallisse).

Terza e ultima location fondamentale resta la foresta.
Lì si muovono i ragazzi prima di arrivare alla casa dei massacri, ed è proprio lì che si nascondono gli orrori di cui saranno vittime, accresciuti così d'intensità e di senso claustrofobico.
Il labirinto-foresta si rivela proiezione dell'incubo in cui i protagonisti si ritrovano proiettati. E' irrazionale e indefinita, senza via di fuga. Non ci si può nascondere per sfuggire al susseguirsi degli eventi.
Solo Sally, dopo aver visto i propri amici cadere uno dopo l'altro (la final girl, tipica degli slasher movie), ormai sconvolta e isterica, riuscirà a trovare il filo d'Arianna che la condurrà fuori di lì, in un'interminabile fuga da Leatherface che la porterà sulla strada, unica via di fuga dall'incubo.
In questa scena (lunga, goffa e animata dalle grida –interminabili- della ragazza) la si vede sanguinare copiosamente: non è un effetto speciale ma sangue vero della donna, feritasi accidentalmente durante le riprese.

Come accennato all'inizio, "Non aprite quella porta" è uno degli horror più imitati della storia.
Oltre al mediocre remake del 2003, conta tre seguiti ed un prequel.
Inoltre la situazione di base da cui parte (un gruppo di giovani dediti al sesso e al divertimento alla mercé di squilibrati) è stata imitata fino alla nausea da teen horror moderni, più o meno recenti, e molto spesso esasperata.
Se la citazione "intelligente" e cinefila (quella di "Cabin Fever" o de "La Casa dei 1000 Corpi") o demenziale ("Scarry Movie") può essere giustificata, l'imitazione pedissequa non può invece che apparire irritante e, alla lunga, noiosa.

I "buoni" vittime del massacro, lussuriosi ed egoisti (lasciano Franklin da solo, inchiodato su una sedia a rotelle, per fare sesso), pur nella loro stupidità (entrare là dove tutto ti farebbe supporre di non entrare) non possono che generare compassione nello spettatore, al contrario di quanto avviene nei moderni e ripetitivi horror per le grandi masse.
Il loro essere trattati come animali da macello, quindi ad un livello sub-umano, non può non scuotere lo spettatore che però rimane attonito, non sapendo se tifare per loro o per la strampalata famiglia cannibale, talmente "sui generis" da rasentare il comico involontario.

Alla base della fortuna del film si intravede un uso sapiente della suspance, della tensione e dell'orrore.
Pur essendo classificabile come splatter, in "The Texas Chainsaw Massacre" il sangue non è elemento principale (poco e ben dosato) e la telecamera evita il voyerismo tipico del moderno filone torture porn, accrescendo però d'intensità l'azione.

Si dice che l'aria opprimente, quasi irrespirabile, fosse dovuta a screzi all'interno del cast, tutto contro il regista. Le dure condizioni in cui la troupe fu costretta a lavorare si sono riflesse sul risultato finale.
Alcune scene, come quella in cui Sally, dopo essere stata stordita, si risveglia a tavola circondata dai suoi carnefici, sono entrare nell'immaginario comune. Questa in particolare è stata ripresa da altri film di genere: il francese "Calvaire" e l'italiano "Il Bosco Fuori". La scena è resa in modo particolarmente inquietante dallo stile di ripresa e dal movimento di camera, riverbero dello stato psicologico della ragazza.

Tra i personaggi più riusciti ci sono Leatherface (questo grazie anche all'apporto di Hansen, che decise di rendere il suo personaggio muto e ritardato e ne ideò i movimenti claudicanti, resi in parte tali dalla maschera che indossava, che gli limitava il campo visivo) e Grandpa, il nonno (l'attore John Dugan), il capo famiglia, più morto che vivo, specie di cadavere ambulante che si nutre di sangue, forse il character più inquietante e anche quello dai risvolti più grotteschi.

Simbolo di un modo di fare cinema ormai dimenticato, caposaldo storico del cinema di genere, sporco, cattivo e immorale, "Non aprite quella porta" dipinge il lato oscuro dell'America, lo porta all'eccesso con un'iperbole improbabile e poi lo sbatte in faccia allo spettatore spacciandolo per vero.

Grazie ad un'ottima fotografia (per i mezzi a disposizione) che il tempo ha reso ancora più sporca e sgranata e nonostante interpretazioni mediocri, budget irrisorio (ma il film ha poi incassato 30.859.000 dollari) e una sceneggiatura tutt'altro che brillante, il film si è rivelato riuscitissimo e ha scandalizzato e terrorizzato il mondo intero (bandito dalla Gran Bretagna per 25 anni e vietato ai minori di 18 anni in Francia, Germania, Italia, India e Romania).
Oggi potrebbe apparire datato e banale ed effettivamente non è privo di difetti, anche grossolani, ma è comunque un cult sempreverde dalla forza inalterata.

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Recensione a cura di Zero00 - aggiornata al 22/09/2009

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