Recensione draquila - l'italia che trema regia di Sabina Guzzanti Italia 2010
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Recensione draquila - l'italia che trema (2010)

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locandina del film DRAQUILA - L'ITALIA CHE TREMA

Immagine tratta dal film DRAQUILA - L'ITALIA CHE TREMA

Immagine tratta dal film DRAQUILA - L'ITALIA CHE TREMA

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Immagine tratta dal film DRAQUILA - L'ITALIA CHE TREMA
 

Certo, chi si reca a vedere l'ultimo docufilm di Sabina Guzzanti pensa di sapere già cosa lo aspetta e crede di scoprire nulla di nuovo, chi invece detesta la comica non ci penserà proprio a visionare la pellicola. E allora? Allora sarebbe utile seguire attentamente il film, invece, perché chi pensa di sapere già tutto troverà la conferma del detto "non c'è limite al peggio" e chi rifiuta aprioristicamente il film avrà la possibilità di valutare gli avvenimenti dell'ultimo anno da una prospettiva non così faziosa come si aspetta.

Si, perché Draquila è un film diverso dagli ultimi due lavori della Guzzanti, Viva Zapatero e Le ragioni dell'aragosta, nei quali il sarcasmo graffiante della regista mascherava la personale urgenza di denunciare una soperchieria, di sottolineare la subdola restrizione alla libertà di espressione. Restrizione che nel 2003 l'aveva duramente colpita con la chiusura del suo ultimo programma televisivo Raiot e che negli anni successivi aveva fatto altre vittime illustri.

Nel suo quarto lungometraggio "la cattiva ragazza" abbandona toni troppo ironicamente pungenti per una equilibrata ed asciutta dimostrazione della sua tesi sui drammatici avvenimenti dell'ultimo anno, partendo appunto dalla tragedia de L'Aquila.
Molti hanno accostato il reportage della Guzzanti ai film di Michael Moore, in effetti ci sono parecchi punti d'incontro e la stessa autrice ha dichiarato più volte, anche sul suo blog, di nutrire una grande ammirazione per il cineasta statunitense. Tuttavia in Draquila lo stile si sovrappone meglio a quello di un giornalismo d'inchiesta alla Report e Sabina elabora la sua tesi con la coerenza e la lucidità dei nostri Gabanelli e Iacona, lasciando solo all'incipit quella piccola dose di veleno satirico ("Berlusconi "stronzacchione") che la contraddistingue.

Il film si apre su un uomo che si aggira fra le strade lastricate di una città fantasma: è il sindaco de L'Aquila. Le riprese su di lui che percorre disorientato le piazze e le viuzze in cerca della sua gatta, è il modo diretto per farci conoscere (troppo tardi?) questa splendida città d'arte ricca di chiese e di monumenti; ce la fa immaginare, nel momento della tragedia, viva e giovane come dovrebbero essere tutte le città universitarie.

Tolto il siparietto iniziale in cui la Guzzanti veste ancora una volta per pochi minuti i panni del suo Berlusconi, trasformandolo in un bamboccio di nuovo pronto a cogliere l'occasione propizia per il proprio tornaconto, la regista si dissolve lentamente in brevi apparizioni durante il lungo reportage.
Armata di macchina da presa sciorina la sua tesi sulla vergognosa strumentalizzazione di una tragedia, lasciandone parlare liberamente i protagonisti, gli aquilani. Gente comune e cariche amministrative, chiunque possa testimoniare direttamente su ciò che è realmente accaduto in città dopo la notte del 5 Aprile 2009, quando la terra ha tremato.

Ciò che emerge si discosta di gran lunga dall'informazione "ufficiale", quella cioè dei quotidiani e dei telegiornali nazionali; affiora una realtà diversa da quella manipolata dal potere occulto, una quotidianità resa opaca dalla falsa propaganda: la realtà dissimulata di uno smisurato potere, quello della Protezione civile e del suo capo, Guido Bertolaso, "il cocchiere di Dracula".
La tesi della Guzzanti si chiarisce: il governo attraverso l'istituzione della Protezione Civile controlla in modo più coercitivo e subdolo l'Italia. E' sufficiente creare un'Emergenza per avere il passepartout a sospendere momentaneamente i diritti civili dei cittadini attraverso scorciatoie legali, l'emergenza inoltre può rafforzare il consenso elettorale. Tesi agghiacciante, suffragata dalle molte testimonianze raccolte fra gli aquilani, da una parte, e dagli ultimi scandali ben documentati, dall'altra.

E così, mentre allibiti ascoltiamo da un assessore aquilano la lunga lista delle "Emergenze" dichiarate in Italia negli ultimi anni (dalle visite papali, alle celebrazioni e commemorazioni di ecclesiastici e laici illustri, passando per qualsiasi evento sportivo o peggio per i rifiuti di Napoli) a spese del contribuente, ringraziamo per essere scampati per un soffio alla creazione di una SpA della Protezione Civile, progetto governativo scellerato, bloccato in tempo dall'inchiesta e dalle intercettazioni sul G8 in Costa Smeralda.

Dunque, dietro il volto rassicurante di Bertolaso si cela l'altra faccia della medaglia, cioè l'autoritarismo con cui viene gestita l'emergenza, nascosto da una copertura mediatica capillare.
L'inchiesta sul campo della regista stravolge la documentazione finora in nostro possesso. Dà voce a tutti, Sabina, a coloro che si dichiarono soddisfatti dell'intervento del Governo e a coloro che lamentano metodi autoritari, quasi militareschi, adottati in regione a causa dell'emergenza.
Pur cercando l'obiettività, la regista non riesce a mascherare del tutto il proprio scetticismo, ad esempio durante l'intervista ai fortunati che hanno ottenuto la nuova casa, il suo sguardo e il sorrisetto ironico tradiscono la propria convinzione politica. Ma questo è un dettaglio, perché davvero la regista si mette da parte e lascia spazio all'inchiesta attraverso le voci spesso contradditorie dei veri protagonisti del dramma, limitandosi ad un commento fuori campo.

Dalle testimonianze raccolte scopriamo che nelle tendopoli e negli alberghi scorre una vita orwelliana: gli aquilani sottoposti ad un costante controllo atto a mantenerli calmi e buoni (vietato distribuire caffè o Coca-Cola) sono in attesa che un barlume di normalità sia riconquistato e nutrono la speranza, finora disattesa, di vedere rinascere la propria città, speranza che rimbalza sul muro di gomma di una conveniente progettualità governativa, indirizzata alla costruzione di altro (una l'Aquila 2?) e dunque pronta a tuffarsi in una nuova selvaggia speculazione edilizia.

E quando ci si sente saturi di testimonianze mai così ben documentate arriva il colpo basso, ben assestato. E l'alternativa dove è? L'opposizione? Chi ci offre proposte differenti? Chi si fa interprete attivo del malcontento? Il nulla si concretizza davanti ai nostri occhi nell'immagine più triste e disarmante dell'intero documentario: la tenda del PD abbandonata dai militanti e dagli eventuali visitatori: deserto d'intenti ed icona di una assoluta indifferenza.

Allo stesso modo l'assenza di una Stampa libera e obiettiva viene più volte sottolineata (e le recenti polemiche in seno al TG1 ne danno conferma). La stessa Stampa che si sorprende improvvisamente e s'indigna per le risate di chi sa che la tragedia aquilana diventerà per lui un forziere aperto. L'ipocrisia di chi si è asservito ad un potere sottilmente demoniaco, fondato su denaro facile e sui ricatti, è un ostacolo insormontabile. Il potere di un capo-popolo corrotto che, come Dracula appunto, attua le strategie più subdole al fine di perpetuare la propria immortalità a scapito di tutti gli altri, è sempre più radicato e nonostante talvolta riceva qualche sganassone e traballi, subito si rinforza e perdura.
Ben venga allora al festival di Cannes la partecipazione di questo documentario, la cui denuncia diventa provvida almeno all'estero, visto che in Italia molti continuano a non volersi documentare.

La Guzzanti al Festival francese è stata a lungo applaudita, a prescindere delle abituali polemiche che accompagnano l'uscita di ogni suo film. Le è stato riconosciuto il merito di avere ideato e diretto un prodotto intelligente ed efficace, il cui lavoro di un anno ha evidenziato la solerzia e la forte motivazione nel delineare in modo maturo e profondamente umano l'immagine di un Paese fortemente trasformato, prendendo come pretesto la più recente tragedia che lo ha reso visibile all'interesse internazionale.
Durante l'ultima sequenza del film, ormai esausti dalle scoraggianti battute finali, sullo schermo ci pare sovrapporsi l'immagine mefistofelica del Caimano di Moretti e ci tornano in mente, per chi segue gli spettacoli teatrali della Guzzanti, le parole che l'autrice fa pronunciare al suo "simpatico" Berlusconi fantoccio: "Io ho vinto le elezioni, l'Italia le ha perse".

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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 24/05/2010

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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