un gelido inverno regia di Debra Granik USA 2010
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un gelido inverno (2010)

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locandina del film UN GELIDO INVERNO

Titolo Originale: WINTER'S BONE

RegiaDebra Granik

InterpretiJennifer Lawrence, John Hawkes, Kevin Breznahan, Dale Dickey, Garret Dillahunt, Shelley Waggener, Lauren Sweetser, Ashlee Thompson, William White, Casey MacLaren, Isaiah Stone, Valerie Richards, Beth Domann, Tate Taylor, Cody Brown, Ronnie Hall, Sheryl Le

Durata: h 1.40
NazionalitàUSA 2010
Generedrammatico
Al cinema nel Febbraio 2011

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Trama del film Un gelido inverno

Ree Dolly ha diciassette anni, è cresciuta troppo in fretta ed è alla disperata ricerca di suo padre, Jessup, che ha ipotecato la casa per pagarsi la cauzione ed uscire di prigione. Ree accudisce i due fratellini e la madre malata: se suo padre non si presenta in tribunale resterà, oltre che senza soldi, senza casa. Monti Ozark, Missouri, profonda America del Mid-West, povertà e un padre che entra ed esce dalla galera. Malgrado il suo aspetto esile e delicato, sulle spalle di Ree grava il peso di essere l’unica persona "adulta" e responsabile nella sua famiglia e l’assoluta necessità di ritrovare suo padre, per non perdere la casa ed evitare l’adozione dei fratellini che accudisce come una madre amorevole. Ree inizia a cercare il padre all’interno di una comunità che, protetta dai boschi e dalle montagne, è quasi interamente coinvolta nella produzione di cocaina. Per salvare casa e famiglia affronta violenza e omertà, mostrando la propria determinazione e una incrollabile forza di volontà.

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Voti e commenti su Un gelido inverno, 92 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR jack_torrence  @  11/03/2011 02:21:00
   7½ / 10
Un film in genuino "stile Sundance", ossia "indie", ma con qualcosa in più.

Un'ottima definizione dello "stile Sundance" - che si attaglia perfettamente a "Un gelido inverno" - è questa: "film che presentano già in partenza un'aria dimessa, una narrazione sottotono, una ricerca di situazioni paradossali o 'freak', in grado talvolta di riempire i vouti della messa in scena, con predilezione di condizioni umane liminari" (R. Menarini, Dieci idee sul cinema americano, 2010: e non si riferiva a questo film, ma al prototipo del cinema "indie".
Come a dire che in America esistono effettivamente, quanto a film """d'autore""", due stili diversi: quello brillantato dei film da Oscar, e quello in tono minore dei film indipendenti. Il che però significa soprattutto una cosa: che le case di produzione lavorano intelligentemente su due fronti, e si coltivano (in maniera molto più pianificata e programmatica di quello che sembra) due spettatori medi diversi, diversificando il prodotto.

Detto questo, qual è la marcia "in più" di questo assai intrigante film molto più che discreto?
Atmosfere ansiogene e rarefatte, sospese; che schiacciano lo spettatore con il peso opprimente di ciò che non viene svelato, non viene detto, rimane ...ai margini dei margini di questa fetta putrida di società marginale, che si ritrova sbattuta sullo schermo. Non contano tanto i fatti quanto i gesti e i volti. Parlano sguardi e tatuaggi, sospetti e paranoie. Gli intrighi devono restare fuori campo, perché ciò che conta far risaltare è altro: un ritratto allusivo di un mondo pauroso, e l'eroismo asciugato di ogni enfasi di questa ragazzina con fegato da vendere.

Usciti dalla sala, viene da pensare che il cuore nero dell'America non sia mai davvero uscito dalla Grande Depressione degli Anni Trenta.
Ma forse non lo è l'intero Occidente, e la società dei consumi è un abbaglio con gli anni - o i giorni - contati.
E allora pensiamo al day after di tutto questo: quel "the road" di McCarthyana memoria. E la paura ci assale: quella vera.

2 risposte al commento
Ultima risposta 11/03/2011 16.04.33
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