una separazione regia di Asghar Farhadi Iran 2011
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una separazione (2011)

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locandina del film UNA SEPARAZIONE

Titolo Originale: JODAEIYE NADER AZ SIMIN

RegiaAsghar Farhadi

InterpretiPeyman Moadi, Leila Hatami, Sareh Bayat, Sarina Farhadi, Babak Karimi, Ali-Asghar Shahbazi, Shirin Yazdanbakhsh

Durata: h 2.03
NazionalitàIran 2011
Generedrammatico
Al cinema nell'Ottobre 2011

•  Altri film di Asghar Farhadi

Trama del film Una separazione

Tutto è pronto per la partenza che Simin, suo marito Nader e la loro figlia Termeh hanno progettato. Lasceranno l'Iran per una nuova vita e uno nuova nazione. Tuttavia, all'ultimo, Nader ci ripensa: non osa lasciare solo il padre, malato di Alzehimer. La decisione porta un enorme scompiglio e Simin chiede il divorzio, che il tribunale non le concede. Lascia allora casa e Termeh decide di restare con il padre, sperando che la madre torni a casa. Ma la scelta fatta da Nader, che assume una giovane donna per accudire al padre in sua assenza, si rivelerà drammatica.

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Voto Visitatori:   8,22 / 10 (49 voti)8,22Grafico
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Miglior film straniero
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film straniero
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VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
Miglior film straniero
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO GOLDEN GLOBE:
Miglior film straniero
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Voti e commenti su Una separazione, 49 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  14/12/2011 23:08:59
   7½ / 10
Un film che mi ricorda come certi vincoli possano essere appiannati al di là delle influenze religiose e (soprattutto) morali, dove il regista evita ogni sussulto emotivo di troppo ma cede alla lusinga della parola (è un action movie della parola, questo "Una separazione"), dei dialoghi (semplici e a dirla tutta non sempre superlativi), e della decontestualizzazione sociale. E' probabile che sia il SOLO film capace di trasmettere la tensione della società iraniana senza il minimo bisogno di rileggersi le barricate o sposare la causa degli amori appassionati e infelici (v. I fiori del Corano). La prima parte è letteralmente esemplare, la cura di un vecchio malato di Alzheimer da parte di una giovane donna affaticata e sfortunata ci ricorda i sacrifici delle nostre (bis)nonne e un mondo dove le donne si spezzavano la schiena per mantenere la famiglia. Ma poi esiste l'altra faccia della medaglia, quella di una donna intraprendente e coraggiosa (ma fino a quanto?) che lascia in permanente stato di precarietà il consorte afflitto dalla malattia del vecchio padre. Ecco che in questi frangenti l'Uomo che è in noi torna a scaricare (ovvio no?) le colpe su di lei, sulla sua incoscienza e non sul suo coraggio.
Un pò come vedere "Scene di un matrimonio" di Bergman scritto con i dialoghi dei film di Abtellatif Techichè.
Ovviamente poi esiste uno spettatore che, per quanto libero da ogni pregiudizio, attende col fucile spianato gli stessi comportamenti coniugali maschili (islamici) che la società occidentale deplora senza dimenticare di averne abusato per decenni.
In questi e altri aspetti il film ha un rigore formale ineccepibile, straordinario.
A tratti diventa un pò pedante, vuoi per l'uso della mdp che fotografa pochi interni ed esterni - occhio: le manette facili sono quasi un'abitudine nell'Iran contemporaneo - vuoi per il faticoso doppiaggio, v. un improbabile giudice arabo-meridionale

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Ultima risposta 14/12/2011 23.09.54
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Flavietta2  @  28/11/2011 19:32:34
   8½ / 10
Un film che mi ha colpito profondamente.
E' difficile e semplice, realistico e al contempo quasi grottesco nel su essere estremamente veritiero. Non ci sono vincitori o vinti, buoni o cattivi. Ogni smielatezza viene accantonata lasciando spazio all realtà nuda e cruda.
E così tutto procede come avverrebbe nella vita, tra tensioni, rapporti conflittuali, scontro religioso e debolezze umane. Perchè questo è "una seprazione", uno spaccato, anzi tanti spaccati della vita reale, così tanti che non si può non essere colpiti da almeno un aspetto.
E il tutto verte sul dialogo tra le persone, mai d'accordo, sempre pronti a far valere una ragione invece che un'altra, a difendersi afarsi capire, in un mondo che non sempre può dare ragione alla loro voce. In fondo "la legge non capisce certe cose", giudica e basta, così come le persone stesse, che si limitano a basarsi sul loro punto di vista come se fosse la legge dello stato. Eppure anche la legge può sbagliare.
Il film si conclude lascindo un vago senso di vuoto dentro, ed è giusto che sia così, perchè c'è molta carne al fuoco, ci sono molti, troppi elementi che ci toccano. E noi non possiamo che restare basiti davanti alla maestria di questo regista che con poco ha portato la realtà nella realtà.
E c'è bisogno di questo, perchè del buonismo fine a se stesso ne abbiamo fin sopra la punta dei capelli, soprattutto se spacciato per qualcosa di vero, o verosimile.
Intelligente e innovativo.
Forse non adatto a tutti, non perchè noioso, ma perchè sembra apparentemente non arrivare a niente ( anche se non è così), quindi potrebbe non piacere.
Consigliato.
E non c'è bontà, non c'è romanticismo, tutto si chiude quasi come è iniziato, forse con un'evoluzione, un cambiamento, ma non con il buonismo e la retorica snervante a cui ci hanno abituati. perchè questo non è un film romantico, questa non è una tragedia con grandi eroi, questo è il nostro mondo, un mondo che (come si evince dal film) noi non riusciamo a cambiare col nostro atteggimento.

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Ultima risposta 28/11/2011 19.34.52
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suzuki71  @  16/11/2011 08:51:01
   10 / 10
Straordinario Orso d'oro all'ultimo Berlino 2011, con altrettanto meritati premi ai due eccellenti protagonisti, questo film emoziona silente e denuncia con intelligentissima sottigliezza. Si parte e si finisce in un aula di tribunale, è in mezzo scorre uno spaccato familiare e di intera società, continua sensibilità a non infrangere purezza (quante porte chiuse per riserbo), e ricerca della Verità, forse la protagonista ultima del film: non conta tanto quello che deciderà il giudizio, è importante che l'amato sappia se sono innocente o meno, o che non accetti soldi maledetti, chè se è andata così ve lo provero' a ogni costo. E l'innocenza irrimediabilmente perduta della figlia Termeh (che mente al giudice per amor paterno) è una indimenticabile lacrima pesante sul sedile posteriore, così come lo sguardo furtivo della bimba ai piedi galeotti rivela che l'istinto è più forte di cento chador. Giudice e Dio, duopolio di una società imperfetta cui affidare le nostre aspettative di veder riconosciute e protette la nostra integrità e la nostra moralità, chè gli uomini minacciano impurità. Ricorda Carnage per quanto è serrata e intelligente la sceneggiatura, ma amplificato e socializzato e, infine, gettato su due sedie quasi di fronte a chiedersi interiormente che senso ha: non ce n'è, infatti.

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Ultima risposta 17/11/2011 09.40.19
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  03/11/2011 15:01:17
   9 / 10
Tutti colpevoli, tutti innocenti.
Farhadi si diverte (si fa per dire..) ad analizzare, come un vero aristotelico (se sti arabi non avessero la Fede, sarebbero dei grandissimi logici), una degenerazione. I meccanismi di una separazione (titolo splendido) sono ingranaggi razionali e appunto logici che solo apparentemente appartengono alla legislazione del sentimento e della cultura: fede, politica, relazioni, senso dell'onore, soldi etc etc sono solo uno specchio per le allodole. Pare piuttosto a me che Farhadi cerchi uno sbocco logico nel dimostrare come un evento possa determinare una serie di fatti contingenti, assolutamente necessari, che s'ingrossano come un fiume in piena grazie a ipostasi socio-culturali. Perché ogni personaggio fa continuamente passi avanti e passi indietro, ogni motivazione di un gesto ne rivela diecimila tutte in contraddizione tra loro. Questo è un vero film poiché scevro da qualsiasi spinta culturale. Ci aspettavamo un certo tipo di Cinema (e infatti di andare a vederlo non avevo troppa voglia), e invece troviamo Cinema. Una sceneggiatura che sì trae spunti dalla realtà in cui è stata concepita (e infatti ciò che dà inizio alla Tragedia è la tesi per cui in Iran non si viva bene), ma che si libera dal dominio della retorica facile di denuncia, in cui era pericolosissimo cadere. "Per lasciare un messaggio basta un telegramma, il Cinema è un'altra cosa" diceva uno che del cinema aveva capito tutto. Se questo film avesse semplicemente voluto lanciare un appello, una critica, avesse voluto far vedere agli iraniani e a noi quale situazione c'è là, avrei dato 7. Ma questo film va ben oltre. è un meccanismo a orologeria, in cui tutto va secondo i piani di un Ente regolatore e onnisciente che è Farhadi, ma che siamo anche noi. Non a caso la prima sequenza, la più significativa del film, si apre con i due protagonisti che parlano con un Giudice di cui non si conosce nemmeno il volto. Mi ha ricordato tantissimo l'Interrogatorio di Antoine Doinel con la psicologa nei 400 Colpi. Questo è un film da cui si può imparare tanto Cinema. E di sicuro Farhadi pensava al suo Paese mentre lo girava, tuttavia si è innanzitutto ricordato che è un regista, e non un reporter.

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Ultima risposta 04/11/2011 21.23.58
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR pier91  @  03/11/2011 11:27:01
   9 / 10
Noi spettatori della civiltà occidentale c'aspettiamo da un regista iraniano un certo tipo di cinema, tutto focalizzato sulle condizione di un Paese che ci pare il degno teatro di un neo-neorealismo. Asghar Farhadi rifiuta quest'etichetta prestabilita, respinge il cinema lisciante dell'accondiscendenza e realizza un film che merita innanzitutto d'essere definito libero. La denuncia di una fitta rete di trappole imbastita dalla religione come dalla politica, non nuoce affatto al respiro universale della storia. Il titolo stesso suggerisce la volontà di raccontare un dramma prima di tutto familiare, rappresentativo della Realtà prima ancora che di una realtà.
"Una separazione" è un film fortemente anarchico, nella dimensione che meno avrei previsto.

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Ultima risposta 03/11/2011 21.30.16
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Crimson  @  24/10/2011 23:00:50
   9 / 10
Lo hanno definito, a ragion veduta, "il meno iraniano dei registi contemporanei".
Farhadi con questo suo ultimo film si conferma uno dei più grandi cineasti in circolazione soprattutto perché effettivamente orchestra un dramma cervellotico riuscendo nell'impresa di non circoscriverlo entro i confini del proprio paese (in cui continua a vivere, a differenza di molti altri colleghi), bensì estendendolo ovunque.
Particolare non di poco conto, questo, che permea mediante un linguaggio cinematografico ormai universale.

Certamente il regista indipendente non esula stilettate ben indirizzate ad un certo modo di pensare rigidamente ancorato a principi religiosi intessuti profondamente nella propria cultura (e ciò era pressoché inevitabile) ma riesce ad andare ben al di là di un mero atto d'accusa (viceversa da Panahi, senza nulla togliere al Cinema di questo sfortunato regista che adoro) mostrando come in realtà religione e convenzione siano spesso utilizzati come "pretesti" per giustificare a se stessi e agli altri la natura di una propria, tormentata scelta.
Il punto focale è proprio questo, il valore di una scelta nei confronti della verità. Cos'è la verità? Già in ‘About Elly' una multiforme accozzaglia di bugie indicava come la verità fosse molto più semplice da raccogliere rispetto alla stratificazione che ci si adoperava per rivestirla, in funzione di timori spesso infondati e in quel caso un dover fare i conti con una mentalità prevalente (passa del tutto in secondo piano che Elly è un'eroina; al contrario si dà credito al fatto che fosse fidanzata e avesse partecipato come "single" ad una vacanza).

L'abnorme e poco ingegnosa massa di dissimulazioni e di argomentazioni viene dipanata per timore di una reazione, per non compromettersi. Non c'è fiducia.
Tra le righe s'impone un frazionamento identitario in una nazione e universalmente di una natura umana (sia chiaro, ben oltre i confini iraniani) incapace di mettersi nei panni degli altri; che si barrica dietro prese di posizione assolutamente testarde e a tutela di un proprio ideale di verità, che nel concreto si perde totalmente.
Spesso si degenera in scrupolosi e irrimediabili egoismi volti ad alimentare l'ostentazione delle proprie necessità individuali.
E' talmente palese una riflessione così allargata al termine di un percorso di approfondimento dei tre personaggi principali, Simin, Nader, Razieh.

Ora, entrare nei minimi dettagli di una meticolosissima sceneggiatura che segue un andamento quasi ‘thriller' sarebbe un'impresa titanica che mi metterebbe in difficoltà. Sarebbero moltissimi i momenti su cui soffermarsi, ma il corpo del commento, che già secondo quest'idea che sto seguendo risulta ostica a chi la scrive, rischierebbe di divenire non solo inaffrontabile ma anche soporifero per chi lo legge (che come sempre, vista la natura dei miei interventi, spero abbia visto il film, perché altrimenti non sta capendo assolutamente nulla – ben oltre i miei demeriti descrittivi e analitici - ).
Bisogna a questo punto evidenziare quanto il film risulti teso, sorprendente e coinvolgente. La capacità di creare un Cinema non solo di contenuti ma anche di piacevolezza visiva nel seguire una storia avvincente è una qualità pregevole di questo regista, che in questo film rende ancora più complesso il quadro narrativo tratteggiando una crescente mole di substrati attorno ad un evento di per sé di poco conto, una minuzia.
Di conseguenza mi soffermo solo sui cardini che secondo me sorreggono tutto: il comportamento di Nader e di Razieh.

Nader compie principalmente due scelte:

1. A conoscenza del fatto che Razieh fosse incinta, mente dinanzi al giudice per il timore che la legge possa essere applicata in modo inflessibile nei propri confronti, ossia non prendendo in considerazione l'attenuante (a mio avviso fondata) dello shock causato dall'aver trovato il padre in quelle condizioni. La scelta è stata dettata in considerazione di Termeh, sostiene.
Nasconde la verità per tutelare innanzitutto la sua posizione giudiziaria.
2. Desidera che emerga la verità sulla propria innocenza: stavolta non è più in ballo la sua posizione nei confronti della legge, ma quella morale.
Ossessionato da una giustizia morale a tutti i costi, chiede a Razieh di giurare sul corano di aver perso il bambino per le conseguenze della spinta ricevuta sull'uscio di casa. Ovviamente è certo della propria innocenza e dunque in questo caso "si serve" della religione per ottenere il proprio scopo.

Prima scelta di Nader: opinabile ma apprezzabile. Si può anche confidare nella legge (anzi, si dovrebbe) ma è lecito anche da parte nostra dubitare che il giudice potesse non mostrare la dovuta clemenza e apertura.
Punto di vista inverso: come si può sperare in una legge che non tratti le situazioni secondo una logica bianco/nero (come Nader rivela alla figlia di temere) se poi noi per primi ci comportiamo in conformità di tale logica dinanzi ad essa?
In ogni caso ci schieriamo dalla parte di Nader per quanto riguarda i destinatari di tale preoccupazione: nel dubbio dell'applicazione della legge egli sembra realmente in pensiero per la figlia e per il padre.

Nel secondo caso invece Nader finisce per impuntarsi e per accontentare solo le proprie ragioni: benché in quanto uomo/cittadino rivendichi giustamente la propria innocenza, antepone tuttavia ciò al ruolo di padre, marito, figlio.
Incapace di scendere a compromessi, non ha ponderato inoltre che la sua azione ha danneggiato Razieh e Hodjat.

Razieh è l'altro personaggio-chiave. Una donna profondamente insicura, che suscita in noi le più svariate sensazioni, prima di lasciarci con una grande angoscia e compartecipazione per la sua fragilità di ragazza, più che di donna, ingenua e in balia delle onde dell'emotività e di punti fermi che non derivano da un saggio percorso di crescita interiore.
Razieh chiede a Nader di non rivelare a suo marito Hodjat che lavora da lui: non è tanto per nascondere che quotidianamente si reca a badare ad un uomo solo in casa, piuttosto per non dare un dispiacere al marito che cerca ma non trova lavoro, mentre lei incinta e affaticata in un certo senso si sente di lavorare "al posto suo" (cosa che in effetti avviene). Ha un atteggiamento di protezione nei confronti del marito: combatte strenuamente contro i creditori. E' una donna disperata che come Nader mente in un primo caso, per poi ritrattare:

1. Razieh mente affermando che ha perso il bambino per via di una caduta (improbabile, come ci si accerterà) per le scale. In realtà lei fin dall'inizio è animata dal dubbio ma si lascia trascinare dall'ipotesi più vantaggiosa che si profila all'orizzonte: se venisse riconosciuto che ha perso il bambino a causa della caduta il marito riuscirebbe a divincolarsi dalla morsa dei creditori.
2. Dinanzi alla somma concreta pattuita verbalmente con Simin, Razieh deve fare i conti, più che con la propria coscienza, con la sua radicata convinzione che ottenere un profitto tramite una menzogna le causerà qualcosa di spiacevole in futuro.

Razieh è una donna molto religiosa, lo verifichiamo subito in una sequenza molto intensa in cui telefona a qualcuno per accertarsi che se assiste in bagno il padre di Nader (che è un anziano che ha l'Alzheimer ed è invalido al 100%) mentre costui è nudo (si è pisciato addosso, bisogna spogliarlo per forza! Ovviamente non sarebbe dignitoso lasciarlo in quelle condizioni) non commette "peccato".
Dinanzi alla richiesta citata di Nader di giurare sul corano, dunque, Razieh antepone il rispetto del precetto religioso (o meglio, il senso che attribuisce alla religione nei confronti di tutto il resto) all'amore - o se proprio non vogliamo chiamarlo così (perché il rapporto con il marito tutto sembra fuorché paritetico) - alla devota benevolenza verso il marito.
La conseguenza è un nulla di fatto economico che inabisserà ulteriormente e forse definitivamente il marito (già preda di un sempre più deficitario quadro psicopatologico), e a ruota se stessa.

Sul piano narrativo, le verità celate, la parola e l'azione che seguono fedelmente una preoccupazione crescente, ansiosa ed ansiogena, di ciò che gli altri potrebbero pensare e interpretare, creano un vortice sempre più abissale che inghiotte e distanzia sempre più i protagonisti fino ad una situazione di non ritorno.
Chi ne subisce maggiormente le conseguenze è Termeh.
Allo spettatore resta l'interrogativo: con chi dei due genitori ha scelto di vivere? E' un pensiero fugace, perché nel giro di pochi secondi siamo colti da un gelo impetuoso che ci attanaglia e non ci dà tregua, né speranza.
Sopraffatti da questa morsa ci rendiamo conto che la risposta ha perso di importanza.
Nader e Simin, sconfitti e induriti restano nelle loro posizioni, si ignorano ai lati del corridoio.
In mezzo, un fiume di persone.

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Ultima risposta 07/11/2011 16.17.25
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