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Oliveira è uno dei registi più anziani in circolazione,anzi ancora oggi il più vecchio. Ultracentenario e nonostante ciò continua a dirigere ma la cosa che più sorprende è la lucidità che non viene mai meno nei suoi lavori e nei suoi pensieri. Questo mediometraggio che non si può nemmeno definire del tutto documentario è del 2001,quindi realizzato quando il regista portoghese ha superato già i 90 anni e decide di tuffarsi in un viaggio nella memorie e del ricordo. Ma non è il ricordo gioioso e nostalgico di un Amarcord felliniano, per quanto la saudade sia onnipresente (è sempre così quando si ricorda) lo stile è lentissimo e il vecchio Oliveira si interroga lucidamente sul passato senza cadere in alcun rimorso o ricordo particolarmente malinconico,rievoca fantasmi ormai andati via per sempre se non nella sua memoria: la sua casa d'infanzia,la città di Oporto inevitabilmente cambiata,anche lui stesso da giovane. Il tentativo riuscito è quello di mettere in scena i fantasmi di una memoria vecchia e che sa,come dice la nenia finale,di avere la morte che aspetta dietro l'angolo. Prima di diventare anche lui per sempre un ricordo,Oliveira ha deciso solo di materializzare un passato senza alcun tentativo di rievocare nostalgie facili o lontani amori. Bellissima la scena del teatro.
Attraverso i ricordi e le immagini di repertorio, fluisce una riflessione sincera e disincantata sul passato e sulla memoria. Più che un documentario sulla città di Oporto dei primi del '900, è un diario personale: un anziano interroga un giovane che è se medesimo. E chissà chi è mai stato veramente: le risposte sono irrimediabilmente alterate dalla lontananza e dalla mitizzazione. De Oliveira ne é consapevole, e nella sua "saudade" non c'è rimpianto, ma un benevolo disincanto.