Un ragazzo di 16 anni si insinua nella casa di un suo compagno di studi e ne scrive un saggio per il corso di Francese, provocando una serie di incontrollabili eventi.
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Quando percorro a mo' di mdp il corso principale (le scorciatoie sono tediose), maree di volti si frangono sul mio obiettivo, scompaiono alle mie spalle. Mi perdo nei "chissà", nei "chissà perché", nei "chissà dove", scrivo centinaia di piccoli romanzi. Devo accontentarmi della strada, lo spettacolo dei dirimpettai non è così interessante; non come quello che s' offriva a James Stewart. La finestra sulla finestra dell' Altro, frammento poligonale di una realtà, stuzzicante teatrino incompiuto. Gli interpreti tiranneggiano lo show, oscurano la scena quando e come vogliono, spengono le luci, chiudono gli scuri, si nascondono dietro le pareti. Lo spettatore desidera la somministrazione completa, divorare ogni cosa con lo sguardo, intrufolarsi "dans la maison". In alternativa, arruolare una spia narrante che irrompa, osservi, contamini. Al fruitore della letteratura/ del cinema interessa il rappresentato, non la rappresentazione, sembra volerci dire Ozon. Oggi toccare preme più del vedere, vedere più dell' immaginare. Il sospeso ("continua") stizzisce, il fuori campo stufa, il tridimensionale s' impone. Claude non è un eccelso scrittore, ma ha la caparbietà di testimoniare e creare situazioni intriganti. Nell' ironizzare sulla propria professione, e sul proprio pubblico, il regista scopre troppo i fili (sin dai titoli di testa, con quella sarcastica grafia da teen-movie), devia dal tracciato, gioca senza classe, ai limiti della presa per i fondelli. Non di meno è interessante come la mancata focalizzazione della realtà (da lontano come da vicino) ristabilisca infine la fiducia nell' immaginazione, nelle infinite probabilità, nel fascino del cassetto chiuso.