Un percorso misterioso, dove la realtà si confonde con il mistero, il sogno, l’amore, la morte... Una macchina procede lentamente nella famosa Mulholland Drive con a bordo una bruna fatale. La donna non è sola, qualcuno le sta puntando addosso una pistola. Ma il destino è più veloce, dalla direzione opposta, spunta un bolide che travolge la vettura.
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A volte in arte scattano scintille che esplodo in una carica innovatrice inimmaginabile, risvegliando negli artisti un energia creativa unica, spontanea, in un certo senso irripetibile. Se si pensa alla pittura contemporanea, ad esempio; è fiorita, a cavallo del 900, una serie smisurata di innovazioni folgoranti, di capolavori; salvo poi esaurirsi di lì a breve. Un discorso diverso varrebbe per il cinema. Nato come “arte nuova”, la sua carica sembra essersi affievolita già da tempo, e forse più in fretta che in altri campi. Non a caso tutte le pellicole più geniali e importanti si possono ritrovare, a mio parere, nei registi delle vecchie generazioni (tra i tanti mi vengono in mente Chaplin, Kurosawa, Dreyer, Welles, Bunuel, Bergman, Bresson). Solo Kubrick e pochi altri hanno saputo in seguito fare altrettanto. Ed il cinema di quest'ultimo decennio si è adeguato alla pochezza di contenuti e idee che sembra esistere oggi nella nostra società. Questo “Mulholland Drive” ne è l’eccezione, è un abbaglio improvviso, e la sua innovazione è soprattutto formale. La struttura è simile a quella di un sogno dove la realtà sembra ricrearsi su se stessa senza una continuità di logica. Ogni qualvolta vi è l’impressione di intuirla, ecco che Lynch rigira la scatola magica. E non torna più il filo. Lo perdi. Poi ne trovi un altro. Devi ricostruire il tutto. Ci vuole pazienza, bisogna indagare. A poco a poco, sembra si giunga finalmente alla soluzione del mistero. Ma sul più bello si riapre la scatola magica, e si inghiotte tutto. Finisce il film e non ci hai capito molto. Ripensi alla scatola magica. Nulla. La scatola è vuota. Tutta illusione! Ma la scossa l’hai sentita.