la promessa dell'assassino regia di David Cronenberg USA 2007
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la promessa dell'assassino (2007)

 Trailer Trailer LA PROMESSA DELL'ASSASSINO

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locandina del film LA PROMESSA DELL'ASSASSINO

Titolo Originale: EASTERN PROMISES

RegiaDavid Cronenberg

InterpretiNaomi Watts, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Armin Mueller-Stahl, Raza Jaffrey, Radoslaw Kaim, Cristina Catalina, Alice Henley, Tamer Hassan, Gergo Danka, Olegar Fedoro

Durata: h 1.40
NazionalitàUSA 2007
Generethriller
Al cinema nel Dicembre 2007

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Trama del film La promessa dell'assassino

Una prostituta muore durante il parto. Un'infermiera, interpretata da Naomi Watts, si ritrova a indagare sull'identità della giovane e viene coinvolta in un'operazione della polizia su un grosso giro di prostituzione gestito dalla mafia russa.

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Voto Visitatori:   7,20 / 10 (361 voti)7,20Grafico
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Voti e commenti su La promessa dell'assassino, 361 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI gerardo  @  28/12/2007 20:24:35
   10 / 10
"The horror! The horror!"

Cronenberg torna ad ambientare un film nella Londra che fu di Spider con un’altra storia di violenza che questa volta si svolge in un contesto mafioso d’importazione russa.
È ancora il corpo l’oggetto d’indagine che Cronenberg scruta sin dalla prima scena e dalla successiva dalla quale prende le mosse il film: l’emorragia dell’adolescente partoriente, il cui corpo è segnato dalle violenze subite, dalle punture di aghi, e che da solo racconta storie di abusi portati al culmine. E, quasi per paradosso, dall’estremizzazione della violenza – e dalla conseguente morte – giunge una nuova eXistenZa, mostrata nel suo arrivo, ancora avvolta nella placenta e nel sangue, elementi primordiali e costitutivi di una vita, di un nuovo corpo.
La violenza diventa così un agente di trasformazione del corpo, la cui modifica produce un’ambivalenza fisica e morale, per la quale si fondono insieme entità estreme, ancestralmente vita e morte, bene e male.

Il ruolo, delicato e appassionato, di Anna/Naomi Watts è quello di condurre il discorso dell’ambiguità dalla vicenda della bambina appena nata a quella di colui che sarà poi il vero protagonista del film, l’autista russo interpretato da Viggo Mortensen, e di unirne i percorsi.

Lo sviluppo della trama si affida, a questo punto, agli stilemi del noir e del gangster movie, ma l’essenza del cinema di Cronenberg lo caratterizza con inequivocabile personalità. E ad illuminare questa essenza è il volto bellissimo e penetrante di Viggo Mortensen, il cui ghigno, racchiuso in lineamenti fortemente marcati, basta di per sé a esprimere tutta l’ambivalenza feroce che il suo personaggio richiede. Il suo corpo incarna esteticamente l’idea e le ragioni profonde del cinema del regista canadese, sublimandolo con inquietante e fascinosa perfezione. La sua rigidità espressiva, compostamente immobile, evoca una duplice valenza fisica di uomo-macchina, imposta dal ruolo di autista e fedele servitore di una importante famiglia mafiosa russa in terra londinese. L’uomo è preposto al suo lavoro e non gli è consentito il diritto di opinione e di pensiero autonomo: così come potentemente evocato dalla mimica e dall’espressività, il volto e il corpo di Nikolai/Mortensen rimanda all’immaginario fantascientifico con i tratti marcati, la pettinitura alta e squadrata e le movenze quasi automatiche di un robot, ovvero l’automa dalle sembianze antropomorfe. D’altronde, “robot”, come c’insegna la cara Wikipedia, è un termine ceco che significa lavoro (e qui lo si potrebbe intendere con tutto il carico fortemente simbolico che esso assume nella cultura sovietica da cui proviene il protagonista).
Il confine tra il bene e il male, tra il buono e il cattivo, diventa impercettibile nelle sfumature che ogni situazione offre. L’anziano patriarca è un volto rassicurante, buono, una figura “paterna” sostitutiva/protettiva e (almeno all’inizio) insospettabilmente mostruosa. Nikolai/Mortensen è gentile e spietato, feroce e generoso, una macchina da guerra capace di lampi d’umanità, come squarci nella tenebra. Essi sono due personaggi simmetrici che finiscono per riflettersi e respingersi nel momento in cui si riconoscono. La verità sul padrino è rivelata a metà dell’opera. Quella del guardaspalle Nikolai la si apprende solo nel finale. Entrambi sono dei cascami dell’ex impero sovietico in decadenza, anzi già sgretolato e in decomposizione, ed eredità della nuova Russia delle infinite contraddizioni. Cronenberg, come ogni grande regista o scrittore, riesce a raccontare una realtà storico-politica e sociale scrivendola sui personaggi, senza doverla spiegare didascalicamente da autore onnisciente. Ancora una volta è il personaggio di Viggo Mortensen ad “incarnare” la duplice pelle del killer e dell’apparato burocratico-repressivo dell’ex-URSS: spietatezza, efficienza, ma anche coscienza… La disciplina di partito, la disciplina militare e poi la disciplina della mafia: ognuna porta con sé un bagaglio di valori insieme contrastanti e simili, che forgiano l’identità di Nikolai e al contempo la disintegrano: il rituale d’iniziazione mafiosa (l’ingresso ufficiale nella famiglia, questa volta come dignitario) richiede lo spossessamento/abiura di ogni forma di identità e affettività originaria e l’acquisizione di una nuova identità e fedeltà. Il corpo la recepisce nella propria esibizione e nell’incisione dei tatuaggi; la paga con le lacerazioni delle lame dei coltelli che infieriscono su di esso. Cronenberg fissa, nel totale della sauna, il corpo nudo di Nikolai/Mortensen un attimo prima dell’agguato, con una lunga inquadratura frontale, in una sospensione metafisica che pare dilatare i tempi dell’azione e restituire ontologicamente l’identità dell’uomo come unicum fisico e morale ma potenzialmente molteplice. È quell’attimo prima della violenza, della deflagrazione, in cui Cronenberg rende simulacro il suo protagonista feticcio.

Il finale. “From ritual to romance”
Volendo mettere da parte, anche solo per ipotesi, le ovvie considerazioni su un finale che pare volgere verso una soluzione positiva e consolatoria, un’altra interpretazione possibile – a mio avviso – prenderebbe le mosse a partire dalle parole che Mortensen pronuncia al suo capo quando si svela la sua identità. Egli intende portare a termine la propria missione operando una “sostituzione” al vertice della cupola mafiosa. L’eliminazione dei vertici criminali e l’assunzione del potere in loro vece suggerisce questa lettura alternativa che fa venire in mente il mito del “re del bosco”, narrato nel “Ramo d’oro” da James G. Frazer:

“[…] in ogni momento del giorno, e probabilmente anche della notte inoltrata, si poteva vedere aggirarsi una truce figura. Nella destra teneva una spada sguainata e si guardava continuamente d’attorno come se temesse ad ogni istante di essere assalito da qualche nemico. Quest’uomo era un sacerdote e un omicida: e quegli da cui si guardava doveva prima o poi trucidarlo e ottenere il sacerdozio in sua vece. Era questa la regola del santuario. Un candidato al sacerdozio poteva prenderne l’ufficio uccidendo il sacerdote e, avendolo ucciso, restava in carica finché non fosse stato ucciso a sua volta da uno più forte e più astuto di lui. […]”.

Nella “terre gaste” russa, che si perpetua, in questo caso, nel microcosmo londinese (anch’esso “waste land” eliotiana), il personaggio di Nikolai è una sorta di cavaliere errante che fonde in sé l’archetipo strutturale di due poteri: quello poliziesco della FSB (l’ex-KGB) e quello mafioso.
Nikolai/Mortensen, diventando egli stesso capo dell’organizzazione mafiosa (e concentrando in sé i due poteri sopra citati), replicherebbe di fatto la regola del sacerdozio propria di un’età barbarica, ma il cui modello mitico resta pur sempre riproducibile.
Cronenberg non arriva a mostrare l’esito finale della missione, ma la lascia nel fondo dei pensieri del protagonista, consacrando in una splendida inquadratura definitiva, che rimanda al “Conan” troneggiante e riflessivo di Milius, il Nikolai rivelato. È una vera e propria consegna del personaggio al mito e di mitizzazione del Cinema stesso quale strumento eccelso di deificazione.
Essa pertanto non esclude che Nikolai abbia preso il potere con la consapevolezza morale di portarlo avanti come nuovo capo a tutti gli effetti dell’organizzazione, piuttosto che di combatterlo ed eliminarlo definitivamente. In questo senso, l’inquadratura finale, con la fissità del volto di Mortensen celato dietro gli occhiali da sole e inserita nel contesto mafioso (il ristorante dell’ex-capo), assume i contorni di una inquietante e nichilistica dimensione evocativa-celebrativa del “cuore di tenebra” dell’eroe. Dimensione concettuale che è forse alla base di tutto il cinema di Cronenberg.

6 risposte al commento
Ultima risposta 02/01/2008 13.11.07
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