Recensione la promessa dell'assassino regia di David Cronenberg USA 2007
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Recensione la promessa dell'assassino (2007)

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locandina del film LA PROMESSA DELL'ASSASSINO

Immagine tratta dal film LA PROMESSA DELL'ASSASSINO

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"Eastern Promises" segna il ritorno dietro la macchina da presa di David Cronenberg dopo "A History of Violence". La trama è ambientata a Londra e incentrata sul mondo della mafia russa. Mondo in cui si trova catapultata Anna Khitrova, ostetrica presso un ospedale di Londra, dopo che una quattordicenne russa muore di parto dando alla luce una bambina. Per rintracciarne i familiari, malgrado l'opposizione dei suoi parenti che la sconsigliano di farlo, Anna si servirà del diario della ragazza, fino ad approdare ad un ristorante il cui proprietario è Semyon, all'apparenza gentiluomo dai modi affabili, ma che in realtà è un boss della Vory V Zakone legato al mercato delle prostitute venute dall'est e direttamente coinvolto nella vicenda personale della ragazza morta.
Alle dipendenze di Semyon c'è il figlio Kirill, debole e instabile, e Nikolai Luzhin, autista dal passato misterioso.

Anna e Semyon sono i personaggi simbolo di due mondi contrapposti, nettamente separati: la mafia russa da una parte, la "brava gente" dall'altra. Nel film di Cronenberg sono le caratterizzazioni più definite, quelle che presentano meno lati nascosti rispetto agli altri attori della vicenda. Anna, spinta dalla volontà di trovare una famiglia a quella bambina rimasta orfana, entrerà in contatto con il mondo mafioso di Semyon. L'incontro/scontro tra questi due mondi influenzerà profondamente sia Kirill, che Nikolai. Kirill vive all'ombra del padre che profondamente detesta, ma non ha la forza nè la volontà per ribellarsi, finendo per esserne una pallida imitazione.
Nikolai è solo un "autista": va dritto, a destra o sinistra a seconda dei bisogni dei suoi capi. E' un mero esecutore di volontà altrui.
Kirill e Nikolai sono uomini senza identità, vivono nell'ombra, le loro azioni e le loro scelte sono dettate dalla volontà degli altri, da stimoli esterni. Sono spiriti affini, pur nella loro differenza caratteriale: glaciale e impassibile Nikolai, ridondante ed eccessivo Kirill, ma tuttavia legati tra loro da una profonda amicizia e rispetto reciproco. Anche se non a livello biologico, sono come dei gemelli.
Il loro legame è simbiotico come quello dei gemelli Mantle di "Inseparabili"; i due condividono le stesse esperienze e le azioni dell'uno devono essere replicate dall'altro. Nel bordello, durante un festino sfrenato con delle ragazze, Kirill imporrà a Nikolai di scegliersi una ragazza e scoparsela come ha fatto lui e suo padre prima di lui "per essere un vero uomo e non sembrare una checca". Quando Nikolai sarà promosso al rango di capitano, (l'abbraccio tra Kirill e Nikolai in un campo/controcampo è identico a quello fra Beverly ed Elliot Mantle di "Inseparabili"), l'identità tra i due sarà perfetta. I tatuaggi aggiunti sulle spalle e sulle ginocchia di Nikolai sanciranno la loro perfetta interscambiabilità e sarà il motore scatenante della scena migliore di tutto il film: l'aggressione a Nikolai nel bagno turco. La scena della sauna è di una violenza inaudita, perfetta nella propria crudezza, nella sua rappresentazione coreografica così poco hollywoodiana, dai cromatismi molto accesi della fotografia di Peter Suschitzy e dal suono che sottolinea le ferite e le lacerazioni del corpo umano.
Corpo umano che racchiude, nelle ossessioni del regista canadese, mediante la lettura dei tatuaggi, l'identità e la memoria dell'individuo come un libro, ma al contempo la fonte del suo stesso inganno. Il corpo mostra solo l'apparenza di ciò che siamo, non ha la capacità di svelare fino in fondo la nostra anima, di andare oltre queste apparenze. Una zona morta, che rimane invisibile e celata agli occhi dello spettatore, che viene manipolato da ciò che "crede" di poter vedere, da quello che è solo una realtà soggettiva, non oggettiva.

Basato sulla sceneggiatura di Steven Knight, Cronenberg dirige un thriller cupo, teso, dominato da forti contrasti, violento ma non compiaciuto, asettico e malsano in egual modo, dalle forti venature noir, ma lasciando spazio anche al melò. Una contaminazione di generi che permette di scavare in profondità nella psicologia dei personaggi, non lasciando spazio ad alcun tratto manicheistico in essi. Un cast di prim'ordine senza alcuna dissonanza. Viggo Mortensen è ormai lontano anni luce dall'Aragorn del "Signore degli Anelli". Il sodalizio con Cronenberg, iniziato con precedente "A History of Violence", lo gratifica con la sua migliore interpretazione. Attraverso la potente espressività del suo volto, i suoi gesti, dona vita ad un personaggio indimenticabile capace di essere glaciale ed efferato come nella scena della sauna, autentica macchina distruttrice sostenuta dal solo istinto di sopravvivenza più brutale, ma capace di momenti di vera compassione.
La vera sorpresa è però Vincent Cassel, figlio snaturato e debole di Semyon, apparentemente stereotipato ma speculare al personaggio di Mortensen a cui si adagia, perennemente in bilico ad un precipizio morale da cui saprà togliersi all'ultimo momento rifiutandosi di eseguire i dettami malavitosi del padre.
Da non sottovalutare la prova di Naomi Watts. E' lei, involontariamente, il "virus" che contaminerà la vita di Nikolai attraverso la "tossina" del diario di Tatiana, la ragazza morta di parto. Come la donna triforcuta Claire Niveau/Genevieve Bujold, il suo istinto di madre mancata, innescherà l'effetto domino che da Nikolai arriverà al vero cuore nero del film: Il boss Semyon (un bravissimo Armin Mueller-Stahl), cinico e spietato, attento anche al più piccolo particolare, perchè "è dal dettaglio più insignificante che nascono le fregature".
Piccola curiosità: nessuno degli interpreti, principali e secondari, è russo o d'origine russa. Una successiva visione della pellicola in lingua originale renderà giustizia al lavoro molto fine eseguito dagli attori coinvolti nei confronti del linguaggio, uno slang anglo- russo; peculiaretà che la piattezza del doppiaggio italiano non fa percepire.

Si è parlato molto della svolta di David Cronenberg regista con "A History of Violence". Molti si sono scandalizzati del fatto che il cineasta canadese si sia venduto agli studios per poter essere più accessibile verso il grande pubblico e non essere più un autore di nicchia (una nicchia comunque decisamente ampia qualitativamente e quantitativamente), di aver lasciato alle sue spalle lo sperimentalismo delle prime pellicole. Niente di tutto questo: già con "A History of Violence", ora con "Eastern Promises", l'autore canadese costruisce una pellicola compatta e rigorosa, perfettamente coerente con le tematiche dei suoi film precedenti: lo studio del corpo come ricerca dell'essenza dell'animo umano, senza tradire se stesso. Tale continuità è sancita anche dalla scelta del cast tecnico, che condivide il lavoro di Cronenberg fin dalle sue prime pellicole.
La fotografia di Peter Suschitzy è molto variegata: dal tono gelido di fondo fino al patinato del finale che rimanda a quello di "Velluto Blu" di David Lynch. Molto accurate le scenografie degli interni del ristorante russo di Carol Spier, sfondo perfetto per un'altra scena bellissima: la promozione di Nikolai al rango di capitano. Avvolgente e mai invasiva la colonna sonora di Howard Shore ed eccellente il montaggio di Ronald Sanders, altri collaboratori storici di David Cronenberg.
Il cineasta canadese è più vivo che mai. Dividerà il pubblico e la critica come è sempre successo, ma i veri fan sapranno apprezzare fino in fondo anche questa pellicola.

"I'm just a driver."

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 21/12/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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