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6-7-8 a questo film? ah già perchè è di salvatores... imparate a ad avere un cervello proprio nella vita, grazie. questo film è da vomiti urtanti. all'inizio pensavo di finire con l'offenderlo pesantemente, quando è finito ho capito che non merita neanche le offese. e giuro che NON ESISTE ALTRO FILM CHE NON LE MERITI. andrebbe offso nella lingua vietnamita o addirittura mongoliana, ma purtroppo non conosco la lingua. dopo averlo visto gli stregoni consigliano di applicare in faccia un bollito di erbe egizie, sale del marocco, un dente di drago, e quattro capelli di acciuga per far passare la voglia di andare al gabinetto e mettersi a ****** a testa all'in giù. quello che viene definito commerciale sono i filmetti di natale. io penso invece che sono questi i film commerciali, ovvero inteso come immondizie per seppellire la gente. i primi spesso sono divertenti perchè hanno situazioni divertenti, personaggi stupidi e ignoranti, sono film che non pretendono niente e che non vogliono insegnare niente ma quantomento si prendono la briga di inventare qualcosa di carino. i secondi invece sono film arroganti antipatici, pretenziosi, che hanno la supponenza di volerti insegnare qualcosa, che ti imboccano 4 battute scialacquate come per dire chi se ne frega, con una volgarità inaudita. quindi di fatto, sono i secondi ad essere fortemente volgari. scusate lo sfogo ma purtroppo non sono riuscito a trovare le erbe egiziane e mi è toccato andare in bagno.
Capisco la voglia di sperimentare. E questo non può che essere apprezzato. Però devo dire, con dispiacere, che al di là del contenitore che ho gradito, devo dire che manca in contenuto. Non capisco cosa il regista mi abbia voluto dire, qual è il messaggio recondito di questa pellicola?!?
Film imbarazzante perchè scontato carina solo l'idea del regista geniale ma per il resto tutto da rifare, non prendo mai il via questo film... pronti partenza e .... manca il VIA cambiate indirizzo di film state a casa è meglio!
Il film è veramente divertente, ben fatto e interessante da diversi punti di vista, sia generali (su come gestire la propria vita), che particolari (la maniera con cui attualmente percepiamo il reale). I minuti iniziali sono secondo me la parte più riuscita del film. Diciamo che è un’idea molto originale e ben riuscita quella di far presentare i personaggi da loro stessi, guardando direttamente la macchina da presa. In questo maniera si crea distacco e interesse fra lo spettatore e ciò che appare sullo schermo e così possiamo percepire e giudicare spassionatamente i caratteri e i relativi comportamenti. Si tratta di persone varie e interessanti, ognuna con la propria particolare personalità che rimane impressa. Quello che salta all’occhio nel modo con cui si presentano è il fatto che accennino di sfuggita o non dicano per niente che mestiere fanno, qual è il loro rapporto con il resto della società. Si concentrano soprattutto sul lato esistenziale della loro vita e sui piccoli/grandi problemi interiori da cui sono “afflitti”. Di fatto si crea come una zona neutra, particolare, che esiste soprattutto al cinema o in televisione, in cui si parla soprattutto di fatti soprattutto privati, anche importanti e seri (come avere pochi giorni da vivere a causa di un tumore, oppure la necessità di rivelare verità sessuali scomode) ma che escludono e quasi sostituiscono le enormi contraddizioni sociali e etiche che stanno sconquassando la nostra società. Questa zona neutra (in cui vivono i grandi fratelli, i talk show, i telegiornali) finisce per sostituire e annullare il “reale”, sentito come brutto, spiacevole e poco interessante. Del resto lo vediamo anche in questo film dove il problema dell’immigrazione (i cinesi) o del disagio sociale (il graffitaro) vengono citati di sfuggita, trattati come eventi leggeri, quasi folkloristici. Eppure in passato le commedie, pur restando fedeli al canone stilistico, graffiavano, mostravano impietose le contraddizioni o le verità scomode. Adesso in genere si tende sempre ad edulcorare o a nascondere i contrasti. Questo film in qualche maniera rende palese la prevalenza del fittizio sul reale, proprio evidenziando il gioco scenico che sta alla base della rappresentazione. Pirandello si era servito di questa figura retorica per denunciare la spersonalizzazione dell’individuo nella società burocratica moderna, Salvatores la usa invece come via di fuga, come rifugio in cui ci si può divertire, consolarsi o magari sognare, vivere in un “reale” migliore. L’intenzione di abbellire e trasfigurare l’esistente è chiara anche dalla scelta di Simon & Garfunkel e dei Notturni di Chopin per contrappuntare le immagini che scorrono. Quella musica appartiene ad un registro poetico “positivo”, di tipo introspettivo-delicato-nostalgico, adatta per rendere bella e accattivante qualsiasi situazione. Con il Notturno di Chopin come sottofondo apparirebbe bella in bianco e nero qualsiasi città del mondo, persino New York o Il Cairo o Tokyo. Il sogno di riuscire a vivere in armonia in una situazione comunitaria ristretta (famiglia o gruppo di persone amiche) è l’unico desiderio-aspirazione che è rimasto alla coscienza collettiva italiana di oggi. L’unico argomento che riesce a farci sorridere o commuovere, l’unica fonte di ironia solare che ci viene concessa. Personalmente capisco il desiderio di evadere nella leggerezza imponderabile e affascinante che ha la dimensione privata domestica dell’esistenza umana (specialmente dei ceti medio-alti), speriamo solo che non ci caschi questo bel mondo tutto all’improvviso addosso. Se non altro non ce siamo accorti (o più probabilmente non abbiamo avuto il coraggio di guardare).
Mi dispiace dire che questo voto non solo è ragionato, ma anche pesante trattandosi di Salvadores. Non riesco davvero a capire i voti alti. Si esce dalla sala a bocca asciutta, per di più stanchi dell'interpretazione, mi si consenta, da palle mosce dello scrittore presunto autore del romanzo immaginario. Ma quale Pirandello! Non ci sono le rifinitura oniriche, le atmosfere o un'interpretazione che renda giustizia. Sinceramente sono rimasto davvero annoiato e uscito deluso dal cinema. Visto l'interprete principale che non mi piace assolutamente come attore poichè prvo di grinta non dico d'essermi meravigliato, anche perchè Salvadores è bravo quando può utilizzare ampi e torridi scenari al limite del sudore in inquadrature di personaggi semidemenziali o in preda a sindromi contestative ( chi ha visto le altre opere sa a cosa mi riferisco) qui si è spesso al chiuso ed in una Milano che non esiste e non avrebbe senso d'essere così. Non è riuscito nemmeno a cogliere un aspetto di sfumatura Felliniana che il personaggio minore minore con il cane ( nome Gianni il padrone) poteva avere. Salvadores validissimo, per carità, per questo ancor più criticabile. Abatantuono come sempre bravissimissimo nell'interpretazione che, ahimè, oscura tutti e la buy per prima, mezza calzetta in questo ruolo opaco. Gabriele, pe rcarità, ridacci il nostro Mediterraneo e consenti a colossi come il Diego nazionale di lavorare in contesti in cui la sua bravura interpretativa abbia un contorno degno di lui.
Uno dei temi centrali (forse il maggiore) in Salvatores, è sempre stato l'istinto di liberazione dalla rete di condizionamenti indotti dalla società, e dal nucleo familiare in primis. La forza dell'amicizia, e l'istinto di fuga. "Dedicato a tutti quelli che stanno fuggendo", mi pare recitasse in chiusura Mediterraneo.
Anche il senso che si rintraccia in "Happy family" è legato al coraggio di provarci; superare le paure (irresistibilmente elencate nel bel monologo dell'incipit); crederci fino in fondo e non solo nel buio della propria stanz(on)a di scrittore solitario e autoreferenziale. Provare a bussare alla porta della vicina, e volare con lo sguardo nei cieli sopra i palazzi di Milano. (Belle le inquadrature dal basso verso l'alto, a cogliere quanto più cielo possibile).
Di Salvatores mi piace la familiarità. L'intesa che quasi sempre riesce a creare con il pubblico ha qualcosa di confidenziale, di pulito, di sincero. E' anche il suo limite. E la mancanza di cattiveria, l'assenza di acidità delle sue commedie, se - in casi felici come Happy family - a lui la perdoniamo con condiscendenza (vuoi perché con l'originalità del tocco vuoi perché con la tenerezza di alcune situazioni, ci ha convinto), altrove è la causa principale della crisi della commedia all'italiana. Senza calcolare proprio i cinepanettoni, che fanno genere a sé, la commedia all'italiana per conquistare il pubblico, oggi più che mai ha bisogno di compiacere lo spettatore, di blandirlo. Insomma, tranne in casi isolati e poco visibili, la commedia che fa cassetta è quella che assolutamente NON porta l'italiano a specchiarsi nei propri vizi, nella grettezza, nella bassezza e mediocrità non dico de "I mostri", ma almeno di "Amici miei".
In questo film di Salvatores l'originalità è in forte debito (più che di Pirandello, che non c'entra molto e lo rivela coscientemente Salvatores stesso, esibendo il rimando con una citazione esplicita) di Wes Anderson e dei suoi "Tenenbaum". L'eccentricità del film, e anche quella dei suoi personaggi, rimanda a quel film. L'omaggio di Salvatores è consapevole e trucca la ragazza di modo che somigli a Gwineth Paltrow in quel film, e il ragazzo gioca a tennis come un altro dei fratelli dei Tenenbaum. L'infelicità di partenza, e la riconciliazione finale, provengono anch'esse dai Tenenbaum.
Ma, anche prescindendo dall'assenza di cattiveria (che sarebbe scorretto imputare a difetto del film, ma certo ne è un limite), vorrei che Salvatores mi rispondesse a tre domande, per spiegarmi la tenuta di credibilità del suo messaggio - che resta circoscritto alle classi agiate. Il protagonista scrive. Ma come si paga da vivere? Lo dice: grazie a una grossa eredità. Fortunato. Chi rappresenta? Abatantuono - disegnato come un simpatico adolescente perdigiorno di 50 anni - è una specie di skipper. Chi rappresenta? Bentivoglio, ricco avvocato altolocato, alla fine può beneficiare di una favolosa suite in ospedale A PANAMA, con una impagabile vista sul mare. Chi rappresenta in questo caso lo capiamo bene. Nè per carità gliene vogliamo; siamo anzi contenti per lui; però non tutti potrebbero permettersi quella clinica, decisamente. E allora ecco come, di questo passo, tutto sia un po' troppo facilmente edulcorato.
Molto bella la sequenza del concerto di pianoforte. Il notturno di Chopin, con l'intuizione di abbinarvi le scene mute e in b/n della Milano "nascosta", quella dei lavoratori (gli addetti alle pulizie, i macchinisti delle metropolitane, ecc.) e dei turni di notte, consentono una duplice riflessione nello spettatore. La prima è epidermica: quella musica sospesa, così intima, invita a raccoglierci un attimo, allontanarci dalla frenesia con cui la quotidianità ci allontana dall'autenticità, e recuperare un briciolo di spirito. Ma - e questa è la seconda riflessione - quanto spesso possono - o anche solo pensano - i protagonisti di quella sequenza (e cioè i lavoratori: quelli che puliscono le strade, che guidano i treni, anche di notte) di permettersi il lusso di entrare in un teatro di gente della Milano "bene", per astrarsi dalle loro quotidiane incombenze, e godere anche loro dei benefici per lo spirito di un notturno di Chopin?
Salvatores parla a un pubblico di "borghesi" viziati (un po' tristi e meschini), quali siamo in tanti, e ci consola, e ci racconta che la vita può essere più bella. Mh.
Il titolo (orrendo) merita un 3, il fim invece è gradevolissimo, certo non il migliore di Salvatores, ma vale le pena. Per un momento ho avuto la terribile sensazione provata durante la visione di "Nirvana", ma è subito sparita. Sarà molto apprezzato dai milansesi e dai nostalgici di Turnè. Marrkesh etc, etc. Ottimo Bentivoglio, come sempre.
Pirandello, Anderson, Allen,...? Sì, certo, le citazioni e i rimandi colti possono essere tanti ma non sono assolutamente all'altezza di quello che in realtà il film dice con spassosissima nonchalance e con un gusto per l'assurdo che sfiora il grottesco. Peccato solo che la seconda parte non stia allo stesso indiavolatissimo ritmo della prima, altrimenti saremmo di fronte a un autentico capolavoro! Ma cosa c'è di "happy" in famiglie composte di gente talmente frustrata e sconclusionata da percepire le proprie miserrime fobie come ben superiori alle reali, oggettive disgrazie della vita? Questo è il vero punto di forza del film di Salvatores che non mi sembra sia stato colto dai commenti precedenti. Eppure è proprio nell'indugiare sul grottesco che il film dà il meglio di sé strappando sonore risate ma facendoci specchiare nella piccolezza di questi personaggi che vagano in cerca di un autore non certo perché dilaniati da drammi esistenziali come in Pirandello, ma semplicemente perché "vogliono un finale, come piace anche al pubblico". Non si può non notare quanta graffiante ironia ci sia in questo gioco che mette a nudo l'Italietta del 2010, fatta di persone senza tanti attributi alle quali la vita scivola via senza troppo accorgersene perché troppo impegnate a guardarsi l'ombelico. Grandioso il cast, su tutti Bentivoglio e l'odiosissimo ragazzino gay Filippo, ma che dire anche dei due coprotagonisti e di una Margherita Buy che quando non viene chiamata a fare l'isterica a ogni costo, sa dare il meglio del meglio di sé (la ricordate in "Fuori dal mondo" o nel recente "Lo spazio bianco"?). Abatantuono è in stato di grazia riuscendo a dare spessore al più inconsistente dei personaggi che sia mai stato chiamato a tratteggiare. E che dire della nonna, gioiosa malata di Alzheimer ossessionata dai gamberetti?... Come sempre nei film di Salvatores, grande cura e grande pregio vengono riservati alla fotografia, qui a livelli straordinari: stupefacente questa Milano giallo-rossa su cui insiste un cielo azzurrissimo. E che dire della memorabile sequenza del Concerto di Chopin sulla cui tastiera si incastonano flash in bianco e nero di rara bellezza della città meneghina colta nei suoi aspetti più quotidianamente drammatici e intimi? Credetemi, quella sequenza vale da sola il prezzo del biglietto. Nota di ulteriore merito, una colonna sonora che oscilla tra i Simon&Garfunkel vinilici d'annata ("che nessuno ascolta più") e l'immenso Chopin del concerto n.20. Linguaggio e metalinguaggio si inseguono continuamente superandosi l'uno con l'altro fino a schiantarsi nel sognante protagonista, capriccioso demiurgo di bassissimo profilo irrimediabilmente incapace di affrontare anche il timidissimo "approccio ciclistico" con la sua avvenente vicina: l'Italia delle paure che vota Lega o che si astiene è tutta qua, in un ideale riassunto grottesco delle tante (belle) commedie recenti che la raccontano al cinema.
Concordo completamente con i miei Amici Pasionaria, Jelly e kow: l'ultimo Salvatores si risolleva dalle sabbie mobili dei suoi poco memorabili lavori precedenti e sforna una commedia in cui i richiami a Pirandello e Wes Anderson sono palesi e davvero riusciti. "Happy family" è un film in cui si ride davvero, sia per il tono complessivamente leggero e giocoso, sia per alcune situazioni esilaranti come quella della massaggiatrice e del criceto. E non manca un tributo alla città del regista, una Milano che sembra perfino affascinante, in parte sognante e caricaturale e in parte cosmopolita nelle inquadrature notturne che fanno da sottofondo al concerto per piano di Caterina. La sceneggiatura, tratta da un testo teatrale, non tradisce le sue origini e delinea una serie di personaggi (giustamente in cerca di autore o, meglio, in cerca di un destino scritto dall'autore, visto che non sono capaci di recitare senza un copione) deliziosi, interpretati in parte dagli attori feticcio del regista, in parte da nuove entrate che arricchiscono il cast. Menzione speciale per la fotografia: un capolavoro di colori e saturazione. Ulteriore chicca il finale, in cui si ricostruiscono i pezzi della narrazione. Le pecche sono alcune marchette evidenti (Intimissimi su tutte) e una certa dose di paraculismo, che però scivola via in una risata. Bravò!
PS: Ah, volevo specificare che la Bilello è veramente fi.ga.
Non mi ha convinto. Salvatores quando si prende sul serio (e non è di rado in questo film) risulta a mio personale avviso addirittura insopportabile, quando invece (in)volontariamente non lo fa, la storia assume dei connotati piacevoli, che non strabordano. Non è metacinema, non credo nemmeno fosse l'intenzione, ma nemmeno originale: gli attori sembrano svolgere il loro compitino senza entusiasmo, ed il finale può apparire a prima vista originale ma poi se ci si riflette è anche abbastanza scontato. Eccezionale invece la fotografia del sottovalutatissimo Italo Petriccione, che cambia densità e colore a seconda delle situazioni.
Salvatores è bravo e lo conferma con questo ritorno alla commedia, genere che forse più gli si addice, dopo l’incerto esito del suo ultimo lavoro. Una commedia anomala per le sue corde, cinema che parla di cinema con un briciolo di riferimento autobiografico e tanti richiami cinematografici, ovviamente, da Allen a Anderson, passando da idee prese da cult come I soliti sospetti ( gli oggetti di casa ispiratori e poi protagonisti della storia). Resta fedele a se stesso nella scelta dei personaggi e nel delinearne le dinamiche relazionali, anche se( bisogna dirlo) potrebbe smetterla di attribuire all’amico Abatantuono in ogni film il ruolo dell’accanito fumatore di canne ( da Marrakesch in poi…). E’ forte l’impressione che Salvatores si sia divertito come un ragazzino e dal film trasudano le sue passioni, quella per il cinema prima di tutto, ma anche quella per i suoi attori e per i suoi amici, probabilmente anche quella per la sua Milano, fotografata in modo sublime da non sembrare reale. Gli interpreti sono bravi e spontanei, sempre carismatico Bentivoglio, si fa notare la brillantezza isterica e autoironica di Carla Signoris , davvero simpatica, Fabio De Luigi se la cava alla grande. Tutto ben miscelato su un gioco cromatico davvero azzeccato, l’attenta scelta dei colori mi ha fatto pensare al mio amato Almodòvar, e accarezzato dalle note dolcemente malinconiche di Simon e Gerfunkel.
Graziosissima commedia a carte scoperte di Salvatores, che rialza la testa dopo il pessimo "Come di0 comanda" grazie alla sceneggiatura di un ragazzo vincitore di un premio cinematografico. Molto facili i riferimenti a Pirandello, e proprio le parti metacinematografiche sono quelle che funzionano di meno: troppo sempliciotte per raggiungere l'obiettivo, soprattutto nella seconda metà del film. Però i personaggi sono azzeccati e si ride sul serio, anche in modo pecoreccio ma intelligente (come nella parte della massaggiatrice cinese). Certo, il citazionismo si spreca (oltre a Pirandello, tutto l'impianto familiare è preso esattamente da Wes Anderson ed i suoi tenebaum, e non si perde occasione per riproporre la classica battuta de "Il sorpasso" di Risi: "perbacco, bella donna", dopo pesanti insulti alla madre dell'interlocutore), però Salvatores lo dichiara senza remore, ed alla fine questo atteggiamento paga. Molto bravi tutti i protagonisti (la Bilello, poi, è incantevole), con nota di merito al sempre eccellente Bentivoglio. Strepitosa come sempre la tavolozza di colori di cui dispone Italo Petriccione, che si conferma il miglior direttore della fotografia che abbiamo in Italia. Ah, un'ultima cosa: che bellezza vedere un film italiano senza essere bombardati da pubblicità nemmeno troppo occulte di automobili, acque minerali, banche, computer e cellulari. Può piacere o meno, ma Salvatores fa ancora cinema per il gusto di fare film e non marchette.
E' un momento felice per la commedia italiana. A parte il fatto che la leggerezza (specie se filtrata da un'ambizione comunque fortemente repressa) è un'arma a doppio taglio. Film molto Pirandelliano, questo di Salvatores, ma anche un'incrocio attendibile tra Woody Allen e l'intellettualismo grottesco di Wes Anderson. Ho avuto la sensazione che tra i parametri di questo Block Notes di un regista (Salvatores non Fellini!) si celino i consueti clichè della sua filmografia (il solìto reducismo generazionale, le solìte canne, le solìte frustazioni artistiche), tuttavia il film funziona e, soprattutto nella prima parte, il gioco è talmente scoperto da risultare in più occasioni davvero esilarante. Omaggio parziale o incompiuto sulla Milano egoista e monolitica di oggi (notevole il monologo iniziale di Fabio De Luigi in puro stile Irvine Welsh) "Happy family" ha però i suoi momenti migliori proprio nell'inedita "fotografia" della città, come se quel mondo esterno ed esteriore riconoscesse l'illusione di essere parte integrante della storia e delle sue potenzialità E' proprio questo tipo di approccio stilistico a rendermi diffidente, perchè avrei voluto vedere la storia "aprirsi" anche alla realtà che la circonda nella dimensione sperimentale di un cineasta comunque (ancora) spiazzante. Tuttavia un film garbato di cui conservo ameni ricordi di schizzi inediti, di "scarti" più preziosi di quanto si creda