E' il 1964, Selma č emigrata con suo figlio dall'Europa dell'Est in America. Lavora notte e giorno per salvare suo figlio dalla stessa malattia che affligge lei e che la renderā cieca. Il segreto della sua energia di vivere č il suo amore per i musical. Quando la vita č troppo dura, le basta fingere di trovarsi nel meraviglioso mondo dei musical, dove riesce a trovare la felicitā che il mondo non le riesce a dare.
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Anche questo come 'Le Onde del Destino' ricalca la parabola fatalmente drammatica (ed irritabilmente esagerata) dreyeriana colma di tutte le sue tematiche dal canovaccio di 'Dies Irae', la cinepresa a spalla (anch'essa si riallaccia a 'Le Onde del Destino) è francamente urticante ma gli intermezzi musicali, rappresentazione dell'immaginazione la cui protagonista rifugge appellandosi saltuariamente, non nascondo essere l'unica cosa che ho apprezzato, poiché genuinamente autentiche, si insinua con parsimonia, sono un tocco di notevole classe (e anche registicamente si sbizzarrisce in un compendio di inquadrature che soffrono meno il Dogma, il resto della pellicola, la 'realtà' è più grezzo), e Bjork riesce a renderli un valore aggiunto, anche perchè si cucisce la colonna sonora addosso apparendo candidamente azzeccata al suo personaggio. La filiazione illegittima da Dreyer porta ad una storpiatura del messaggio, lo stoicismo millantato più avanti qui fa spazio ad una compiaciuta tragedia greca, sovrabbondando di retorica (al contrario di 'Medea'), Dreyer nel ricamare la rassegnazione della sua Anne Pedersdotter in un universo chiuso (a lui gli riuscirà meglio in 'Dogville') apparirà inevitabile, o la Geltrud che si preclude al resto del mondo in una voluta solitudine, Trier si accanisce cinicamente in un epilogo che sembra quasi ribaltare i toni in parodia.