In un'America sull'orlo del collasso, attraverso terre desolate e città distrutte dall’esplosione di una guerra civile, un gruppo di reporter intraprende un viaggio in condizioni estreme, mettendo a rischio le proprie vite per raccontare la verità.
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Il film più furbo di Garland. Lo è fin dal titolo: vendersi come ciò che non si è. Non c'è nulla su un'ipotetica guerra civile negli Usa: a ben vedere il film poteva essere ambientato in qualsiasi altro luogo del mondo e avere lo stesso andamento. Perché il focus di Garland è su altro: è sulla guerra come distruttrice di certezze, sulla parcellizzazione del potere stesso (basta avere un'arma sulla strada e si esercita potere autoritario contro e sui propri simili). Di tale disfacimento i giornalisti sono i mostratori, coloro i quali dovrebbero renderne conto nel modo più asettico e oggettivo possibile (ma poi non è mai così, e lo sappiamo benissimo). La critica alla guerra e velatamente a come essa viene raccontata (e mostrata) è palese e giocata anche sulla capacità dello sguardo di vedere la realtà (e quindi comprenderla): si vedano foto, zoom tramite la macchina fotografica, l'alternanza tra primi piani e piani lunghi. Tema in verità non poi così nuovo e tutt'altro che originale, tanto più che nella forma dei generi, pur cercando "Civil War" di non abbracciarne nessuno, ha poi, in realtà, l'andamento classico del road movie statunitense: viaggio-situazione-risoluzione-ripresa viaggio-nuova situazione-nuova risoluzione. Il film si ingolfa quindi in una episodicità meccanica che cerca di trovare in momenti estemporanei la propria forza evocativa e imaginifica (si veda la splendida scena dell'incendio nel bosco). Su questo andamento il film arriva fino ad un finale che finalmente mostra la guerra senza che minimamente ne siano stati definiti i contorni politici e sociali (ma, come detto, a Garland interessa altro) salvo però consegnarci una mezz'oretta di sparatutto che a quel punto diventa fine a se stessa, se non fosse per i fotografi-catturatori, figli delle immagini del nostro tempo, egoisti-arrivisti come tutti gli altri, fino a immaginare gloria nel catturare la morte live (che poi, non era tema già emerso 50 anni fa con la famosa foto del vietcong giustiziato)? Spiace ma il Garland migliore per me rimane quello di "Ex Machina" e della sceneggiatura di "28 giorni dopo".